“Dicevano che era un prete” / Atti del convegno (7)
Carlo Carlevaris ha collaborato per molti anni con l’associazione Come Noi e con più intensità dal momento del suo pensionamento, nel 1986, e fino al 2010.
Come Noi è una organizzazione senza scopro di lucro (un ente del terzo settore secondo la nuova normativa) che dal 1966 si occupa di persone in paesi in via di sviluppo, ma anche in Italia, promuovendo, accogliendo, finanziando ed accompagnando progetti di sviluppo, di tipo agricolo all’inizio e, successivamente, anche di tipo sanitario ed educativo. Le entrate di Come Noi sono i contributi periodici od occasionali di singoli, famiglie e organizzazioni che hanno messo la voce “solidarietà internazionale” nel proprio bilancio, oltre ai proventi del 5 per mille destinatoci dai nostri aderenti. In passato, inoltre, alcuni importanti progetti sono stati anche co-finanziati dall’Unione europea. Le attività di Come Noi sono svolte da un comitato promotore che presta competenze e lavoro a titolo totalmente gratuito. Le varie attività sono anche documentate in un sito (www.comenoi.org/onlus) e attraverso Facebook.
Ma torniamo a don Carlo.
Carlevaris viene presentato al comitato promotore di Come Noi nell’aprile del 1986, al momento di andare in pensione, da Antonio Puccio e da sua moglie, