SULLA STRADA DEGLI UOMINI E DELLE DONNE
VIVERE L’OGGI… APRIRE L’AVVENIRE
Incontro internazionale PO / Strasburgo, 2-4 giugno 2001


 PO catalani

 

Mi chiamo Rossend Darnes I Bosch. Sono nato nel 1943 in un piccolo paese rurale di 260 abitanti. Sono il terzo di quattro fratelli, tutti maschi. I due più grandi, contadini come i genitori ed i nonni. Piccoli proprietari rurali.

L’insieme di idee, valori, controvalori e pregiudizi di questo mondo rurale hanno pesato molto su di me fin dalla mia infanzia. Già da molto giovane, tutto il tempo che mi lasciavano libero la scuola e gli studi nel Seminario, lo passavo lavorando in casa, con loro e come loro. In casa si lavorava tenacemente. Ciò comportava che non assistessi ad alcune messe giornaliere e, per questo motivo, mi fecero ritardare gli ordini minori.
Per approfittare del tempo di questo differimento mi consigliarono di andare a Roma per prendere una laurea. Rifiutai immediatamente, adducendo che, anche se mi piaceva il sapere, non volevo che questa opzione condizionasse il mio futuro a fare da professore o da funzionario della curia. Volevo evitare di allontanarmi dalle mie origini e declassarmi. Fin dal Seminario avevo già deciso che volevo esercitare da prete lavorando manualmente, come faceva la gente comune. Avevo capito che il popolo buttava in faccia alla Chiesa (ed ai parroci) quelle parole del Vangelo: “Dicono e non fanno; caricano pesanti fardelli sugli altri e loro non li toccano neppure con la punta di un dito”. Questo gravissimo problema di incoerenza fa che la Chiesa (ed anche molti politici) non siano credibili.
Sapevo che la gente era stufa di parole e che voleva dei fatti ed una vita autentica. I miei compagni di corso conoscevano il mio posizionamento e, grazie ad uno di loro, potei evitare di andare a fare da educatore e professore ad un Collegio del Vescovato, quando vi inviarono cinque di loro. Ordinato sacerdote, restai senza destinazione un periodo abbastanza lungo. Uno dei miei fratelli (mio padre era morto in un incidente) mi disse: “Se loro non ti danno lavoro, te lo darò io”, e mi mise a cavare patate.
Finalmente mi destinarono come vicario. Passai per tre parrocchie. Trascorsero quattro anni e mezzo. Gli ultimi tre con un parroco molto intelligente e, ancora di più, autoritario. Io avevo bisogno di una autonomia per poter iniziare i miei piani. Con altri due compagni sacerdoti ci rivolgemmo al vescovo chiedendogli che ci lasciasse formare un gruppo e che ci assegnasse una parrocchia. Costò molto ottenerlo. Uno di loro non lo lasciarono venire; gli dissero che con noialtri “si sarebbe perso”. Di fatto, pochi anni dopo si secolarizzò.
Ci inviarono entrambi in una piccola parrocchia rurale di 270 abitanti, con l’incarico che io mi dedicassi ad un’altra di 400 abitanti, in cui risiedevano molti immigranti del sud della Spagna. Il Vescovo mi suggerì di occupare il mio tempo facendo da professore di religione. Senza essere troppo esplicito, gli dissi che avrei cercato di farlo.
Arrivati alla parrocchia, cercammo subito un lavoro. Non era per nulla facile: non avevamo nessun mestiere né una preparazione di nessun tipo, al di fuori del lavoro come agricoltore con i miei. Inoltre la gente sapeva che eravamo sacerdoti e questo complicava di più la situazione. Ciò nonostante, presto cominciammo a lavorare in una azienda del sughero (tre lavoratori ed il capo), in cui si producevano tappi per le bottiglie di vino. Dopo un mese e mezzo, al mio compagno, Vicenç Fiol, offrirono un lavoro in una officina per la verniciatura di carrozzerie. Doveva imparare il mestiere, ma se ne andò con loro e continua tuttora. Io sono rimasto 23 anni nell’industria del sughero.
Nelle piccole industrie c’era un trattamento paternalista e nessuna presenza sindacale. Ciò nonostante, ho assistito a qualche assemblea informativa dei sindacati e partecipato a qualche sciopero. Ho partecipato pure alla nascita del sindacato agricolo “Unió de Pagesos” (Unione di contadini) nella comarca ed ho potuto persino assistere al suo primo congresso.
