10 giugno 2017 / Bergamo
TERRA E POPOLI. FUTURO PROSSIMO
Interventi e risonanze (2)


 

«Immaginiamo di essere tutti sul Titanic, davanti al gigantesco iceberg che avanza, con tanti diversi capitani, ciascuno dei quali vuole imporre il suo comando: la catastrofe è assicurata. Solo coordinando gli sforzi si potrà salvare il salvabile» (Tim Flannery).

L’immagine rende bene la situazione nella quale ci troviamo tutti, non solo noi, ma anche i bambini nati o che verranno e che abiteranno la terra dopo di noi. Non c’è un pianeta di riserva, nonostante i tentativi di trovarlo. Se si continua a trattarlo come una miniera da cui cavare tutto ciò che al momento arricchisce e come una discarica da riempire con montagne di rifiuti e l’atmosfera con miliardi e miliardi di tonnellate di CO2 e altri inquinanti, creiamo un contesto sempre più invivibile per gli esseri umani. In maniera irreversibile.

Proprio in questi giorni, che hanno visto l’attenzione concentrarsi sulla decisione di Trump di stracciare l’Accordo di Parigi del 2015 sul clima, è apparso in Italia un libro davvero bello, scritto da uno dei più grandi scrittori indiani, Amitav Ghosh, che vive tra New York e Calcutta, la sua città natale. Il titolo nella traduzione italiana, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, è inquietante. Però la lettura del testo, ricco di una precisa documentazione e offerto da una brillante capacità narrativa, ci porta a scoprire «tutta l’urgenza e le ombre di qualcosa che non riusciamo davvero guardare: il destino dell’umanità» (Giorgio Agaben). Sullo sfondo rimane l’impensabile, perché fa troppo male anche solo immaginarlo. Eppure le anticipazioni dell’impensabile ci sono e l’autore le narra nella prima parte che ha per titolo: le storie.

Ma perché la grande cecità? E’ la traduzione dell’inglese derangement che significa scompiglio, sconvolgimento, confusione, ma anche alienazione mentale, oppure guasto di una macchina, di un automezzo. Più volte, nel racconto, utilizza questo termine, ad esempio dopo la seguente citazione: «Il denaro scorre verso il guadagno a breve termine. Verso lo sfruttamento eccessivo di risorse comuni non regolate. Queste tendenze sono come la mano invisibile del fato. Che nelle tragedie greche guida l’eroe verso l’inevitabile catastrofe» (David Archer). E lui commenta: «Questa è l’essenza dell’odierna cecità del genere umano».

Anche futuri visitatori di musei «in un mondo sostanzialmente alterato in cui l’innalzamento dei livelli dei mari avrà inghiottito città come, Kolkata, New York e Bangkot…», non trovando traccia di segni premonitori nell’arte e nella letteratura della nostra epoca, la definiranno «l’epoca della Grande Cecità».

La contraddizione di fondo nella quale ci troviamo è la seguente: «Oggi, proprio quando si è capito che il surriscaldamento globale è in ogni senso un problema collettivo, l’umanità si trova alla mercé di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettività dalla politica, dall’economia e anche dalla letteratura». E anche dal nostro modo comune di pensare e di agire.

«Mi appare sempre più evidente che da sole le istituzioni politiche sono incapaci di affrontare questa crisi. Il motivo è semplice: il pilastro di queste strutture è lo stato nazione, che per propria natura è tenuto a tutelare gli interessi di un unico gruppo di persone…»

Il recente incontro dei G7 è l’ultima riprova dell’incapacità di guardare al pianeta in termini di sostenibilità globale e di diritto dei popoli, di tutti i popoli, a vivere in una terra abitabile. Inettitudine anche di casa nostra, dove la politica sembra aver smarrito il senso della propria mission, prigioniera «di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettività» nella cura dell’ambiente, del territorio e dei beni comuni.

E’ la storia del Titanic, della cecità dei capitani litigiosi e del sonno dei passeggeri.

«Ma il problema è il tempo…Ogni anno che passa senza una drastica riduzione delle emissioni globali rende la catastrofe più certa»

Roberto Fiorini


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