INFANZIA, FORMAZIONE, PRIME ESPERIENZE PASTORALI



Intervista realizzata il 23 agosto 2001
da Alessandro Del Conte e Rossella DegI’lnnocenti


Quella che segue è la prima parte della trascrizione della registrazione audio realizzata il 23 agosto 2001 da Alessandro Del Conte e Rossella Degl’Innocenti. L’intervista fu raccolta nel quadro di una ricerca sulla storia del movimento operaio fiorentino negli anni ‘50 ed in parte pubblicata nel volume “Metalmeccanici fiorentini del dopoguerra”, Roma, Ediesse 2002
Nota: il segno “
” indica pause nel discorso, cambi di intonazione, interruzioni, borbottii o parole incomprensibili, ripetizioni che sono state soppresse.
Il testo è stato rivisto e abbreviato per questa pubblicazione da Roberto Fiorini.


 

Ti faccio la domanda: com’è che te ti avvicini alla fabbrica e questa esperienza tua, col mondo della fabbrica, con il mondo operaio… te non nasci in un ‘ambiente operaio, te vieni da Impruneta, semmai di tipo contadino.

[Impruneta è una località a sud di Firenze, adagiata sulle prime colline del Chianti. Il comune, a 16 chilometri da Firenze, conta attualmente circa 15.000 abitanti. Negli anni ‘20 era un piccolo borgo rurale cresciuto intorno ad una importante chiesa, di circa 9000 abitanti, in maggioranza contadini. Le campagne circostanti erano infatti intensamente coltivate da una fitta rete di poderi mezzadrili. Il paese, oltre a rappresentare il principale centro di riferimento per le attività agricole, era conosciuto – come oggi del resto – per la produzione di laterizi e terrecotte].

Bruno: Mi piacerebbe dividere la mia vita in tre fasi, che poi sono collegate, sono di una ricchezza eccezionale, per me almeno… La prima è la scoperta non tanto del Vangelo quanto della povertà del Vangelo, cioè la forza, la violenza dei poveri, non tanto di Gesù vicino ai poveri, no… proprio dei poveri. Questo è quello che mi ha segnato nella prima fase della mia vita, tanto è vero che io ho deciso di entrare in seminario, con la mamma che non ne aveva tanta voglia perché avevo cominciato a lavorare dopo le elementari, a portargli due lire la settimana, nella bottega di un falegname a Impruneta. Un falegname sempre ubriaco ma che però era bravissimo e quindi avrei imparato bene… no a ubriacarmi, ma a fare il falegname e… quando decisi… io entrai a sedici anni in seminario. Quando decisi fu proprio perché… – io non frequentavo la chiesa – ad un certo momento la sera c’erano le missioni, prediche che facevano i frati nei paesi… All’Impruneta… c’era un padre, padre Tarocchi, che parlava… dei poveri e della povertà nel Vangelo. Io mi ricordo, ero entrato così, in fondo alla chiesa piena zeppa, e in fondo alla chiesa sento queste parole e uscii di lì deciso a entrare in seminario, a farmi prete. Quando lo dissi per la prima volta alla mia mamma, lei disse “macché seminario, vieni via… ora tu cominci a portare qualcosa a casa e poi ci vuole un monte di soldi…” poi questo problema fu superato, comunque questa prima fase comprende anche il seminario…
Su questa vita in seminario non ho da fare nemmeno delle critiche, mi ha arricchito enormemente, non tanto la vita meschina del seminario quanto questo contatto con certi testi, altri compagni…

