Frammenti di vita


 

Ci risiamo. Un altro licenziamento. Mi costringe, dal 7 settembre 2006, a battere il passo, a riflettere, a ricominciare… Mi sorprende nel mezzo dei miei 60 anni, di cui 30 vissuti da prete operaio. A stento ho trattenuto le lacrime quando ho ricevuto la notizia dall’Agenzia interinale, ‘somministratore’ di un mio contratto di lavoro a termine per conto di un’azienda metallurgica, ‘utilizzatore’ non tanto per la fatalità quanto per la modalità dell’evento. Quella data segnava l’anno esatto dal mio varcare come operaio i cancelli di un’azienda con un contratto metalmeccanico, fino ad allora inusuale per me.
Ho avuto la sensazione di essere improvvisamente incorso in un licenziamento in tronco, quasi come quando il 24/3/1980 ero stato allontanato da un’impresa della grande distribuzione a Torino allo scadere dell’ultimo giorno del tempo di prova, perché prete operaio. Sennonché questa volta non c’era bisogno di spiegazioni o, come lo è stato allora, di una causa di lavoro. Tutto rientrava nei crismi di un contratto che scadeva e che, improvvisamente, non doveva più essere rinnovato (sto ancora domandandomi il perché!).
Buste paga alla mano, in questi giorni ho verificato che dal 7/9/2005 al 6/9/ 2006 ho stipulato presso quella stessa azienda, tramite agenzia di lavoro interinale, ben 5 contratti con 15 proroghe della durata variabile da 3 giorni a 1,2,3,4 settimane.
Tutto ciò è un inno alla deregulation più totale, alla spersonalizzazione, all’immolazione dell’individuo alla causa della precarietà di tanti e del profitto di pochi.
Se può consolare, è stato per me un anno di full immersion in un mondo che, se non provi, non credi possa, esistere, dove ho trovato decine di compagni di viaggio, cui è toccata la mia stessa sorte, e che per questo sono impossibilitati a programmarsi un futuro.
Ti senti un numero imprestato, ad uso e abuso di chi ti offre un lavoro e che ti fa sentire fortunato, perché almeno hai la possibilità di mangiare. Tutte le mansioni più umili e faticose sono tue, alternando lo specifico ‘metalmeccanico’ con il lavoro di pulizia e di edilizia. Indirettamente, non ti è consentito fare osservazioni, perché ti verrebbe negata la proroga al contratto; non partecipi ad un’assemblea sindacale, perché sei assunto appositamente per ovviare a questi disguidi interni; non puoi ammalarti, perché verresti immediatamente sostituito; non puoi goderti. le ferie, perché tali contratti a singhiozzo non facilitano gli accorpamenti dei giorni maturati. Ma soprattutto sei un esterno e perciò estraneo a tutti gli altri lavoratori garantiti, i quali soltanto si attribuiscono diritto di cittadinanza aziendale, cosicché gli stessi rapporti interpersonali vanno intessuti con più difficoltà e umiltà.
Quanto è lontana questa condizione del lavoro interinale da quella condizione operaia vissuta da me precedentemente, quando, delegato e rappresentante sindacale, attraverso assemblee e lotte collettive, riuscivo a firmai contratti, bloccavo gli straordinari per incentivare l’occupazione, prendevo a cuore la causa dei più deboli, puntavo alla qualità e alla sicurezza della vita dentro e fuori della fabbrica!
Ho l’impressione a volte di non riconoscermi più e, ironicamente, mi domando se da incendiario sono diventato pompiere…
Poi mi guardo attorno e mi compiaccio quando posso affermare: “Ma in questa barca, sballottata dalla tempesta, ci sono ancora!”.

Esserci… essere dentro…: quante volte noi preti operai ce lo siamo ripetuto nei Convegni nazionali e nelle nostre revisioni di vita!
Ora l’esserci dentro nel contesto di una parabola discendente della classe operaia comporta un supplemento di volontà e di fede. Non me lo nascondo. Ma sono ancora tanti, troppi quelli che provano sulla propria pelle che la classe operaia non va in paradiso: c’è ancora chi sperimenta ogni giorno sul lavoro la fatica, la pesantezza, la manualità. Se loro, perché non io?
Se sono qui a descrivere situazioni vere, ma anche a dire che, nonostante tutto, sto cercando lavoro, è perché credo ancora nell’efficacia dell’incarnazione del discepolo di Cristo nelle pieghe della storia di ogni tempo.
Rimane vivo, con la precarietà e la provvisorietà, il criterio iniziale della scelta di povertà e degli ultimi.
Resta in piedi, con le prove che spaccano il cuore, il motivo della speranza nella Provvidenza che ci dà il coraggio.
Rimane, anche se, per forza di cose, in dimensione bonsai, il proposito della missione per annunciare, testimoniando, la liberazione integrale e la possibilità di un mondo diverso.
Resta valido, nell’impossibilità di imprestare voce a chi non ha voce, il nostro sostegno di compagnia, percorrendo una strada con gente che quando parla non ha più chi l’ascolti; con uomini e donne, che vedono l’uomo di Dio in te che, nella condivisione della loro stessa esperienza materiale e talvolta brutale, lascia trapelare uno squarcio di cielo, d’infinito, di trascendenza.

 

Beppe Orsello


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