Svelare il tempo


 

Non si può svelare una realtà osservandola nel suo sé, quanto nel metterla in relazione con il diverso da sé, non assumendo come interpretazione le strutture ideologiche, sociali, teologiche dominanti ed autogiustificative, ma proprio “la pietra scartata” che sembrava di impedimento alla costruzione del sistema. È il diverso che svela la profonda realtà dell’identico e per vedere abbiamo bisogno di uno sguardo semplice e, nello stesso tempo, smaliziato, per sfuggire alla cattura delle “prese autoreferenziali”.
Svelare è sempre un’operazione delicata, soprattutto se si tratta della propria madre — in questo caso la chiesa — poiché attraverso lei è giunto fino a me l’annuncio del Cristo, la grazia… e la possibilità di risposta anche nell’esperienza di prete operaio. Alla rabbia per tanti tradimenti o infedeltà devo accompagnare la “compassione”, nel senso di accogliere quel limite che è presente anche nella mia struttura di persona, senza per questo ridurmi alla paralisi.
• Cosa è stato il grande giubileo del 2000 se non una celebrazione di una setta di cristiani (i cattolici) forte di una organizzazione gerarchica centralizzata che, in concreto, ha impedito di trovarsi con gli altri cristiani per far memoria dell’Evento Cristo, senza trionfalismi, per guardare con umiltà alle chiamate del nuovo millennio? In fondo i 20 milioni di turisti pellegrini sono poca cosa di fronte agli 80 milioni di induisti che, in pochi giorni, hanno preso d’assalto il Gange!
• L’ecumenismo di vertice, proprio perché non incontro tra volti e vissuti, ma dottrine, è in un vicolo cieco, c’è bisogno che Dio “cambi le sorti di Sion (cambiamo prospettive di incontro) per farci sognare” (Salmo 126,1). Quando riusciremo a chiedere perdono non solo delle atrocità degli uomini di chiesa, ma degli sbagli della chiesa stessa, ripresentati, in radice, nelle dichiarazioni dottrinali proprio durante l’anno giubilare?
• La chiesa incontra il singolo “diverso” (omosessuale…) con grande misericordia purché riconosca il suo “stato di peccato”. Il problema sorge quando il volto diventa “i volti”, il collettivo che chiede dignità nella diversità e lo spazio politico di riconoscimento: Questo è un attentato!
• Famiglia (cristiana), scuola (cattolica), difesa della vita (a senso unico), (buone) opere (private), concordato (particolare): la chiesa è diventata la “parte” politica e non delega più nessun partito cristiano. Gestisce in prima persona. In Italia non è nemmeno la CEI che contratta, ma lo stesso Vaticano è il supervisore della politica italiana, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. La profezia apre strade dal basso, il potere politico gestisce dall’alto!
Che schifo vedere le più alte cariche dello Stato prostrate all’ambasciata del Vaticano l’undici febbraio! Il concordato è un capestro per la libertà del vangelo, ma anche per la dignità della politica e dello stato.
Che schifo vedere Rutelli e Berlusconi correre dal ministro degli esteri vaticano card. Sodano, per presentare i loro programmi politici in vista delle elezioni politiche sperando in un benevolo cenno. Non dovremo più morire democristiani, ma peggio, nella melma.
Il tempo svela questa chiesa ridotta a forza storica e politica, ma anche la politica stessa, nel vuoto del contendere di due galli in ogni caso succubi alla globalizzazione ed all’ideologia religiosa.
Non voglio però fermarmi ai piagnistei, ma tento di porre alcune questioni che oggi non solo denunciano, ma aprono strade positive di rivelazione. Per me sono due termini che racchiudono esperienze, movimento, linguaggi, politica e contemplazione.
Il termine “genere” preso non nell’esclusivo significato di maschile/femminile, semmai come espressione di “differenza”;
Il termine “ecumenismo” assunto anche qui non solo con riferimento al dialogo tra chiese e religioni, ma come movimento di incontro di persone, popoli, culture, verso un sogno di pace e di unità del mondo.
Il primo pone al centro il limite alla propria identità, il secondo pone la relazione come tentativo di incontro positivo nella libertà dei soggetti.

