“Abita la terra e vivi con fede” (Sal 37)
Rileggiamo oggi la Gaudium et Spes
Convegno di Bergamo 2014 / Contributi
La prima cosa che mi viene in mente è quella di essere nella storia, non al di fuori. Essere figlio del proprio tempo e percepire il nuovo che sta nascendo nel tempo. Essere figli ma anche padri. Oggi ci sono troppi figli e pochi padri. Essere padre significa responsabilità verso il futuro, far nascere e germogliare nuovi semi, che altri hanno piantato. Un aneddoto zen ci parla di un vecchio che sta piantando semi di mango. Il vicino gli chiede:” Ma sei sicuro di mangiarne i frutti fra qualche anno?” Il vecchio risponde: “Per tutta la vita ho mangiato frutti di mango piantati da altri ed io come riconoscenza pianto manghi che altri mangeranno”.
Ripensando al cammino di questi anni posso dire di aver vissuto e se rinascessi farei altrettanto. Certamente il seminario non è stato un periodo fecondo almeno nel periodo delle medie-ginnasio-liceo, un luogo protetto ed anche blindato. Tuttavia posso dire che mi sono difeso abbastanza avendo avuto la fortuna di vivere in una famiglia non bigotta. Già nel ’57 mio padre mi parlava dei preti operai e molte sere d’estate si stava nella vigna , distesi a guardare le stelle e lui mi parlava delle lotte operaie nella sua fabbrica. Certi canti di lotta li ho appresi da lui. il prete non è mai venuto a casa mia per la benedizione perché temeva mio padre che ha avuto il coraggio durante una predica in chiesa di alzarsi e contestare pubblicamente quello che il prete diceva nel periodo delle famose elezione del ’48, dove si prometteva l’inferno e la scomunica a chi votava in una certa maniera. La storia della mia famiglia è stata segnata da lutti e il dolore per la perdita è stato grande ma nello stesso tempo è stato una scuola di formazione per capire il dolore degli altri.
Quando uno prova su di sé le devastazioni della vita , nella sfortuna, riesce a relazionarsi agli altri in un certo modo e questo non è scontato perché potrebbe anche causare l’effetto opposto rinchiudendosi.
Incarnarsi nella storia degli uomini significa anche incarnarsi nella propria, accettare la propria storia, vivere la propria storia, che è vivere i propri talenti, le proprie inclinazioni e il proprio carisma. L’insoddisfazione nasce anche dal fatto che si vive, si cresce, si lavora senza realizzare tutto questo.
Noi siamo stati fatti per vivere in un certo modo, nasciamo con un brevetto, che se disatteso , ci fa star male.
Per me l’incarnazione è stata un vivere “ la periferia”, stare al margine, come luogo dell’ essere e non essere, luogo di ricerca e di sperimentazione. Ad essa arrivano gli echi sfumati di ciò che è assodato, ma che si sta dissolvendo, nello stesso tempo è aperta al nuovo perché non imbrigliata in schemi. Oltre la periferia una volta c’era la campagna e potremmo dire il vuoto, oggi dopo una periferia ne troviamo un’altra. E’ un continuo movimento che può provocare in alcuni perdita di punti di riferimento, per altri uno stimolo . Così è stata per me e l’ho vista soprattutto come laboratorio che mi ha dato gli strumenti per affrontare le situazioni.
Nel laboratorio serve manualità creativa, fantasia, praticità, arte, il tutto accompagnato da un ritmo lento. I macchinari sono importanti, ma per l’artigiano è importante anche tutto il resto , non può affidare solo alle macchine la creazione di un prodotto. Le macchine per me potrebbero essere i libri, la cultura, che mi aiutano, ma non sono sufficienti. E’ l’incontro soprattutto con la fragilità, con le storie, è il contatto , è il vivere la precarietà che ci fa guardare la realtà da un punto di vista.
Vivere in borgata in quel periodo è stato una scuola che mi ha fatto capire che con l’impegno si possono ottenere dei risultati e dei cambiamenti. Questo ha richiesto tempo, pazienza e soprattutto costanza, senza pretendere di ottenere dall’oggi al domani dei risultati. Quello che si ottiene in fretta facilmente scompare , senza lasciare traccia. La fatica del seminare, come dice il salmista:“Nell’andare se ne va e piange , portando la semente da gettare, ma nel ritorno mieterà con giubilo portando i suoi covoni”, diventa più che attuale.
Oggi sembra che tutto sia diventato periferia quasi ad affermare che tutto è in movimento, tutto richiede un cambiamento, dalla politica, della società e della fede. E questo richiede più flessibilità, uscire dalle sicurezze. La fede stessa non è una sicurezza, è un continuo interrogarsi , è un cammino non per arrivare alla meta.
Camminando si gusta il viaggio giorno per giorno, con le sue soste, con gli imprevisti, con le stanchezze, ma anche con le sorprese. Vivere questa vita mi dà nessuna certezza, ma molte possibilità. Quando ero studente, sentivo le prediche del mio parroco: ogni anno le stesse parole, come se la realtà fosse ferma, immobile. Bastavano solo poche frasi che il resto potevo recitarlo a memoria.
La parola di Dio è tale se c’è l’uomo, essa senza l’uomo non ha valore, senza la coniugazione con la realtà diventa vuota, non ha radici.
La Parola che noi abbiamo ricevuto non è altro che l’intuizione dell’uomo che ha saputo scoprire Dio lungo la sua storia, che ha cercato di dare delle risposte agli interrogativi. Essa è la saggezza dell’umanità che in ogni cultura troviamo. Lo Spirito soffia dove e come vuole.
MARIO SIGNORELLI