Evangelo ed evangelizzazione


 

Introduzione: la sequela

La prima parte di questo studio è stata pubblicata sul numero zero di PRETIOPERAI con il titolo: “Il Vangelo è annunciato ai poveri” (qui). Nei prossimi numeri pubblicheremo le tre parti successive di cui al punto 4.

1. Il motivo che ispira tutto il discorso si può annunciare con Kierkegaard:

il fine della vita di Gesù fu di pretendere degli imitatori e di rendere impossibili gli ammiratori…
Ammirare Gesù senza seguirlo vuol dire già tradirlo, perché l’ammirazione che non si conforma nella vita a Cristo, ci fissa in un rapporto esteriore con lui, estraneo all’impegno personale, in cui l’esistenza del singolo è impegnata nell’unica e definitiva scelta” (Scuola di Cristianesimo).

Così si può cominciare.
L’Evangelo non è presentato come “parola” ma è identificato con la persona, che è Gesù di Nazareth: Egli è l’Evangelo.
Evangelizzare è quindi narrare Gesù di Nazareth, come è confessato nei vangeli e come è tramandato nella fede della comunità; è fare memoria, significativa ed operativa, di quanto Egli fece e disse; è ripercorrere la “via” che il Maestro ha risolutamente percorso.


2.
Tra i possibili approcci a Gesù di Nazareth viene proposto quello che per un credente è più coinvolgente: la sequela.
In prima istanza non c’è la preoccupazione teologica, cioè non sta l’intenzione di esporre una riflessione organica e completa su Gesù il Cristo; né tanto meno c’è il desiderio di comporre un profilo critico o ammirativo.
Anche la volontà di dire il Vangelo agli altri, lo zelo di “annunciare le imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Ef. 3,8) non sta in primo piano.
Proponendo come approccio la sequela di Gesù bisogna essere coscienti che nessuno più ne fa conoscenza ed esperienza nella sua esistenza storica, perché ora esiste solo “Colui che era morto ed ora è vivo” (Ap. 1,18).
Il desiderio di rifare l’itinerario del Maestro non è nostalgia per la sua contemporaneità storica. Anzi, riconoscendo l’unicità ed esclusività, storica e spirituale, dell’esperienza dei dodici che furono chiamati ad essere “compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a loro” (At. 1,21), bisogna tener presente l’avvertimento di Gesù secondo il quale la commensalità storica con lui non elargisce, senza la conversione, la salvezza (Lc. 13,26s.); e quello di Paolo, secondo il quale per i credenti non è più possibile una “conoscenza carnale” con il Cristo: “e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così” (2 Cor. 5,16).
La sequela di Gesù non è la pretesa di rifare l’esperienza storica dei dodici. Inoltre, e per suggerimento dell’Evangelo che esorta a scrutare i segni dei tempi (Lc. 12,54ss.) e per quell’attenzione che nella storia sa individuare le costanti ma anche discernere le novità, bisogna tener presente che il contesto storico in cui visse ed operò Gesù di Nazareth è diverso non solo sulle coordinate temporali e geografiche, ma soprattutto nell’ambito culturale.
Rifare il cammino del Nazareno non significa fissarsi in un atteggiamento anacronistico e ricreare i tempi e i luoghi della sua esistenza storica. E neppure prestarsi all’artificio artistico – letterario del “se Gesù vivesse oggi…”, cioè di immergere nel clima culturale odierno il Gesù Storico.
La sequela non è gioco di fantasia, sia pure di alta qualità artistica.
In sintesi (e soprattutto) il “seguace” non rincorre un modello statico: ché Gesù il Cristo è inimitabile e “non è oggetto da copiare, è soggetto attivo che deve ispirare” (Mongillo).
Il credente è un discepolo che non può mai eguagliare il Maestro, ma rimane sempre umile e impuro avvicinandosi (Mt. 11,25ss.), “docibile” e docile: guarda al cuore, “al centro spirituale” del Maestro per ricevere la “rivelazione della benevolenza” e conformare la sua persona nella povertà e nella mitezza; poi nella conferma dello stesso Spirito esegue “opere” del Profeta ultimo.


Non è mio compito affrontare la problematica spirituale che riguarda l’invito a seguire il Maestro, rivolto ai credenti di tutti i tempi e di tutti gli ambienti culturali (rapporto tra sequela – discepolato – imitazione – missione ecc.).
Con semplicità ritengo di dire che all’interno dell’ambiente operaio un credente può, nel rapporto di grazia e libertà e non per automatismo magico, fare simile esperienza:


a. cresce nel fascino misterioso verso Gesù di Nazareth: apprezzando cordialmente i numerosi sapienti e i numerosi artefici della storia, si può confessare che lì, in lui, c’è più sapienza e maggiore forza profetica (Mt. 18,38ss.); in consonanza interiore si può indicare la via migliore (che è la carità) che urge a compiere le opere per gli uomini (1Cor. 13); accogliendo la sua grazia a caro prezzo che raggiunge lo spirito affranto e il cuore contrito, come parola di perdono (Bonhoeffer), l’uomo, aggiogato a Cristo e introdotto per la “porta stretta”, in amore cordiale rompe la legge dell’odio e della sopraffazione reciproca ed è liberato dal potere delle tenebre (Col. 1,12).