1. Il patriarcato ed il passo di danza

“E Dio creò l’uomo simile a sé, lo creò ad immagine di Dio, maschio e femmina li creò” (Gen. 1,27). La differenza qui presentata non è contro l’uno, ma è proprio sua immagine. Anzi, è la stessa differenza tra uomo e donna che rende possibile pensare le altre differenze che costituiscono il mondo. Senza questa differenza non è possibile l’incontro, il dialogo, ma resta la solitudine dell’identico o l’assimilazione. Dio stesso, creando, ha costituito la differenza e (secondo il Talmud) ha dovuto fare un patto con la creazione per non annullarla di continuo in sé. Le varie alleanze di Dio con le persone e con i popoli della terra sono, prima di tutto, incontro di differenza.
La stessa storia umana, dopo la rottura dell’unità originaria, è accompagnata dalla nostalgia e dal desiderio di ritrovare questa unità. In questa linea le religioni si richiamano simbolicamente all’esperienza matrimoniale dove Dio sposa l’umanità e Cristo è sposo della chiesa. Nella storia però si è esasperata la differenza attraverso la concezione dualistica di significati irriducibili. Simbolicamente la dimensione donna è stata raffigurata nella terra, la materia, la debolezza, l’impurità, l’istintualità sessuale, il sentimento, la particolarità; mentre la dimensione uomo richiama: il cielo, la mente, la forza, la spiritualità, la scienza, la relazione sociale, l’universalità. Le stesse religioni (specie se monoteistiche) sono fondate sulla trascendenza come alterità irriducibile tra Dio e il mondo, tanto da scorgere un grande pericolo nella “fusionalità” proclamata dai mistici, guardati quindi con sospetto.
La differenza incontrata sconvolge l’impianto dei sé, dell’identità; è inquietante e pericolosa (vedi le questioni del sessismo, del razzismo e del fondamentalismo). Storicamente si è cercato di mettere ordine dando una collocazione filosofica e di regolamentazione sociale secondo l’ottica dualista del sotto/sopra, tutto/parte, dentro/fuori… in modo da permettere il controllo della differenza (femminile).
La cultura “patriarcale” ha assunto la dimensione maschile per esprimere l’umano senza differenze nell’accezione cosiddetta neutra ed universale.
L’egemonia maschile ha costretto la differenza femminile ad essere minorità, anzi, “mancanza” di fronte alla pienezza di un centro. Anche il linguaggio maschile ha catturato la differenza femminile ed è diventato garante nel segno della funzionalità e non dell’originalità, eliminando politicamente la differenza stessa. La paura del non omogeneo fa scattare le difese individuali e sociali per cui il differente è espulso, escluso o dominato, impoverendo la vita e la storia umana.
Il mondo invece è “eccentrico, le interpretazioni non dipendono da un solo polo (il maschile)”, poiché “al centro non starà più un soggetto, ma la relazione tra i diversi soggetti, i quali, nella pienezza della propria posizione, esprimono attraverso la relazione la propria consapevolezza che non tutto del mondo e di Dio è detto attraverso la loro espressione. Così ogni posizione esprime ‘parzialità’ nei confronti del mondo e degli altri soggetti, pur mantenendo la propria identità” (L. Tomassone, La parzialità di Dio, in I molti volti di Dio, Gabriellied., p.16).
Anche Dio partecipa alla parzialità del genere che lo interpreta, pur conservando la sua trascendenza. Nessuno può catturare il Mistero, sia pur rivelato, anche se per ognuno l’Assoluto diventa quello “guardato con tutta la propria anima”, secondo un’espressione di S. Weil, poiché ognuno ha coinvolto in esso tutto il proprio essere. Non c’è ragione/torto, verità/errore… ma c’è la ragione e la verità del darsi totalmente al Mistero percepito, del vedere col cuore e dell’affidarsi più che del fidarsi.
Le donne per secoli hanno vissuto lo sradicamento dalla propria identità, ma, nello stesso tempo, hanno posto in essere una resistenza non sempre sotterranea presentando linguaggi alternativi ed usando strumenti di comunicazione diversi dalla logica maschile. Se si fossero avventurate in un confronto di contenuti e logiche maschili sarebbero risultate perdenti.
Margherita Porete, Giuliana di Norwich, Ildegarda di Binghen, Caterina da Siena, Teresa d’Avila … partono da visioni, rapimenti, estasi … dove tutto di sé è coinvolto (anche il corpo, e si esprimono in un linguaggio figurato, simbolico di difficile riconoscimento maschile, linguaggio che sfugge alla gestione razionale del mondo. Sono viste con sospetto poiché i confini tra Dio e l’uomo diventano indefiniti secondo la logica dualista.