Te hai avuto compagni di seminario diciamo… importanti per te… anche dopo…
Bruno:
sì, il Milani [don Lorenzo Milani] soprattutto, che non era nella mia classe, era addietro, un anno addietro; altri compagni del seminario con cui abbiamo mantenuto anche dopo i rapporti, nonostante le mie scelte diverse… Soprattutto io ricordo due professori… professori antifascisti… perché quasi tutti i professori erano… fascisti o mezzi fascisti… due professori, un professore di dogmatica, monsignor Giuliani, un uomo eccezionale, vecchio, ma che (tanto per citare degli esempi) ad un certo momento delle sue lezioni su De Verbo Incarnato oppure sulla Trinità… incominciava una mattina con “apro una parentesi” e cominciava a parlare di altro collegato con questo e, io mi appassionavo tanto a questa materia… e di una profondità perché era anche un matematico… È morto di fame perché aveva soltanto la tessera, viveva in un’abitazione per i canonici del Duomo, aveva solo la tessera… è morto di fame… quando ci vedeva mangiare i lupini o i semi in classe ci chiedeva una manciata di lupini, un uomo eccezionale per me.
Poi un altro, meno incisivo per la mia vita, ma il professor Bianchi era l’unico che ci parlava del fascismo e quindi delle cose che avvenivano, antifascista chiaramente… poi il resto…

Quando entri in seminario?
Bruno:
Io sono entrato… a sedici anni, nel ‘37

E ne esci quando?
Bruno:
Sono uscito nel ‘46.

Quindi il periodo della guerra per te è il periodo del seminario?
Bruno:
Sì, dopo c’è il passaggio della guerra all’Impruneta, drammatico. Facevo parte delle bande partigiane anche se non ho mai sparato. Proprio in quei giorni, …il 27 luglio quando c’è stato il primo bombardamento, siamo rimasti in pochi lì e io sono salvo per miracolo… Ero andato a salvare uno che era rimasto sotto un arco di una cantina e mentre cercavo di tirarlo fuori da questa prigione che però l’aveva salvato… insomma vennero altri cinque cacciabombardieri e… fecero pulito… Ad un certo momento mi trovai nella strada e mi chiamarono per andare a prendere un bambino a cui era morto babbo, mamma, sorella e fratellino e lui era rimasto ferito in una carbonaia e mentre cercavo di portarlo in braccio, in collo, per attraversare la piazza dell’Impruneta continuamente bombardata dai cannoni che erano a Mercatale Val di Pesa, ad un certo momento riesco ad approfittare di un momento di stasi dei bombardamenti, fare una corsa attraverso la piazza, portarlo nei chiostri dove s’era fatto una specie di soccorso. Più che soccorso, delle materasse distese lì. E mentre appoggio Fernando, questo ragazzo, sul materasso, vedo accanto quest’omino, di cui non mi ricordo il nome, che questo spostamento d’aria aveva levato tutta la roba di sopra e lui; era vecchio, s’era arrampicato… e dico: “o lei che cosa fa qui?”. “Mah… son qui…”. Ecco quindi la guerra, un altro aspetto che ha segnato molto… questa vita mia… questo periodo.
A questo collegherei, perché lo ricordo sempre… sempre… le prime… Quand’ero ragazzo io stavo all’Impruneta… e davanti a me… c’era il Pula, uno che si chiamava il Pula di soprannome. Un muratore, socialista… e mi ricordo sempre… io del fascismo mi ricordo soprattutto questo… le grida di quest’uomo e della su’ moglie quando venivano a purgarlo, a pigliarlo e a bacchettarlo… e quest’uomo mi voleva un bene… dopo, dopo, quando si ricostruì la chiesa dell’Impruneta dopo i bombardamenti, lui aveva una piccola impresa edile, e ha cominciato i lavori della chiesa all’Impruneta… la rimozione delle macerie… lui si era opposto tra l’altro alle vendette contro i fascisti lì all’Impruneta… lui era un uomo pacifico, era un uomo di pace… Il Pula mi voleva un bene… ecco, il fascismo io lo ricordo così…

Cioè per te il fascismo sono le grida di quest’uomo…
Bruno:
di quest’uomo… che mi arrivavano… io stavo in queste due stanze con la mia mamma e di notte, di mattina presto… Un ragazzino, sentire queste grida… ecco e questo è stato… sentire i poveri, la povertà di Gesù… fu come una voce, come un qualcosa che mi faceva prendere questa decisione…

