Convegno di Bergamo 2019 (2)


 

Prima di diventare un genere letterario e dare vita ad un’intera sezione del canone tripartito delle Scritture ebraiche, la sapienza è uno sguardo su quanto avviene sotto il sole. È un modo di abitare la terra, di pensare la vita, le relazioni, anche quella con Dio. Da dove nasce questo sguardo? Nel territorio biblico, lo sguardo a lungo acceso sulla realtà è quello espresso nelle altre due navate della cattedrale delle parole rivelate: nella Torà e nei Profeti. Uno sguardo strabico, in un certo senso: che con un occhio mira “in alto”, a quel monte, il Sinai, da dove viene la chiave di lettura divina per decifrare il senso degli eventi (Torà); e con l’altro occhio fisso sulla storia, per verificare se la Parola solennemente proclamata dalla voce divina trova o meno espressione nelle opere e nei giorni (Profeti). Il cielo si abbassa sulla terra, consegnando tutte le istruzioni per l’uso; e la terra verifica l’effettiva esecuzione dell’esperimento, il grado di presenza celeste nel groviglio degli avvenimenti storici.

Cos’altro aggiungere? Non è più che sufficiente questo tipo di sguardo?

Lo sguardo è un punto di vista, che mette a fuoco alcuni aspetti e ne lascia in ombra altri. Lo sguardo – ogni sguardo – è parziale. Persino quello acceso sul Sinai, la cui fiamma i profeti hanno continuato ad alimentare. Il fuoco della Torà e della parola profetica infiamma la scena solenne dell’alleanza tra Dio ed Israele. Su quella scena, risuona una Voce che annuncia e che denuncia. Rimane, invece, in ombra la parola orizzontale, che educa e forma, che custodisce l’umanità in un mondo disorientato, che ha smarrito il senso della condizione umana. Gli scritti sapienziali sono l’umanesimo biblico. Nello sguardo sapienziale non c’è il pathos dell’ideale e nemmeno l’urgenza della redenzione. Piuttosto, si presta attenzione al quotidiano e all’impegno personale che il singolo deve sostenere; la sapienza ricerca le necessarie competenze per muoversi nella realtà della vita. Nessun rifugio in un mondo parallelo: lo sguardo si appunta in una storia concreta, particolare: le grandi ore d’Israele diventano le piccole ore della vita di un singolo. La sapienza è un ritorno all’elementare (la promessa si confonde con l’elementare dell’esistenza).

E la realtà messa a fuoco dallo sguardo sapienziale non è più a tutto tondo, come nella scena epica iniziale, ma risulta profondamente ambigua, mutevole. Non offre stabili prospettive ideali ma domanda di passare da problema a problema, optando per scelte che, tolte dal contesto, sembrerebbero contraddittorie (cfr. Prov. 26,4-5: “non rispondere allo stolto… rispondi allo stolto”!). Dio non parla più con la voce tonante del Sinai. Tocca al singolo decidere quale sia la scelta adeguata alla circostanza in cui viene a trovarsi. All’epica dei tempi fondatori e dei successivi oracoli profetici, i sapienti preferiscono una narrazione che esplori la condizione umana nei suoi diversi e contraddittori aspetti. Un po’ come il romanzo moderno, che Milan Kundera presenta in questi termini: “Mentre Dio andava lentamente abbandonando il posto da cui aveva diretto l’universo e il suo ordine di valori, separato il bene dal male e dato un senso ad ogni cosa, don Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo. Questo, in assenza del Giudice supremo, apparve all’improvviso in una temibile ambiguità; l’unica Verità divina si scompose in centinaia di verità relative, che gli uomini si spartirono fra loro. Nacque così il mondo dei Tempi moderni, e con esso il romanzo, sua immagine e modello”1.

Forse, questi cambiamenti di sguardo non tracciano solo quegli ampi archi temporali che suddividono la grande storia. Continuano a riproporsi nel groviglio delle vicende umane. Pensiamo al nostro passato prossimo e a questo inafferrabile presente. Al tempo fondativo della Costituzione è seguito il tempo profetico della denuncia del suo tradimento, dell’imporsi di una costituzione materiale differente da quella scritta sulla carta; ora, anche quella stagione della contestazione sembra esaurita e ci ritroviamo a dover ripensare il senso di un’umanità smarrita. Il linguaggio solenne dei valori costitutivi, come quello militante che ha dato voce alla stagione delle lotte, sembra non parlare più a questa generazione. Come nel canone biblico, sorge l’esigenza di un altro linguaggio, che si smarchi dalla lingua parlata in precedenza, troppo compromessa con i sacerdoti difensori dell’istituzione e con i falsi profeti. Bisogna inventare una nuova lingua, che provi a dire quanto gli occhi vedono, esplorano. Occhi che possono essere sollecitati dalla voce divina a guardare e a valutare; ma che non fanno leva, almeno in prima battuta, su quella presenza.

