Sguardi e voci dalla stiva (5)


 

Nell’ arco di tempo che va dai primi di marzo al 20 aprile 2020, l’accavallarsi di situazioni, vissuti, riflessioni, tentativi è stato caotico e arrembante. Le Case di Riposo in Italia e in particolare in Lombardia si sono trovate, loro malgrado, nell’occhio del ciclone. Come fare ordine e al contempo offrire riflessioni e proposte?

Ci provo.

L’etimologia delle parole ci aiuta. Esperienza dice il vissuto mentale, concreto di un evento accaduto. E’ la prima volta che una realtà ci si mostra così aggressiva e al contempo variegata e rapida nel suo disvelarsi.

Variegata, perché il Covid ci ha costretto a rispondere contemporaneamente a situazioni così diverse: il numero delle persone coinvolte è stato massiccio ,la pandemia si è palesata in molti anziani contemporaneamente, obbligando il Personale delle RSA a organizzare in tempi rapidi reparti Covid, reperire i DPI (dispositivi di protezione individuale), gestire le complessità cliniche precedenti (polipatologia e co-morbilità) con in più il contagio virale del Covid, e dovendo controllare nello stesso momento parametri , sintomi nuovi e diversi, richieste numerose, inedite e contemporanee.

Occorrevano risposte rapide a problemi numerosi che i malati palesavano, su piani diversi (polipatologia, sintomatologia, bisogni concreti e inediti, perdita di autonomia, terminalità), con nuovi strumenti (i DPI, procedure non conosciute prima, necessità di risposte in Equipe e spesso con tempi di programmazione ed esecuzione risicati).

Occorrevano risposte rapide da dare ai famigliari, costretti fin da subito al distanziamento dai loro cari. Essi hanno portato pesi psicologici onerosi, affamati di risposte, che non sempre il personale riusciva a dare loro. Occorreva permettere agli operatori (medici, infermieri, ASA, OSS, fisioterapisti, educatori, operatori delle pulizie, amministratori, operatori delle cucine, dei servizi di manutenzione e del guardaroba, nella polimorfa varietà dei servizi così diversificati tutti chiusi in questo periodo) quasi sempre in numero inadeguato, di organizzarsi, apprendere metodologie nuove, offrire risposte rapide e complesse…

Ci fu chiesto dall’Ospedale, se era possibile, di evitare ricoveri in Ospedale di malati di Covid. L’Ospedale infatti era in affanno e non poteva accogliere anche gli ospiti delle RSA (tranne casi clinici legati ad altre patologie). In cambio ci avrebbe fornito di DPI), eventuali farmaci e consulenze di specialisti. E così in effetti è successo.

Ma il dramma umano e le problematiche cliniche complesse che si sono vissuti in quei due drammatici mesi hanno visto un impegno encomiabile da parte del Personale in toto, pur appartenendo ad una categoria di serie B rispetto all’Ospedale. Purtroppo pochi cittadini sanno che la contribuzione economica che la Regione Lombardia eroga ogni giorno per ogni ospite spesso grave e complesso è di circa 50 Euro, cui va aggiunta la retta che i famigliari devono pagare. In Ospedale, al contrario, per lo stesso malato vengono erogati dai 500 ai 1000 euro al giorno.

Ciò spiega l’enorme difficoltà in cui si trovano le RSA a gestire tutte le problematiche assistenziali e di cura con cifre così risicate. Rispetto all’Ospedale il numero di medici, infermieri soprattutto è di gran lunga inferiore. Va aggiunto che proprio in questo periodo l’Azienda Ospedaliera ha indetto un concorso per infermieri che sta letteralmente succhiando dalle RSA moltissimi infermieri, specie giovani. E perché? Presto detto: lo stipendio in Ospedale di un infermiere è nettamente superiore e alletta ovviamente i giovani infermieri.

C’è un altro punto da sottolineare. Non c’è dubbio che il collasso del sistema sanitario durante l’acuzie della pandemia è stato in buona parte determinato dalle scelte avvenute gli anni scorsi di privilegiare negli investimenti sociosanitari gli Ospedali. Da un lato questo ha permesso l’implementazione in molti centri ospedalieri lombardi di eccellenze di grandissimo valore. E questo è un bene. Dall’altro questo ha penalizzato non solo le RSA come sopra accennato, ma ancor di più l’Assistenza Domiciliare, in particolare degli anziani non autosufficienti.

Le RSA da alcuni anni possono andare a casa degli anziani bisognosi per interventi medici, infermieristici, assistenziali e riabilitativi. Ma anche qui la contribuzione alle RSA è risicata, al punto che spesso le RSA non riescono a offrirla perché i costi assistenziali sono superiori a quello che la Regione eroga per le prestazioni.

Anche in questo caso ci si rende conto che il sistema assistenziale-sanitario lombardo è gravemente squilibrato: tanto ospedale, poco territorio.
La pandemia ha fatto scoppiare questa incongruenza strutturale.

Con un’organizzazione più equilibrata in primis si potrebbero decongestionare i Pronto Soccorsi, spesso al collasso, specie in questo periodo. Molti malati, anche di Covid, potrebbero essere egregiamente curati a domicilio, evitando i ricorsi così frequenti al Pronto Soccorso.

Va superata la concezione che le RSA siano posti dove si fa una medicina di scarso valore. Al contrario è molto più facile trovarvi una solida cultura geriatrica rispettosa della complessità polipatologica, della co-morbilità e dei problemi psicosociali di molti anziani ammalati. Spesso infatti l’impostazione plurispecialistica del modello ospedaliero rischia di frammentare la persona malata e di sottrarle quella visione di unicità che risulta vincente per un approccio corretto.

Resteranno nella mia memoria e nel mio cuore non tanto le bardature, le fatiche, le difficoltà cliniche, le angosce e stanchezze, il lavoro intenso in equipe, ma soprattutto i volti di tanti anziani malati che potevano vedere i loro cari solo sul tablet, che spesso non comprendevano quei “marziani” che giravano in reparto e al loro capezzale, che faticavano a respirare, che non hanno retto all’aggressione del coronavirus.

Che tutto ciò non scivoli indifferente sui nostri cuori e menti.

RENATO BOTTURA
medico geriatra


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