Tu parlavi di questa forza, di questa violenza addirittura… Il Vangelo che ho conosciuto io è Gesù che vuole bene ai poveri… È un’altra cosa da questo punto di vista, no?
Bruno:
Io parlo di poveri come protagonisti della storia, di una chiesa… nemmeno di una chiesa… senza avere allora una conoscenza della grandezza, anche da un punto di vista geografico, di questa realtà… Ecco e però io lo ricordo come la prima impronta che io ho ricevuto.
Stavo dicendo del seminario, a parte la vita che si conduceva, le regole meschine… i professori che non ti insegnavano nulla, testi da dimenticare; però, al di là di tutto questo… non ho niente di cui lamentarmi. Devo ringraziare di avere avuto questa possibilità, sono stato privilegiato anche in questo, non è tanto lo studio quanto un qualcosa, un clima, una formazione che mi ha segnato…
E fu proprio alla fine… c’era l’abitudine, buona, giusta, di questo grande uomo (almeno per me), Elia Dalla Costa, il cardinale di Firenze; aveva introdotto questa abitudine… Quando si andava alle ultime vacanze e quindi prima dell’ultimo anno di Teologia… parlava con noi e cercava di capire gli orientamenti, i desideri, che cosa si sarebbe potuto fare… e quando poteva cercava di accontentare. Allora nel seminario io avevo conosciuto, non mi ricordo per quale motivo, i preti operai, (poi) fatti fuori da Pio XII e allora… era una conoscenza… la Francia, le riviste, Esprit… Ad un certo momento sentii parlare di padre Terzi, un gesuita che era molto critico con l’Azione Cattolica, proprio come complesso; ed era conoscitore della JOC, della gioventù operaia cristiana, specialmente belga e francese e ad un certo momento… lui viveva verso le Cure [un quartiere residenziale di Firenze], dove c’era una casa di Gesuiti… e ci parlai… gli domandai cosa faceva e lui mi disse che si occupava di un gruppo di giovani operai della Galileo; tra questi incontrai ragazzi che poi siamo stati sempre molto vicini e amici durante… gli anni dopo. Mi disse: “perché non vieni durante le vacanze…?” E io chiesi al Cardinale di poter andare con padre Terzi e lui fu contentissimo e fu per me una conoscenza, non tanto per quello che faceva… riunioni con questi gruppi di varie fabbriche, ma soprattutto della Galileo, quanto per le idee: questa critica profonda all’Azione Cattolica che era un’associazione interclassista…, ma senza essere vicina ai problemi dei giovani lavoratori e invece… per lui l’importanza della JOC soprattutto francese e della JOC belga, come era nata, e anche questo per me è stato un motivo… quando poi ho incontrato la JOC clandestina spagnola a Bruxelles, ad un congresso mondiale della JOC e poi dopo quando sono andato la prima volta in Spagna, quando c’era ancora Franco, abbiamo fatto delle riunioni, piccole cose ma che mi arricchivano… e infatti passai questa estate con padre Terzi…

Perché era un mondo che incontravi allora per la prima volta, questo mondo di giovani operai.
Bruno:
Sì, sì, eh certo, perché ero stato ragazzo all’Impruneta… però i problemi… e anche questo per me è stato fondamentale, mi commuovo ancora a ripensare… certi problemi io me li sono posti quando la mia mamma tornava a casa. C’erano sempre problemi di soldi, non veniva pagata, assicurata, faceva una vita tremenda e io mi ricordo, (allora cominciavo la quarta, la quinta elementare), “mamma, ma perché non ti fai pagare, ti fai dare gli acconti? te hai diritto… ma perché non torni prima a casa?…” e lei mi diceva: “ma come faccio, e se mi licenziano?…”.
Una vita… la prima formazione io l’ho avuta accanto alla mia mamma… io il babbo non l’ho conosciuto perché è morto che avevo diciotto mesi… ma la mia mamma… da tante donne… più che dagli uomini, ho imparato… Vorrei dire quasi che sono stato formato… mia mamma fin da allora, ecco, mi ha fatto così, per la vita che si conduceva… essere figliolo di questa mamma mi ha posto di fronte a certi problemi fin da ragazzo, quando non potevo valutare la grandezza, l’importanza, di certi problemi… e allora…