È un volare basso, arrendevole? Forse, ma in certi momenti è possibile solo questo, per non essere ridotti al silenzio della resa. Lo sguardo sapienziale è pragmatico, appuntato a quanto succede “sotto il sole”, pur sapendo che c’è anche un “sopra”, e che alla fine i giochi li farà Dio. Il presente, però, sollecita mosse parziali e, allo stesso tempo, sagge, astute, che evitino la paralisi di fronte all’immane potenza del negativo.

Quali mosse? Rispetto alla situazione di grave crisi ambientale che abbiamo di fronte, cosa può suggerire lo sguardo sapienziale?

La sapienza è sguardo lucido, mosso da una passione educativa. Sta qui il suo apporto principale per il nostro tempo. Perché oggi a surriscaldarsi non è solo il clima ma anche gli animi! Ed è su questi ultimi che occorre lavorare. Non solo fornendo le necessarie informazioni ma, insieme, pulendo lo sguardo: poiché si vede la realtà non per quella che è ma per quello che siamo. Gli occhi sono filtri, non specchi: vedono quello che vogliono vedere. Di qui l’importanza di agire a monte, sullo sguardo. E agire con scaltrezza, con un linguaggio che si sottragga al rifiuto pregiudiziale che scatta di fronte ad argomenti ritenuti scomodi. La sapienza comprende cosa muove la denuncia profetica e il carattere ultimativo dello sguardo apocalittico. Ma ne vede il limite: il rischio di assecondare lo spirito del nostro tempo che va collezionando le molte “immagini della fine”, dove l’impressione dell’evento catastrofico cede lentamente il passo a quella normalità cui si torna ogni volta con impressionante facilità. La sapienza si muove nello spazio angusto tra la denuncia dell’insufficienza del governo internazionale del clima – “non c’è più tempo!” – e l’ambizione di poter costituire un’alternativa realistica – “siamo ancora in tempo!”; e lo fa con la convinzione di dover trasporre le varie forme di lotta climatica sul piano delle pratiche quotidiane.

Spaventati dai sintomi di una crisi che minaccia l’esistenza sul pianeta, molti manifestano la loro preoccupazione scendendo nelle piazze (perlopiù solo in quelle virtuali, postando sui social foto, video, slogan, considerazioni varie). Anche la sapienza “grida per le vie, fa udire la sua voce per le piazze”; nella città, la sapienza “pronuncia i suoi discorsi: volgetevi ad ascoltare la mia correzione… il mio consiglio… la mia istruzione” (Prov. 1,20ss). Più che la drammatizzazione del rischio conta il farvi fronte operando precise scelte, assumendo uno stile di vita conseguente alla situazione. Conta l’educazione alla cura del giardino, e non in nome del necessario sacrificio ma, al contrario, del godimento che una tale cura promuove.

Nel linguaggio sapienziale fa capolino l’astuzia della parabola che non punta immediatamente il dito sulla situazione di crisi per denunciarla ma, come dice la parola stessa, la prende larga, facendo in questo modo calare le difese dell’interlocutore che non si sente sotto processo e solo alla fine intuisce che di lui parla la favola. E, insieme, troviamo l’arguzia del proverbio, dietro il quale vi è il racconto, ovvero la memoria dell’esperienza vissuta, ripetutamente narrata e confrontata, e infine sintetizzata nella sua verità in forma aforistica, secondo un linguaggio poetico, simbolico.

La sapienza si gioca nel compito gravoso di non semplificare la realtà, di penetrarne la complessità, ma insieme di restituire questo sguardo in un linguaggio accessibile, essenziale: pensare complesso e parlare semplice!

Questo linguaggio astuto e arguto, parlato con passione pedagogica da chi, a lungo, ha osservato ed esplorato la realtà e si è interrogato sul modo più efficace per far fronte alla crisi, deve essere messo in campo in questo nostro presente, affetto da presentismo e tifoseria. Il segnale mandato dai mutamenti climatici non viene preso sul serio anche perché viviamo di attimi, siamo schiacciati sul presente ed incapaci di uno sguardo a medio e lungo termine. Certo, “una madre single che lotta per allevare due bambini in una zona degradata di Mumbai è tutta concentrata a procacciarsi il prossimo pasto; i rifugiati a bordo di un barcone nelle acque del Mediterraneo scrutano l’orizzonte in cerca di un approdo; e un uomo in fin di vita in un ospedale affollato di Londra raccoglie le forze residue per rimanere aggrappato alla vita. Ciascuna di queste persone ha problemi assai più urgenti del riscaldamento globale”; e tuttavia, “il cambiamento climatico può rendere inabitabili i bassifondi di Mumbai, spingere nuove, enormi ondate di rifugiati attraverso il Mediterraneo e portare alla crisi i sistemi sanitari a livello mondiale”2. Il compito educativo consiste nel promuovere uno sguardo sul presente inquadrandolo in un orizzonte più ampio, quello tracciato dalle conseguenze future delle azioni attuali.

