Davanti ai giudici (3)
PRETE OPERAIO A GIUDIZIO. VILIPESE LA MAGISTRATURA
Don Bruno Borghi accusò, con due lettere aperte, i giudici di aver pronunciato sentenze faziose. Prosciolto nella stessa istruttoria un pretore fiorentino
Si è conclusa l’inchiesta della magistratura bolognese sul preteoperaio e il giudice fiorentino imputati di vilipendio all’ordine giudiziario: il sacerdote dovrà comparire in corte d’assise per due «lettere aperte» fatte pubblicare nel 1971 mentre il giudice è stato prosciolto con formula piena.
Nel’ maggio del ‘71 don Bruno Borghi, 53 anni, residente a Impruneta, via Quintole 61, all’epoca parroco a San Miniato, fece stampare diecimila copie di due lettere aperte, nelle quali raccontava la sua Storia di preteoperaio licenziato da una fabbrica. A suo giudizio, aveva perso il lavoro per la sua intensa attività sindacale. Fatto ricorso allora alla magistratura, vi era stato un processo di primo grado che gli aveva dato ragione; c’era stato però appello e la sentenza tardava a essere pronunciata.
Don Borghi lamentava tale fatto esponendo una dura critica alla magistratura, fra l’altro sostenendo che i giudici, in tema di licenziamenti, avevano sempre fornito «sentenze faziose» e affermando che «la magistratura serve ai padroni». Le lettere aperte furono distribuite a Firenze il 28 maggio del ‘71 presso il circolo dei dipendenti della provincia, di via Ginori, durante un’assemblea.
Di quella pubblicazione si occupò l’ufficio del pubblico ministero il quale fra l’altro accertò che pure all’interno degli uffici giudiziari erano stati distribuiti inviti a partecipare al dibattito sul caso di don Borghi con allegate le lettere aperte incriminate. Della distribuzione degli stampati, risultava dall’inchiesta, si era attivamente occupato il pretore dottor Beniamino Deidda, 37 anni, abitante a Bagno a Ripoli in via del Cerreto 5.
La cassazione affidò il caso ai giudici bolognesi che, ottenuta l’autorizzazione a procedere del ministero di grazia e giustizia, iniziarono l’istruttoria per vilipendio dell’ordine giudiziario.
Gli accusati hanno inviato ai giudici alcune «memorie» per chiarire la loro posizione. Don Borghi avrebbe confermato gli scritti sostenendo il suo diritto di critica come libertà di espressione ammessa per tutti, anche nei confronti della magistratura. Il dottor Deidda avrebbe precisato che sua intenzione era solo quella di invitare i conoscenti a partecipare al dibattito e che, per metterli al corrente dell’argomento, aveva ritenuto opportuno allegare le due lettere aperte. Sulla base di questi ed altri elementi, il giudice istruttore, dottor Valerio Savoi, ha preso ora la sua decisione, rinviando a giudizio della corte d’assise don Borghi, sostenendo che gli scritti sono vilipendiosi in quanto «tendono a presentare ai suoi destinatari una magistratura, un ordine giudiziario completamente asservito ad una classe e suo complice – volontario e non coatto nell’opera di sfruttamento e di oppressione di un’altra classe di cittadini».
Assoluzione perché il fatto non costituiva reato, invece, per il dottor Deidda in quanto «il volantino vilipendioso – scrive il giudice istruttore – fu distribuito unitamente all’altro foglietto a stampa, relativo al dibattito, cosicché il volantino costituiva, almeno nell’apparenza esteriore, un documento allegato all’invito».
(dal quotidiano LA NAZIONE)