Ti avevo fatto la domanda se questo incontro con questi operai era…
Bruno:
sì, sì… e allora io passai queste vacanze con padre Terzi e quando il cardinale, alcuni mesi prima di dire Messa… parlò con me, mi domandò: “ma te che cosa vorresti fare? cosa ti piacerebbe fare, dimmelo molto sinceramente” e io gli dissi “mah, a me mi piacerebbe andare a lavorare in fabbrica”… Lui mi disse: “ma… lo sai, questo non è possibile… ma, non so… una periferia operaia dove sia possibile essere a contatto con questo mondo… va bene, ne terrò conto…”.
Dopo aver detto Messa mi manda infatti come cappellano a Coverciano… una parrocchia, la gran parte delle case popolari…
A un certo momento non mi ricordo come nacque questa cosa… lui mi disse se volevo andare a fare il vice assistente alle Acli e io dissi di sì, mantenendo in un primo tempo questo incarico… Mi occupai alle Acli con padre Terzi; …mi occupai dei giovani e si costituì… un bel gruppo di giovani che poi sono andati nel sindacato, nelle Acli stesse, in fabbrica… un gruppo che lavorava moltissimo. Addirittura mi ricordo ad un congresso delle Acli abbiamo contestato il Cappugi, che era allora il sindacalista della CGIL della corrente cattolica…
Abbiamo addirittura… perché eran fatti successi non solo alla Galileo, ma anche l’occupazione della Richard-Ginori…, tutte lotte meravigliose,… e avevamo fatto addirittura un progetto di legge…, illusi come s’era, per la occupazione delle fabbriche, per legalizzare, per vedere come potesse essere possibile una gestione operaia delle fabbriche occupate… Un giovane dei nostri… andò ad illustrare questo progetto di legge… ma il Cappugi stesso e poi il presidente delle Acli lo stroncarono.

[La Galileo è stata una delle più importanti fabbriche metalmeccaniche fiorentine, specializzata in meccanica di precisione. Nata come piccolo laboratorio nella seconda metà dell’800, situata nel quartiere industriale di Rifredi, conobbe un primo, grande sviluppo con la prima guerra mondiale, arrivando ad occupare più di 2.000 operai. Per decenni la classe operaia della Galileo, composta prevalentemente di operai specializzati, è stata uno dei pilastri del movimento operaio cittadino e punto di riferimento per le vicende politiche e sociali della città. Dagli anni ‘60 — dopo una travagliata fase di crisi e una dura vertenza che coinvolse la città e non solo — la Galileo entrò nell’orbita delle partecipazioni statali.
La Richard-Ginori è stata una delle più antiche e importanti fabbriche del territorio fiorentino, erede addirittura di una antica manifattura di porcellane fondata nel 1737. Specializzata in ceramica, nel secondo dopoguerra ha avuto il suo stabilimento principale, forte di oltre 500 operai, nel comune di Sesto Fiorentino, anche se l’azienda contava su altri stabilimenti in varie parti di Italia. Più volte nella sua storia — ed anche in questi ultimi mesi — ha vissuto crisi e trasformazioni importanti, spesso accompagnate da aspre lotte sindacali].

Erano operai giovani, ragazzi giovani…
Bruno:
ma preparati, io mi ricordo un intervento di Marcello Gori Savellini a una riunione che facevano a Firenze… un seminario, dove si ponevano tutti i grossi problemi operai, della fabbrica… la conclusione era della posizione della chiesa nei confronti (della classe operaia)… ma su questo ci si può anche ritornare…
Quando sono entrato a lavorare alla Pignone c’era questa voglia di esser presenti come chiesa in mezzo alla classe operaia… non dico per salvarla, non avevo questa intenzione… ma che ci fosse la presenza della chiesa in un mondo che la chiesa aveva rifiutato, in pratica, quando non anche combattuto…
Padre Terzi alle Acli, però, non durò molto… sostituito da un altro gesuita. Ad un certo momento venne da Roma l’ordine… dall’assistente centrale monsignor Civardi che io non potevo far più l’assistente.

È proprio il primo provvedimento contro di te, questo?
Bruno:
Sì, uno dei primi…


 

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