Oltre al presentismo, è necessario far fronte alla tifoseria: più che cercare di capire, di esaminare la realtà, la viviamo da tifosi, che difendono la squadra del cuore, a costo di negare persino l’evidenza. Come si rimette in moto la passione per la cura del creato? Come si può far fronte alla situazione di occhi che non vedono? “In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere. La censura non opera bloccando il flusso di informazioni, ma inondando le persone di disinformazione e distrazioni”3.

L’emergenza educativa è ciò su cui punta il dito lo sguardo sapienziale. Occorre offrire strumenti critici per interpretare le informazioni, per distinguere ciò che è importante da ciò che è irrilevante, e soprattutto per poter inquadrare tutte le informazioni in un più ampio scenario mondiale.

Senza strumenti critici per interpretare la realtà, la mente s’incaglia nelle secche di scenari catastrofici. Una passione educativa dovrà essere creativa, aprendo varchi negli scenari allestiti dalle nuove sfide. “Sempre più spesso gli esseri umani come individui e il genere umano come collettività dovranno affrontare situazioni che nessuno ha mai incontrato prima, come le macchine super-intelligenti, i corpi ingegnerizzati, gli algoritmi che possono manipolare le emozioni con incredibile precisione, rapidi cataclismi climatici causati dall’uomo… Come vivere in un mondo dove l’incertezza non è un errore del sistema, ma la sua peculiarità?”4.

La sfida, dunque, sta nel riscrivere le parole d’ordine del passato con un altro linguaggio, meno nostalgico e più dialogico. Il compito di consegnare in parabole e intuizioni proverbiali quanto abbiamo maturato negli anni trascorsi. L’umanesimo della sapienza non si pone in alternativa all’aspetto legislativo della questione ambientale, al suo approccio politico. Richiama la necessità di lavorare sul cuore umano, sullo sguardo, i gesti; e di farlo nel microcosmo dell’esistenza quotidiana. Viviamo “una nuova epoca geologica, cui si è dato il nome di Antropocene per sottolineare due fatti significativi. Innanzitutto, che abbiamo abbandonato le spiagge note (e relativamente sicure) dell’Olocene, il periodo interglaciale caldo iniziato circa dodicimila anni fa e in cui abbiamo vissuto finora; in secondo luogo, che questo cambio geologico non è stato determinato, come i precedenti, da fattori naturali, ma dalla presenza e dall’attività umana”5. Ci serve, dunque, una sapienza dell’umano. Oggi, la scelta di prendere sul serio la sapienza biblica, di fermarsi a lungo sui banchi di quella scuola, appare decisiva. È il nostro presente a domandare uno sguardo sapienziale, che metta a tema la condizione umana, le dinamiche che la attraversano da sempre. Sarà proprio questa sapienza a sollecitare, poi, la puntualità dell’analisi, il coraggio dell’azione, il modo più generativo di affrontare la crisi. La realtà domanda di essere guardata, capita. Ce lo ha ricordato con forza Primo Levi: “Considerate se questo è un uomo… una donna… Meditate…”. Di fronte all’abisso della Shoà, questo testimone ha speso la sua vita non “allo scopo di formulare nuovi capi di accusa” ma per “fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”6. La crisi ambientale non può suscitare unicamente denuncia e lamento; deve suonare come un appello a voler capire più a fondo e a mettere in campo scelte responsabili.

Noi siamo così schiacciati sul presente che il solo pensare di distoglierne lo sguardo ci sembra una scelta irresponsabile, un escamotage per anime belle. Eppure, la velocità con cui si consumano i fatti, insieme alla reiterazione di certi comportamenti, dovrebbe almeno insinuare il sospetto che non funziona il gioco al rimpallo, il limitarsi a rispondere all’ordine del giorno stabilito dalla cronaca. È utile riguadagnare una certa distanza (come fa il Barone rampante, di Italo Calvino!), rallentare il flusso dei pensieri, sottraendolo all’imperativo dell’attualità, proprio per rimanere fedeli al presente e alle sue domande.

La sapienza ci suggerisce la mossa del cavallo: quella di chi, nel frammento della cronaca, prova a scavare, a studiare le dinamiche degli avvenimenti, a ricercare le possibili soluzioni, formulando ipotesi di lavoro e rimanendo disponibile a cambiarle, nel caso risultassero inefficaci; solo così lo sgomento e l’indignazione non saranno semplice sfogo del momento ma potranno esercitare una fecondità salvifica.

Alla fine – dice l’apocalittica – verrà strappato il velo e vedremo il mistero del mondo faccia a faccia. Ma fin da ora, seppur in chiave minore, è possibile educare le mani a compiere le mosse necessarie per scostare quel velo. La sapienza mira a questo: anticipare nel quotidiano quanto apparirà chiaro solo alla fine.

 

Angelo Reginato


1 Milan Kundera, L’arte del romanzo, Adelphi, Milano 1988.
2 Yuval Noah Harari, 21 Lezioni per il XXI Secolo, Bompiani, Milano 2018. 3 Idem.
4 Idem.
5 Simon L. Lewis e Mark A. Maslin, Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene, Einaudi, Torino 2019.
6 Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 2005.


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