Testimonianze 


 

DONNE AL LAVORO NELLE IMPRESE DI PULIZIE


Da due anni viviamo in un quartiere popolare alla periferia di Roma. Quando abbiamo cominciato a cercare un lavoro, ci siamo interrogate sulla realtà delle donne del nostro quartiere. Ci siamo rese conto che, tolta una piccola parte che lavora in ufficio o comunque fa un lavoro specializzato, la grande maggioranza trova impiego come “donna di pulizie”, che va dalla famiglia, all’impresa di pulizie, all’albergo.
Durante i mesi di ricerca per una di noi, che aveva presentato domanda di assunzione in diverse mense per scuole o uffici (proprio nel periodo di polemiche e scontri del comune di Roma per questi appalti), abbiamo potuto toccare con mano come si va a cozzare contro un sistema tale che non si sa proprio su che cosa far leva se non si vuole ricorrere alla raccomandazione più o meno accompagnata dalla bustarella.
Una mensa che cercava personale per delle scuole, dopo aver ritirato i documenti di lavoro della nostra sorella e, iniziate le pratiche per l’assunzione, telefona dicendo di andare a ritirare tutto perché sono stati scelti altri. Motivo ufficiale: l’ufficio di collocamento non ha dato il permesso di assunzione per quelli sopra i 29 anni. Vero? Falso? Sono arrivate persone raccomandate? La ditta ha voluto risparmiare una parte dei contributi? È difficile sapere la verità, tanto più che per ognuno rifiutato (abbiamo saputo di altri due del quartiere) la scusa è diversa.
Così, dopo non poche difficoltà e in tempi diversi abbiamo trovato lavoro, una in un’impresa di pulizie, l’altra in un albergo.
Ecco alcuni stralci di due nostri scritti nei quali tentiamo di condividere il tessuto quotidiano alle sorelle della Regione.

1.
Lavoro da circa un anno in un piccolo albergo di 25 stanze tutte con bagno, come cameriera ai piani. Paga oraria, lire 6.600 lorde.
Siamo solo due cameriere, in più c’è una donna tuttofare per colazioni, portinerie, organizzazione del lavoro; lei mangia, dorme, vive, tutto dentro
l’albergo; non ha mai un giorno di riposo.
Il padrone è preoccupato che tra noi non si creino legami, non si facciano discorsi. Davanti a lui e alle mie colleghe, che hanno paura delle sue reazioni e delle sue rivendicazioni, a volte sono tentata proprio di scoraggiamento, forse avevo sognato che fosse più facile creare relazioni, legami, solidarietà…
È un cammino di pazienza e di umiltà che il Signore mi pone davanti, è un cammino di accoglienza degli altri, per quello che l’altro vuole donare di sé, è un cammino di accettazione dell’imprevedibile, e questo ogni giorno… Creare comunione con la mia collega, superando la paura della sorveglianza, dei ricatti, delle ripicche, è per me il cammino di ogni giorno.
Vedete, io pensavo che fare comunione era farci forti l’una con l’altra per far fronte alle manie del padrone, per ottenere di essere rispettate, ma per la mia collega tutto questo non esiste… Mi sono sentita delusa, impotente, scoraggiata. Ti nasce dentro una domanda: che senso ha stare qui?
Ma con la collega sto scoprendo che cosa vuol dire fare Eucarestia nel quotidiano e del quotidiano… fare Eucarestia con una banana divisa in due o dei cioccolatini trovati o con una porta aperta perché l’altra faccia prima… È come se le cose di ogni giorno acquistassero un nuovo sapore: è ritrovare lo stupore di fronte al mistero di Dio comunione che si sbriciola in questi frammenti di comunione, è scoprire che Eucarestia è davvero rendimento di grazie perché è partecipazione e rivelazione della realtà stessa di Dio.
Insieme a tutto questo mi porto nel cuore tanti interrogativi per i quali non ho ancora una risposta scontata, già pronta: come fare con il padrone dell’albergo che sfrutta le situazioni e le persone a suo vantaggio? Cosa sono chiamata a vivere?

Mi sono chiesta, in tutto questo qual è l’Essenziale della mia vita, quale solidarietà passa con le donne che fanno lo stesso lavoro, dove la priorità… E poi come poter entrare in profondità in questo dinamismo di lavoro là dove “creare”, “lavorare” è visto solo come mezzo di sfruttamento, di rivendicazione, fatto a uso e consumo di terzi e forse a uso e consumo tuo?
Mi sono chiesta che cosa può aver forgiato il falegname di Nazareth se non la concretezza del quotidiano, la solidarietà di vita con i suoi. Le sue mani che lavoravano il legno lo hanno reso capace di lasciarsi lavorare giorno dopo giorno… fino a che quelle stesse mani si sono lasciate stendere su quel legno tante volte toccato. La materia prima del suo lavoro si è fatta mezzo di redenzione.
Il lavoro mi impegna allora a scegliere di vivere in quest’ottica di offerta di tutta me stessa, lasciandomi forgiare nella concretezza dell’oggi, con e per l’altro, fino ad imparare a stendere le mani all’Altro, agli altri, insieme, perché siamo sostanza plasmata dall’unico Padre

2.
Da due anni lavoro in un’impresa di pulizie; le condizioni di lavoro: cinque ore al giorno con circa due ore di tragitto per passare da un posto all’altro, questo per
la pulizia di quattro scale e due uffici, paga oraria £. 8.000 all’ora lorde.
La maggior parte di noi lavora sola, unico mezzo di contatto sono i giorni in cui si ritira il salario che andiamo a prendere in ufficio, oppure alcune sostituzioni nelle quali ci incrociamo, ma sempre per poco tempo: è meglio non farci lavorare insieme, per quello che si può.
Il rapporto con le colleghe che ho conosciuto si instaura subito e senza mezzi termini… le prime domande che ci si fanno sono sempre le stesse: “da quanto tempo lavori con la ditta? abiti lontano? quante ore ti danno?”…e, dopo aver creato una certa confidenza: “sei in regola?, quante ferie ti hanno dato?”
Il periodo di prova è abbastanza lungo per tutte; si vive nell’incertezza di essere lasciate a casa “perché non vai bene”, e solo quando la ditta è sicura che
lavori e “non pretendi troppo”, ti mette in regola.
Mi sono così trovata a fare un cammino per non ridurmi a “una macchina”, per avere il coraggio di dire di no a questo meccanismo che ti prende dentro, per camminare a poco a poco nella libertà di riconoscere i miei diritti oltre che i miei doveri. Per instaurare un rapporto di chiarezza anche con il capo, per quello che è possibile.
Ho scoperto anche le piccole solidarietà che ci facciamo tra colleghe pur non conoscendoci; per esempio il tenere pulito non in maniera perfetta lì dove lavori, in modo che chi ti sostituisce o viene dopo di te non sia obbligata a tenere i tuoi ritmi di pulizia.

 

Una Piccola Sorella di Gesù


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