b. Fa esperienza che “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (Gaudium et Spes n. 41):
– è capace di vivere nell’orizzonte delle persone (credenti o meno) che ricercano la giustizia, la libertà e la pace, e partecipa nella misura delle sue qualità, dello sforzo con cui si tenta di rendere la terra una dimora abitabile;
– percorre le vie di “un umanesimo plenario” e planetario: “è un umanesimo plenario che occorre promuovere” (Paolo VI in Populorum progressio n. 42), in modo che i benefici dell’attività umana non siano riservati ad una classe, ad una nazione, ad uno o due mondi;
– è testimone che gli aspetti dolorosi dell’esistenza umana, la malattia e la morte, possono acquistare un significato nella dedizione, e non fermano il cammino verso la realizzazione del Regno.

c. Promuove la speranza dei poveri nel tessuto quotidiano. Spinto dallo Spirito del Povero che lo conduce verso di loro è pronto a denunciare un processo di umanizzazione che riguarda solo le persone che nascono dotate e sono educate in clima culturale privilegiato e sono avviate a carriere di prestigio;
– è solidale con le persone e i popoli “che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza” (Paolo VI, P.P. n. 1);
– attivo nel cammino progressivo e costante nel quale le esigenze e le aspettative dei poveri vengono realizzate.

d. Vive l’oggi della storia come discepolo che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie (Mt. 13,51), attento a percepire gli eventi che, rompendo la logica del bisogno e dell’appagamento dell’avidità, aprono verso una strategia dell’attenzione all’universale e stimolano a promuovere l’avvento del dono all’interno della logica del bisogno;
– pronto a discernere nella complessità reale di ogni evento umano storico quanto porta alla liberazione dell’uomo (e in particolare dei “miseri”) da quanto porta alla degenerazione dell’uomo fino a ridurlo a rango di cosa;
– disposto a “ricreare” e a riattivare condizioni di vita che più si assomiglino alla presenza del Regno.


3.
È impossibile un discorso esaustivo di Gesù il Cristo e mi sembrano improponibili tutti i tentativi di accaparrarselo e di dire la parola definitiva su di lui; Egli è la “verità” che deve crescere sino alla fine dei tempi (Gv. 16,13) nella chiesa.
Anche se ogni credente è risvegliato dall’interesse che suscita la persona di Gesù presso i teologi che riflettono sulla confessione di fede della chiesa, e presso gli uomini che pur non confessando nella fede scrutano attentamente il “fenomeno cristiano”, non si tratta di discernere e di scegliere tra le diverse cristologie e tra le molteplici presentazioni di Gesù di Nazareth.
Si tratta invece di confessare con passione la propria adesione di fede, vivendo come operaio, e di comunicarla come credente e prete.


Nonostante il rischio che ogni precomprensione esistenziale importa, ecco come vorrei confessare e comunicare il Signore Gesù:
– con la densità della sapienza popolare antica che è inscritta nella parola “compagno” (“colui che ha il pane in comune”), ed è in proverbio: “un pezzo di pane è offerto a ogni povero” (un tocco de pàn non se nega a un povero càn)
– con la sete di giustizia e la determinazione di azione con cui un “militante” si impegna all’interno del movimento operaio
– con la passione evangelica con cui Ignazio di Loyola esige che coloro che si ispirano al suo carisma, debbano essere e chiamarsi “compagni” di Gesù.
E ricordo che ogni precomprensione esistenziale non è “pura” ma deve essere “purificata”.


Pur desiderando di confessarlo con passione, non posso “afferrare” Gesù il Nazareno e ridurlo a immagine fatta su propria misura. “Ovunque egli vada”, sia pure nei luoghi più inattesi e impossibili,
– ponendo una distanza, perché colui che è invitato si confessa peccatore (Lc. 5,8), seguendo “da lontano, per paura di incorrere nella stessa sorte”, per vedere come andrà a finire,
– vivendo in atteggiamento di ricerca, facendo molte domande, e passando attraverso situazioni di pericolo (Mt. 14,26), senza pretese di eroismo ma più simile a quel ragazzino (discepolo) che fugge quando sta per essere acciuffato, il credente (operaio e prete), tiene “fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Ebr. 12,2).


4. Si delinea così l’articolazione che facilita l’esposizione ma non traccia uno sviluppo.
Una prima parte dice:
“annunciare il Vangelo in silenzio (de Foucauld), e nelle contraddizioni”. E questo significa riferirsi a quel Gesù che evangelizza tacendo, situandosi in mezzo agli uomini, non come colui che parla ma colui che opera il Regno di Dio.
Una seconda parte :
“testimoniare e confessare che il Giusto è stato messo a morte…”.
Non intendo fissare l’attenzione sulla testimonianza fino all’effusione del sangue (anche se è presente la memoria del martirio), ma cerco di capire se la sua “via” è quella giusta, se egli “ha ragione”; e una volta rassicurato, dirlo pubblicamente e confessare che è stato ucciso “il Giusto”.
Una terza parte indica alcune “parole di grazia” che uscirono dallo bocca di Gesù: quella della gratuità, dell’uguaglianza, della condivisione e della pace… Sono parole che, se taciute dai credenti, vengono “gridate dalle pietre” (Lc. 1 9,40) e perché siano vive è offerta l’Eucarestia.


Biagio Turcato s.j.


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