Oggi il mondo femminile, venendo allo scoperto ed esigendo legittimazione pone la questione del “limite” al mondo maschile prevaricatore. Passate da un femminismo rivendicativo, ora le donne stanno interpretando la valenza positiva del limite stesso. Il limite di una parzialità riconosciuta che vincola, ma non si pone come l’unica identificazione possibile, permette spazi liberi di azione.
Il limite è un interrogativo aperto alla chiesa, alla scienza, all’economia, alla politica, all’ecologia, al pensiero dominante (unico) ed apre ad una relazione non univoca con Dio e con il mondo.
La chiesa (cattolica e non solo) ha sposato un modello patriarcale ideologico con tutte le sue conseguenze dottrinali e strutturali predefinendo il posto della donna nella chiesa, affermando una mediazione col divino esclusivamente maschile. Il mediatore è colui che detiene il vero potere sulla realtà sociale. La chiesa per operare questo passaggio ha usato la simbologia di Gesù maschio sposo unito alla sposa/chiesa. Nessuno nega la dimensione storica maschile di Gesù, ma Lui per primo fa della propria identità maschile non uno strumento di dominio, ma di relazione con donne ed uomini anche nelle altre differenze di Ebrei, Samaritani, pagani, di sani o di lebbrosi, di giusti o peccatori, di oppressori ed oppressi…
Soprattutto attraverso l’incontro con la donna scopre il grido del corpo, la voglia di guarire, la sua missione di Messia anche per i pagani, la tenerezza nelle unzioni, l’amore che è più grande del peccato, la cura … La donna non è funzionale ad una dottrina o ad una religione, ma esprime una parzialità positiva anche di fronte a Dio. Gesù ha chiamato Dio col nome di Abbà che non è il padre/padrone patriarcale, ma il “papi” dei nostri bambini.
Gesù esclude, soprattutto nella relazione con i suoi discepoli, ogni relazione di potere e dominio; il centro è l’affidarsi a Dio ed al servizio dei fratelli come “servi inutili”, cioè perfettamente servi nella dimensione femminile della cura e della relazione.
Ritornando alla differenza: l’altro si esprime in un “linguaggio inedito”, cioè non edito, non conosciuto dall’identico, non accolto pacificamente. Occorre attenzione per decifrarlo, fermarsi, porre domande, altrimenti si è risucchiati dal pensiero dominante, anzi trasportati dall’identità dominante senza possibilità di movimenti contro corrente. Lo strumento del linguaggio non è necessariamente la parola, ma anche il corpo, i gesti, i silenzi, lo sguardo, i bisogni, le cose e soprattutto il grido non espresso o soffocato. Gesù ha imparato questo linguaggio nell’incontro con il diverso (Mc. 5,24) rimanendone scosso, provando stupore e meraviglia sia per la fede delle persone, e sia per lo stravolgimento del proprio pensiero e del linguaggio (Mc. 7,24ss.) Gesù è sempre stato fedele all’incontro con i volti.
Riconosciamo che le religioni faticano ad entrare in questa dimensione di genere. La loro esistenza è strutturata in un “credo” assoluto, in un messaggio etico “coerente” ed in una presenza socio politica escludente. Solo linguaggi esistenziali possono aprire brecce, come il linguaggio della fede, della mistica, della poesia e del racconto, come freno all’arroganza dell’identità irriducibile. Dio stesso resta inedito in quanto irriducibile ad ogni sistema teologico, ma Dio diventa parziale non solo nell’incarnazione, ma anche nelle nostre parzialità.
Ed allora: come ripensare le differenze anche dentro le chiese o le religioni? La chiave è sempre la particolarità non demonizzata, ed il limite come dato positivo.
“Limite” dal latino “limes” significa soglia: non è porta, ma breve linea impercettibile di confine, in cui sostare prima di entrare. Il limite è mancanza, privazione; è circospezione per non oltrepassare la dovuta collocazione che spetta a ciascuno nel mondo, perché essere unico non vuol dire essere solo. L’unicità è l’elemento distintivo (quest’ultimo richiama etimologicamente la distanza) ma va vista nel contesto di una unità molteplice, plurale, diversificata e cioè l’infinito.
Il limite non riguarda la possibilità, che invece è sempre aperta all’oltre, bensì il collegamento con altri e con il mondo.
È la distanza-margine-soglia che unisce e divide per coniugare senza mai annullare.

