Il Vangelo nel tempo


 

Sulla Resurrezione di Gesù, il “naufragio” di ogni “progetto culturale”, di ogni organizzazione ecclesiale, di ogni dispiegamento di mezzi, di ogni convegno. Perché di fronte al Cristo risorto, “ma anche innalzato nell’impotenza assoluta”, non resta che l’abbandono a questo amore folle”: “non carne e sangue lo dimostrano, ma la gratuità di Dio lo rivela”. E la Chiesa può solo trasmettere l’annuncio, non certo la fede. Ma per annunciare la follia dell’amore privo di calcoli e tornaconto occorre essere credibili, dimostrare di crederci, occorre sapersi abbandonare al buio nelle braccia di un amore così. Ma i cristiani e la loro Chiesa sanno abbandonarsi alla “follia del non ragionare secondo gli uomini”? La parola a Luisito Bianchi, prete dal 1950, già prete operaio, attualmente cappellano presso il Monastero benedettino di Viboldone (Milano), autore, tra l’altro, de “La messa dell’uomo disarmato”, un libro sulla resistenza divenuto un caso letterario.

L’AFFIDARSI AL BUIO.
“MA LA CHIESA SI PONE L’INTERROGATIVO SE È CREDIBILE?”

“Mi si chiede una testimonianza del mio vivere la fede nel contesto attuale della mia storia, immessa nella grande storia del mondo e della chiesa. Credo sia giusto, doveroso anzi, rispondere, non perché abbia scienza e competenza per trattarne né altro titolo particolare, ma solo perché sono prete da moltissimi anni, 56 mon Dieu, e un prete normalmente anche senza troppo badarci, di fronte al gesto per cui è ordinato, dice, canta, sussurra, grida: mistero della fede! Da 56 anni dunque lego la fede al mistero che è il fare memoria del Corpo e sangue di Cristo che continuamente si consegna per dire l’amore di Dio, ossia attualizzarlo, renderlo contemporaneo al mio vivere. Ed è da 56 anni che mi nasce, se non il dubbio, l’interrogativo: com’è possibile? che significa tutto questo? Mi sento immerso nel buio, ma senza angoscia, in pace. Se si tratta di un mistero non può essere penetrato, ed è pace questa mia incapacità; se si tratta di fede allora è pace abbandonarmi al buio fidandomi esclusivamente della Parola che opera quello che significa senza che si possa vedere nulla. Solo nel buio mi sento sicuro. Al di là di ogni pudore, io vecchio potrei servirmi dell’immagine del bambino che, con la mano nella mano di suo padre, non si cura dove la mano amorosa lo conduce; se se ne dovesse astrarre anche solo per un attimo, allora il buio potrebbe popolarsi di paure angosciose, come il trovarsi sull’orlo di un abisso, su un filo teso fra due irraggiungibili sponde.

“GUERRE, FAME, SFRUTTAMENTO … NON DOVREBBERO ESSERE DENUNCIATI COME NEGAZIONE DEL CORPO GLORIOSO DI CRISTO?

“Ecco, penso che fede sia questo affidarsi al buio sull’efficacia di quella Parola che in quel momento produce quello che significa, creando così un mondo nuovo come solo un amore incommensurabile, e quindi che sfugge a ogni cattura, a ogni spiegazione, un amore folle può fare. E questo come chiesa, non come atteggiamento personale. Il “fate memoria di me” è rivolto a tutta la chiesa. La mia fede è quella della chiesa, il mio buio e il mio abbandono sono quelli della chiesa. E la chiesa che ha ricevuto e che trasmette, è la chiesa d’ogni giorno che celebra e proclama al mondo, coram angelis et hominibus, questo enorme mistero di un Dio che si svuota della propria divinità per manifestarsi, lui l’infinito, nell’unico modo possibile per dirci chi è, la sua partecipazione totale, all’ultimo posto che uno più ultimo non è possibile, senza privilegi, alla grande avventura di diventare uomo, di provare la pesantezza del vivere senza pentimenti, fino al fallimento totale che è la morte.
Ci vuole un’eternità per gustare l’abbandono a questo amore folle; e infatti è questa la vita eterna. Non carne e sangue lo dimostrano, ma la gratuità di Dio lo rivela. La fede, dunque, è un dono. E poiché questo avviene nella chiesa, la chiesa stessa mi garantisce che l’ho accolto. Ma sarà pur sempre la Parola che giudicherà se la mia fede (che dico tale perché è un abbandono totale nel buio) è autentica: “Venite, vi conosco; andatevene, non vi conosco!” (Mt 25).

