Ricordando don Renato Pipino


 

Venerdì 21 dicembre la sala S. Marta ad Ivrea è gremita per la serata in ricordo di don Renato Pipino. Dalle numerose testimonianze la sua figura emerge in modo molto chiaro come persona che ha creduto davvero (ingenuamente dice lui..) che il Concilio sia traducibile in vita concreta per le persone e anche per l’istituzione ecclesiale.
Non sono in grado di riportare i vari interventi che via via hanno sottolineato la complessità e semplicità, la completezza e l’apertura di don Renato; vorrei invece raccontare di ciò che mi è sembrato percepire.
Se pensiamo che la sua vita, come quella di tutti d’altronde, sia un soffio dello Spirito, allora è nelle nostre possibilità accogliere questo soffio. Don Renato si è fatto parola senza potere per un futuro possibile per tutti e con tutti, ma cominciando dal basso.
Via via nella sua vita ha abbandonato quella che sarebbe potuta divenire una “carriera ecclesiastica” significativa; ne aveva tutte le capacità e intelligenza, per una vita semplice e fraterna, ma anche più rude, in comunità a Banchette e poi nella “Fraternità di Lessolo”.
E anche la sua parola nel tempo è scesa dai pulpiti (ma forse non vi era mai salita) per diventare dialogo fra pari. Così tutti i grandi temi del suo tempo e anche del Concilio, la povertà, gli ultimi, il dialogo, l’ecumenismo, il lavoro ecc… sono stati trasformati in gesti concreti, nella quotidianità: non tanto essere dalla parte dei poveri, ma provare a diventare poveri e semplici, non teorizzare il dialogo ma porsi alla pari senza proclami, non teorizzare un lavoro migliore ma condividere il lavoro che c’è, (oggi non c’è..) prima in fabbrica e poi in Fraternità, la cultura non per separarsi dagli ignoranti ma per far emergere la cultura di chi non sa di averla,l’essere prete(far parte di una istituzione) semplicemente per ricordare a se stessi e a chi lo desidera che il Regno è più ampio.
Questo modo di essere di don Renato dopo la sua morte è diventato più chiaro e visibile (ma era leggibile anche prima). A noi che l’abbiamo conosciuto, questa chiarezza di oggi mi sembra più un’indicazione per il futuro che un rimpianto del passato, più un’attenzione al nuovo che dovrà nascere (sta già nascendo) che un voltarsi indietro.
Credo che sia possibile dire che in lui il Concilio si è fatto carne, perché tutta la sua vita è ruotata intorno a questo avvenimento.
Certo vien da sorridere pensare di proporre don Renato come esempio di vita per i seminaristi di oggi: ma l’idea che nonostante tutti i limiti, anche gravi, tutti noi dobbiamo molto all’istituzione ecclesiastica (chiesa?!…), è affiancata e pian piano sostituita dal fatto, oggi più chiaramente visibile, che è la forza del Vangelo (che in realtà non conosciamo ancora…) che spinge il mondo, nonostante l’istituzione ecclesiale.
In questa crisi che sembra non finire mai, lo Spirito soffia attraverso la vita di chi ci sta accanto: a noi sta il saperlo accogliere.

Silvio Salussolia


Share This