2. L’ecumenismo: aver ragione o trovare ragione

Il cristianesimo, a parte il conflitto iniziale con la tradizione ebraica, il confronto con la tendenza gnostica e la persecuzione dell’impero romano, di fatto non si è mai confrontato con il diverso.
Il confronto con l’Islam si è svolto sul piano dell’egemonia politico-militare e le drammatiche rotture dell’unità cristiana (ortodossi, cattolici e protestanti) hanno portato ad affermare una violenta autosufficienza di ogni parte.
Il diverso incontrato dal cristianesimo o è stato cancellato (i barbari) o assorbito (indios americani). Un nobile tentativo dei Gesuiti di porre un nuovo linguaggio attraverso i cosiddetti riti malabarici e riti cinesi è stato stroncato di autorità.
Grandi migrazioni verso l’occidente ricco ed il villaggio globale creato dai mezzi di comunicazione elettronica hanno ridotto le distanze e costringono a guardare in faccia il diverso.
Forse la domanda vera non è sulla salvezza o su Cristo, ma sul significato del rapporto con le altre credenze religiose a partire dall’alterità dell’altro, dalle nostre parzialità, differenze e limiti, senza fagocitare nessuno.
Constatiamo che la filosofia occidentale impostata sul logos ha costruito grandi sistemi di pensiero, ha prodotto ideologie politiche, è stata di supporto ad imperi economici e militari, ma ha fallito perdendo l’uomo. Le domande fondamentali sulla solitudine, la finitezza, il dolore, la morte… sono state evase in nome di un logos onnicomprensivo se non onnipotente. Resta non solo il silenzio, ma il vuoto riempito ora dalla tecnologia che sforna donne ed uomini clonati per i nuovi falsi miti del mercato e del consumo.
La verità che ne è scaturita è sempre stata una verità violenta con la sua pretesa di assolutezza ed il cristianesimo non è stato da meno.
Ecumenismo: non è un termine da ridurre ad un’esperienza di dialogo tra religiosi. Oikoumène è la terra abitata non solo da donne e uomini, ma anche da animali, dalle piante, dall’aria, dall’acqua … è ecologia globale. Ecumenismo è l’inarrestabile processo di incontro di popoli per la vita, la salute, la casa, il lavoro, il bene essere, l’identità … Ecumenismo richiama il venire dalla dispersione verso l’unità; un ritorno non più all’uniformità dove ognuno perde qualcosa di sé, ma alla pace (shalom) come pienezza di vita nella molteplicità dei colori dell’arcobaleno.
La relazione vera non nasce da egemonie, ma dallo “stupore” di fronte all’altro, al diverso che cela qualcosa di misterioso ed originario verso cui tendiamo coscienti della nostra estrema vulnerabilità.
Di fronte agli squilibri ed alle grandi sofferenze imposte dalla globalizzazione economica, la riconciliazione e la relazione tra popoli, culture e religioni non verrà da questa storia subita, ma dal desiderio profondo di abitare la terra in pace. È un sogno ancora inespresso perché dobbiamo imparare il linguaggio della relazione. Dio, umanità, mondo sottratti alla forma del logos rispettano la nostra parzialità nel farsi di una relazione originaria che dà spazio al silenzio, alla contemplazione, alla memoria ed all’attesa come davanti alla soglia della porta dell’altro. La verità diventa l’attendere e lo sperare di Abramo, l’arameo errante e nomade continuamente alle frontiere che lo immettono in lingue e tradizioni diverse con il rischio della contaminazione assumendo aspetti della ricchezza del diverso e diventando lui stesso: altro.
Anche la Bibbia non presenta verità compiute nella logica, ma racconta il dolore, le attese, le gioie, i peccati, le delusioni, la vita e la morte di persone che sono continuamente davanti al mistero della Gloria. La verità è il suo continuo farsi nell’alleanza-relazione accolta e tradita nel gioco della libertà. La relazione intreccia parzialità non produce una ragione o verità compiuta, ma una integrazione delle nostre parzialità.
Lévinas afferma che “essere creati ad immagine e somiglianza di Dio non vuol dire essere Dio, ma sua fragile traccia. Così sull’alterità non possiamo catturare il volto dell’altro, ma solo comprenderlo”.
Non siamo “figli unici”, nemmeno per le chiese e le religioni. Il ritorno all’unità non consiste nel tornare alla casa del più forte, ma nel costruire la casa comune nella giustizia e con la ricchezza della differenza.
Ecumenismo non è possedere gli altri, né le cose, ma il riconoscimento del linguaggio degli altri e delle cose della vita. È un cammino lento dovendo ora passare dalla giobalizzazione alla mondializzazione come solidarietà con ogni essere del mondo. Questo è il contesto in cui le chiese e le religioni si devono collocare, superando la tentazione di girare attorno a se stesse poiché solo il diverso è eccentrico, cioè rompe il nostro centro e rende possibile l’aprirsi al mistero. È un sogno ed un’utopia: “Lei sta all’orizzonte. Mi avvicino due passi e lei si allontana di due passi; cammino dieci passi e l’orizzonte si allontana dieci passi più in là. Per quanto cammini non la raggiungerò mai. Quindi a cosa serve l’utopia? Serve a questo: a camminare” (E. Galeano).
Per il credente è la misteriosa presenza del Dio della vita che soffia ai nostri orecchi e parla al nostro cuore e per questo continuiamo a guardare il volto dell’altro come Icona che salva.
Il mistero del Dio della vita è con noi e con gli altri, con la terra e con la creazione e ci interpella. L’incarnazione non è mistero di esclusività, ma di limite, perché il Dio della vita sia più umano e storico; e l’umano e lo storico sono realtà che portano con sé linguaggi e prospettive differenti. Le chiese cristiane per questo mistero sono giudicate e non rese padrone e sapienti, vengono interpellate per entrare in questo dialogo profondamente umano e per questo profondamente divino” (A. Potente, Tessuto di mille colori , Ed. Anterem, p. 73).

Luigi Forigo


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