La credibilità della Chiesa. Non la chiesa trasmette la fede, perché anche per lei è un puro dono. Ne trasmette l’annuncio, questa buona notizia d’un Dio Uomo che è l’eu-angelion, appunto. Penso che compito della chiesa sia di rendere credibile il folle annuncio dimostrando ogni giorno che ci crede, se di ogni giorno è l’annuncio.
La mia credibilità non vale niente e non mi dilungo ad esporne le ragioni. È una credibilità di chiesa che si richiede; che io stesso, immesso in questa immensa fiumana d’umanità, richiedo. Ma la chiesa si pone l’interrogativo se è credibile? Quasi quarant’anni fa la chiesa — e dico chiesa perché è questa chiesa che si manifesta come chiesa — indisse l’anno della fede. Che senso ebbe? Certo, enormi mezzi ed energie furono mobilitati. Ma la fede non è questione di ogni giorno? E la credibilità che quanto si proclama si può ridurre a tutti gli sforzi e gli impegni profusi per celebrare l’anno della fede? L’impegno, la dedizione nell’organizzare e diffondere l’evento sono un conto; anche una grande multinazionale per lanciare un prodotto non è da meno.
Ci fu un anno dell’Eucaristia. Che senso poteva avere se l’eucaristia era la stessa vita quotidiana della chiesa e la credibilità doveva essere di ogni giorno?
Quest’anno mezzi ancora più potenti sono convogliati a Verona per un tema la cui credibilità potrebbe essere offuscata se non eliminata da tutto l’apparato impressionantemente meticoloso e filtrato attraverso tutti i marchingegni di persuasione di massa. Mi chiedo: ma io stamattina, e da 56 anni, non ho attualizzato il mistero del Cristo non solo risorto, ma anche innalzato nell’impotenza assoluta? Che fa oggi la mia chiesa per esserne testimone e dare credibilità alla netta, apodittica, nemmeno leggermente dubitativa affermazione che Cristo risorto è speranza del mondo? Come può essere Cristo risorto speranza del mondo se non c’è credibilità a simile affermazione, e il mondo di parole non sa che farsene? E speranza di che?
Certamente la speranza che il Corpo glorioso di Cristo, come manifestazione ultima dell’assunzione dell’umanità nella sua interezza, dalla nascita alla morte, indica il destino di salvezza dell’uomo, reso visibile in lui. Ma non si potrà mai giungere a ciò con un ragionare secondo gli uomini. L’aderirvi in tale buio assoluto è opera della Gratuità di Dio.
Che cosa compete allora alla chiesa mentre proclama a tutti questo mistero di salvezza? Anche stamattina nella celebrazione del Mistero della fede, con la comunità piccola o grande non ha importanza dato che è sempre convocata — è sempre ecclesia — mi sono risposto: che abbiamo a togliere ogni ostacolo alla credibilità. E possibile allora anticipare con un segno di credibilità questa salvezza dell’uomo già contenuta nel Corpo del Risorto? Guerre, fame, sfruttamento, strumentalizzazioni dell’uomo, e prima di tutti i più deboli, non dovrebbero essere denunciati come negazione del Corpo glorioso di Cristo? E comportarsi di conseguenza, come ci indica nella sua terribile chiarezza il cap. XXV di Matteo su quanto è richiesto per riconoscere Cristo ed essere riconosciuti da lui, Dio fatto Uomo, Crocifisso e Risorto a segno della follia d’amore per l’uomo? Dopotutto la chiesa non ha sempre affermato, e solennemente, che tutti i suoi beni sono “patrimonio dei poveri”, e dovrebbero essere a loro convogliati più che a organizzare grandi eventi di cui si dà per scontata la credibilità?
Capisco di non avere nessuna argomentazione per sostenere questa radicalità che potrebbe risultare la negazione della dimensione orizzontale della chiesa, ossia della necessità di incarnarsi nelle situazioni concrete e, quindi, collaborare con ogni mezzo alla diffusione del messaggio evangelico. Ma si tratta di rendere credibile l’incarnazione di un Dio, non della chiesa. La chiesa è in questo mondo, è questo mondo, oltretutto. Non ha bisogno d’incarnarsi. Il mistero della fede è il Corpo di Dio. Parallelamente non si può parlare di una dimensione verticale giacché un Corpo non è né verticale né orizzontale, è un Corpo ed è mistero della fede se si proclama che Dio ha preso il Corpo.
Sono allora un disincarnato, un vagante nel regno dell’utopia per non fare i conti con la fatica di cercare mezzi sempre più efficaci — e quindi di potere — come richiede la realtà dell’attuale situazione? Il fatto è che mi trovo, da una parte, sempre più estraneo ad ogni iniziativa che non posso non chiamare di chiesa e, dall’altra, patisco il timore di pormi per questo stesso fatto ai margini della chiesa, giacché non do nessuna fiducia alle sue grandi affermazioni mediatiche. È una specie di sofferenza allergica, quando si tratta di fede, ad ogni progetto, ad ogni pianificazione o strategia.

