Immagini di Dio


 

Una premessa semplice

“Padre nostro…” è la preghiera che mi accompagna ogni mattina, quando, uscito dal portone di casa, salgo in bicicletta per recarmi al lavoro. Una preghiera frequentemente interrotta dai “buon giorno, ciao, andöm…”, che scambio con la gente che da oltre vent’anni incontro mentre percorro via Verdi e via Matteotti per raggiungere la fabbrica dove lavoro. Sono saluti, parole, sorrisi che ritmano i miei frettolosi mattini e non disturbano affatto questo “dialogo”, perché è ormai da anni che vivo il mio credere nella dimensione quotidiana degli incontri, delle solidarietà spontanee, della condivi-siano socio-economica con i compagni di lavoro, del mio essere uomo con bisogni, progetti e desideri, restando però radicato ad una terra, ad un paese, ad un lavoro dipendente.

 

Affrancarsi dal sacro

Le “complicità e responsabilità” (umane, sociali, politiche, culturali e religiose), che la fedeltà alla scelta compiuta oltre vent’anni fa mi costringe ancora a sostenere nei trantran quotidiani, mi hanno progresivamente spogliato di una “identità posticcia” fatta di ruoli imposti e di ritmi vitali anacronistici, iniziando un cammino di rinascita per raggiungere un nuovo stile di vita, uno stile però che la deve comprendere nel suo insieme, in tutti i suoi aspetti e livelli umani, affettivi e spirituali. Il passo di Fil. 2,1-11 sintetizza bene le motivazioni che mi hanno portato a dislocarmi in condizione operaia.

Ora però il mio definitivo permanerci è sostenuto da una convinzione fortemente radicata nella cosiddetta “prassi messianica” di Gesù, cioè nella sua scelta di porsi nella linea profetica e non in quella sacerdotale. Non sono un esperto di teologia biblica, ma di una cosa sono assolutamente certo: nel corso della storia dell’umanità il potere sacerdotale – dall’Antico Testamento ad oggi – ha sempre cercato di imbrigliare, di soffocare la libertà dello Spirito. Nell’incontro/dialogo con la samaritana Gesù dice: “Donna, viene il momento in cui l’adorazione di Dio non sarà legata a questo monte o a Gerusalemme; viene un ‘ora, anzi è già venuta, in cui gli uomini adoreranno il Padre guidati dallo Spirito e dalla verità di Dio. Dio è Spirito. Chi lo adora deve lasciarsi guidare dallo Spirito e dalla verità di Dio”.

E allora, che dire del nostro paese ‘cattolico’ dove, per la maggior parte degli italiani ancor oggi la possibilità di dichiarare la propria fede richiede il “fare i conti” con il potere sacerdotale della chiesa cattolica romana: una Chiesa che si è appropriata di Dio, ritenendolo un suo “monopolio”, un bene che solo lei può offrire a chi vuole dettandone anche le rigide regole per la consumazione.

 

Dio: comunione di persone

A chi e a che cosa ho fatto e faccio riferimento in .questo nuovo cammino? Su quale fondamento poggia o si radica il mio vivere oggi?

Non certamente ad un Dio Padre/padrone per accedere al quale bisogna fare anticamera e la cui presenza incute paura. L’immagine che ho di Dio è quella che si è manifestata – e si manifesta – nel corso della storia umana: un Dio-persona, un Dio-Madre-Figlio desideroso di relazioni personali vere, libere, impegnative.

Penso a tutti i testi biblici che evidenziano la voglia di Dio di riallacciare rapporti profondi, teneri con il suo popolo: “Io sarò il tuo Dio e tu sarai il mio popolo”, espressione che dice in modo emblematico quanto questo Dio sia pronto a giocare tutto se stesso nel rapporto con l’umanità. Penso al Gesù del Vangelo, figlio dell’uomo: pronto a lasciarsi coinvolgere/perdere in ogni situazione umana, gioiosa o drammatica, pur di raggiungere una comunione vitale con l’uomo, una comunione capace di suscitare speranza, fiducia, coraggio per resistere.

È questo il Dio che mi ha lentamente liberato, purificato, dalla schiavitù del sacro; a questa purificazione ha senz’altro contribuito la mia decisione di restare a Ostiano “come prete senza fare il prete”. Una decisione sofferta e faticosa, ma che nel corso degli anni mi ha consolidato nella convinzione di quanto sia ‘pericoloso’ poggiare sempre e comunque sull’alibi del sacro per manifestare la propria fede.

 

Sulle orme di Abramo

È l’incontro con questo Dio che ha fatto partire Abramo. Una partenza che ha richiesto una lacerante rottura con l’ambiente a lui familiare (fino al sacrificio del figlio Isacco): un distacco netto che gli ha fatto “perdere l’appetito” di tutte quelle cose che prima lo soddisfacevano e lo appagavano. In questa partenza Abramo ha senz’altro provato una profonda solitudine, perché non esisteva una pista tracciata in precedenza, cioè una giustificazione plausibile di quanto gli veniva richiesto; ma una partenza che lo ha proiettato in un cammino nuovo in libertà; una libertà vissuta non come un bene che l’uomo possiede solo per sé, ma che possiede soprattutto per gli altri.

 

Gianni Alessandria


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