Ci scrivono
“Tacere e conoscere:
sono capace di questo?”
Dal Libro VII SHU ER dei LUNYU (Dialoghi)
di KONG QIU (Confucio 551-479 a.C.)
Amiche e amici carissimi,
mi sono sentita fortemente provocata dal tema dell’ultimo numero di Pretioperai, che ho letto proprio mentre cominciavo i preparativi per tornare ancora una volta (la 12.ma ormai!) in questa terra che ha letteralmente conquistato il mio cuore!
Sono qui, in Viet Nam, da un mese, e ci resterò fino alla fine di luglio… In questo momento vi scrivo da una località a circa 130 Km da Saigon (ora Ho Chi Minh City), sul delta del Mekong… Siamo nella stagione delle piogge (è la prima volta che vengo in questo periodo!) e… mentre scorrono davanti ai miei occhi paesaggi stupendi, tipicamente tropicali, e migliaia di persone in bicicletta o in motorino, a tutte le ore del giorno e spesso anche della notte, mi rendo conto di quanto sia diverso guardare il Sud del mondo standoci dentro…
Ho sentito quindi il desiderio di mettermi in contatto con voi proprio da qui, per condividere alcuni pensieri e riflessioni, scaturiti dalle intense esperienze che sto vivendo…
L’impatto con questa realtà continua ad essere affascinante e sconvolgente nello stesso tempo: è come sentirmi immersa nel totalmente altro da me, un lasciarmi incontrare da “altri” suoni, odori, sapori, immagini, colori, occhi, statura, abbigliamento, costumi…: la prima reazione è stata e resta quella di fermarmi in profondo silenzio, di procedere in punta di piedi, di trattenere il respiro, quasi che con la mia stessa presenza potessi sciupare quello che ancora non conosco, che sta per rivelarsi a me… In un attimo avverto che queste culture, storie, tradizioni, spesso millenarie e comunque antichissime, si pongono con tutta la loro peculiarità e autorevolezza di fronte alla nostra “occidentalità”, abituata a sentirsi “superiore”, o comunque “completa”, a considerarsi “la civiltà”, con la difficoltà quindi immediata a riconoscere di poter avere quali interlocutori civiltà che sanno e sentono di avere radici lontane e profonde e che quindi hanno anche molto da insegnare…
Questo Paese, come tanti altri nel Sud Est Asiatico, èy in rapida evoluzione, alla ricerca di nuove integrazioni, dove ambiguità e contraddizioni spesso si mescolano e si confondono, esigendo comunque il riconoscimento della loro specifica realtà culturale, sociale, economica, religiosa, in un rapporto dialogico e di reciprocità…
Accanto ad una crescente spinta economica e produttiva, permangono e convivono grosse e diffuse povertà, inefficienze, sfruttamenti, nuove forme di colonizzazione spesso mascherate da proposte di “cooperazione”, precarietà, carenze e inadempienze, soprattutto nel campo della salute e della previdenza (dove quasi mai esistono garanzie e tutele, neanche minime). Dentro queste realtà, a volte drammatiche, complesse, apparentemente senza via d’uscita, sopravvivono e sfilano davanti a me i volti sereni di miriadi di persone che avanzano con la forza della loro dignità estrema, del loro coraggio, della loro pazienza, della loro creatività nel continuare a cercare possibili soluzioni e miglioramenti: “memoria” storica vivente di secoli di oppressione, di ingiustizie, di vari tentativi di “annullamento” culturale, etnico, religioso, mai riusciti del tutto, ma soprattutto testimonianze silenziose di interiorità e di “religiosità” dalle radici profonde…
Sono appena tornata dagli Altipiani Centrali, dove ho avuto modo di visitare alcuni villaggi di montagnards (etnie minoritarie): la sensazione è stata quella di sentirmi catapultata in un altro pianeta… Incontrare quei volti, quegli occhi, quei sorrisi, veder coniugati così semplicemente e serenamente povertà (anzi, miseria!), dignità, essenzialità, mi ha segnato profondamente! Non ci si può abituare alla povertà, alla sofferenza, al dolore, allo sfruttamento, all’ingiustizia, soprattutto se si accetta di guardare in faccia questa realtà, di lasciarsene sconvolgere e interpellare, senza allontanarla, nasconderla, senza fuggire lontano, senza ridurla ad una immagine puramente virtuale.., ancora di più se si trova il coraggio di prendere coscienza della grande responsabilità personale e collettiva nel continuare — attraverso il mantenimento di certi stili di vita, l’indifferenza, la non conoscenza, la delega ad altri ecc…. — a permettere che milioni di persone siano ancora lontanissime dal raggiungimento di standards minimi di vivibilità!!!
La trasparenza, il candore, l’intensità di quegli sguardi, che non chiedono niente, che ti accolgono semplicemente, che si rendono disponibili ad incontrarti, a farti condividere la loro ferialità (fatta di piccole cose, spesso di tanta fatica, ma anche di tanta umanità, di tanti gesti significativi…), intrisa di storie, relazioni, ricerca quotidiana di come e cosa inventare per sopravvivere (tenendo conto che la loro terra si è ridotta sempre di più per far spazio alla costruzione di nuove strade; che la costruzione di dighe ha dirottato le acque del fiume, fonte di vita per una popolazione agricola e di pescatori; che i singoli villaggi spesso sono molto lontani tra di loro e da altri centri abitati, con conseguente difficoltà a trovare lavoro, ad andare a scuola, a curarsi, semplicemente a spostarsi; che ogni etnia ha una lingua propria — oltre che usi, costumi, tradizioni locali propri — con conseguente difficoltà, se non cresce la scolarità, a comunicare con gli stessi vietnamiti…
È difficile continuare a dormire la notte, a “stare in pace”, di fronte alle migliaia di occhi del Sud del mondo che ci guardano, semplicemente per “dirci”, per ricordarci, con la loro stessa presenza — loro, popolo “senza voce” — non solo che essi esistono (lo sappiamo bene, e lo continuiamo a dichiarare in tutti i documenti importanti, nazionali e internazionali, in tutte le Carte costituzionali, che tutti hanno il diritto di esistere e di vivere una vita dignitosa…, ma quanto è difficile operare perché questo avvenga davvero!), ma.. ci riconducono, a velocità supersonica, a quell’essenzialità di vita, a quei valori portanti (semplicità, accoglienza, condivisione, amicizia…) che ogni giorno rischiamo di dimenticare o di perdere, mentre rincorriamo freneticamente il tempo che passa, le cose da fare, gli innumerevoli bisogni, spesso “indotti”, a cui dare risposta.., verso una frammentazione del vivere che fa sempre più fatica a ricomporsi, ad orientarsi, a ritrovare obiettivi, modalità, percorsi, significati profondi capaci di ridare senso, gusto, freschezza, a tutto quello che siamo, abbiamo, operiamo…
Mi fermo qui per oggi, vi ringrazio per la pazienza e per l’ascolto ed auguro a ciascuno di voi un’estate “ristoratrice”!
Con amicizia tipicamente orientale,