NAUFRAGIO DEL PROGETTO CULTURALE

Non penso che sia assente da questo modo di reagire l’immediato riferimento al primo grande progetto culturale della storia della chiesa che, nemmeno a farlo apposta, richiama nel tema il convegno di Verona. E proprio sulla risurrezione di Gesù fa naufragio. Il cap. 17 degli Atti (vv. 16-34) descrive la permanenza di Paolo in Atene. Vi si trova tutto quanto può fare un progetto culturale: studio della situazione (caratteri, luoghi e cultura) e quel tanto di provocazione da sapere suscitare non solo curiosità ma anche interesse. L’areopago diventa pertanto una specie di tribuna dalla quale Paolo può parlare liberamente. L’inizio è magistrale; l’ara del dio ignoto rivela l’interesse degli ateniesi al fatto religioso, la loro sete religiosa non ancora soddisfatta. Ed è proprio questo Dio ignoto che Paolo annuncia, in un grande affresco in cui viene messa in luce positiva la cultura ateniese (“come dissero i vostri poeti”): Gesù Cristo, risorto a garanzia che è proprio lui l’uomo scelto da Dio per giudicare il mondo. Alla parola “risurrezione” gli ascoltatori perdono ogni interesse: “Ti ascolteremo un altro giorno”. A Paolo, forse in quello stesso momento, appare chiaro che non ci sono progetti culturali che tengano, che non ci sono parole di persuasione, e va a Corinto ad annunciare il mistero di Dio non col prestigio della parola o della sapienza, ma avendo davanti solo Gesù Cristo e questi crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per i Gentili, come egli stesso afferma nella prima lettera ai Corinti, descrivendo la sua decisione, presa dopo il fallimento ateniese del progetto culturale.
Ed è ancora in questa prima lettera che inequivocabilmente farà risiedere la credibilità del suo annuncio (che opera nel dono gratuito della fede) nel non servirsene per risolvere il problema del suo sostentamento, benché ne abbia la facoltà. Se la salvezza è gratuita, allora non riceverà in cambio dell’annuncio nulla, ma lavorerà notte e giorno per togliere ogni ostacolo alla libera e gratuita corsa dell’evangelo. Sarà sempre questa, ovunque, la sua irrinunciabile credibilità.
E così ritorno all’inizio della mia testimonianza: mi abbandono nel buio alla potenza di una Parola confessandola efficace nell’operare quanto significa: Corpo innalzato, crocifisso e risorto, e infinitamente misericordioso se non sempre la sua chiesa dà segni credibili di affidarsi esclusivamente alla sua potenza che si rivela nella debolezza, nello scandalo e nella follia del non ragionare secondo gli uomini.

Luisito Bianchi


Share This