Ricordando Emilio Coslovi (2)
«Ci eravamo incontrati poco prima di Natale ad un corso organizzato nel Seminario di via Besenghi. Ci eravamo anche visti in autunno ad un convegno svoltosi a Trevi nei pressi di Perugia. Lui era stato un prete-operaio ed aveva lavorato per vent’anni alla Colombin, una fabbrica di tappi e sugheri. Era anche stato eletto rappresentante sindacale. Negli anni settanta Emilio aveva celebrato Messa all’interno di una fabbrica occupata. Operaio tra operai, aveva spezzato il pane offrendolo ai suoi compagni…».
Don Vatta parla della testarda coerenza di Emilio, dell’amore e della discrezione con cui avvicinava gli ultimi per offrire loro qualcosa di concreto: un pacco, qualche soldo, un po’ di cibo, una parola gentile. Una vita spesa per realizzare subito l’immenso sogno di Gesù Cristo.
Paolo Losa, compagno di scuola di Emilio, lo ricorda con identico affetto. «Ci frequentavamo assiduamente anche negli ultimi mesi. Viveva per aiutare gli emarginati ed i poveri. Tutta la sua vita l’ha spesa così, tra grandi ed immense difficoltà. Lui stesso era un emarginato, un messo in disparte».
«Aveva l’animo di recuperare quanta più roba scartata o vecchia poteva. Era angosciato dall’esigenza di non buttar via nulla. Diceva che tutto può esser utile per alleviare la sofferenza altrui». Così testimonia Dario Favretto anche lui compagno di studi di Emilio.
Una tappa terribile e significativa della vita di questo prete-operaio è rappresentata dall’incendio scoppiato nel giugno del 1998 in una baracca abusiva di Prosecco.
Lì viveva sua madre. Le fiamme avevano innescato una serie di scoppi. Le bombole del gas erano saltate in aria e per ore i pompieri avevano lavorato per spegnere l’incendio.
L’anziana signora era lontana dall’edificio, ma il figlio Emilio aveva temuto che fosse rimasta ustionata. Era una sua ossessione o forse una premo-nizione di ciò che proprio a lui è capitato ieri.
«Soffriva terribilmente per quell’incendio, ma non ne parlava con nessuno». Spiega ancora chi lo conosceva bene e gli è stato sempre vicino. «Le sue angosce non lo hanno né bloccato né rallentato; anzi ha continuato a fare del bene con maggiore determinazione.
Con un maglione ed una vecchia giacca a vento iniziava ogni giorno più presto le sue peregrinazioni alla ricerca di qualcosa da salvare, da trasformare in soldi per aiutare il prossimo.
Era schivo, silenzioso, determinato. Amava la vita e le persone. Guardava lontano senza pensare a sé. Era pulito dentro e la sua casa era diventata un magazzino, un deposito, un punto di riferimento e di soccorso…».
Don Mario Vatta
(da “Il Piccolo” di Trieste – 14 gennaio 2002)