L’attività nella parrocchia era molto limitata. Tuttavia, ci siamo sempre proccupati di avvicinarci alla gente, a coloro che venivano in chiesa ed a tutti gli altri, cercando di essere “noi” uno di loro. È stata una esperienza di Nazaret che ancora continua, il “farsi un uomo qualunque” della lettera ai Filippesi. Partecipavo alle attività proprie del paese, nella Commissione delle Feste, nella Associazione dei Cittadini (in momenti di conflitto mi chiesero di moderare le assemblee pubbliche), nel club di calcio, nelle lezioni di catalano per adulti ed in tutta l’attività sacramentale di messe, catechesi, comunioni, piccoli gruppi di formazione e revisione cristiana, preparazione di persone per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, ecc. ecc.
Al principio avevo già avvertito che le mie origini mi avevano condizionato e configurato. La durezza e la dipendenza dai capricci metereologici rendono i contadini molto più realistici e previdenti a fronte delle professioni liberali e delle proposte dei politici. Non si lasciano prendere facilmente dall’euforia.
A causa di una crisi di lavoro, venne soppressa la sezione in cui lavoravo e dovetti lasciare la ditta e ricominciare. Prima in una multinazionale americana con 40 lavoratori in produzione ed altri 30 negli uffici. Lavoro continuo ed a catena, con turni di notte. L’azione sindacale veniva molto mediata dall’azienda. Contratti di sei mesi durante due anni. Poi, come molti altri, alla strada, con la finalità di non farci dei contratti indefiniti. Lavoro duro e brutto ambiente fra i compagni. Più di sei mesi disoccupato. E di nuovo a fare da contadino. Cinque lavoratori fissi durante tutto l’anno e nelle epoche del raccolto molti di più.
Frutticoltura: pesche, pere e mele soprattutto. Anche riso (4 lavoratori in più). Due anni e la stessa storia. Per non farmi fisso, alla strada. Dopo un breve periodo di disoccupazione, vado a finire in un’altra azienda agricola, dedicata alla frutticoltura. Anche qui, contratti temporanei fino a completare i due anni e poi alla strada. Ed un’altra volta all’agricoltura (10 ore d’estate e 9 ore d’inverno), dove lavoro attualmente da 20 mesi, in una Fondazione che possiede una tenuta sperimentale, in cui si realizzano tutti i tipi di prove per aiutare il rinnovamento del mondo agricolo nella coltivazione di nuove semenze e nuove piante (da frutta, per il legno), frumento, orzo, granoturco… Sperimentazione di nuovi insetticidi ed erbicidi, di nuovi metodi di irrigazione per risparmiare acqua… Molti studenti dell’Università passano per questa azienda. Non ho un contratto fisso, ma tutto sembra indicare che andrò in pensione da qui. Da circa 11 anni ho lasciato le prime parrocchie per attenderne altre cinque nuove, anch’esse in zone rurali, con un totale di 470 abitanti.
Quantunque il mondo rurale assuma ogni volta di più gli stereotipi della vita delle città, penso che in esso persiste ancora un modo peculiare di intendere la vita, un certo stile di sobrietà, uno spazio in cui tutti hanno un nome, un realismo… Da sempre mi sono avvicinato alle persone cercando un trattamento da tu a tu, da uguale ad uguale. Cerco di aprire loro gli occhi, di stimolare l’autostima, la solidarietà mutua, il mantenimento delle forme di vita semplici, la lotta contro la prepotenza e gli interessi dei nuovi vicini di seconda residenza.
Ho lavorato nell’approfondimento dei contenuti e l’adattamento del linguaggio religioso e liturgico, per formare dei cittadini che siano soggetti attivi e liberi e dei credenti culturamente solventi, accoglitori dei molti nuovi immigranti, arabi e negri, che ci arrivano. Finora tutto è stato molto piccolo ed umile. Se fosse la semplicità positiva del Vangelo, sarebbe chiedere molto.

 

Rossend Darnes I Bosch


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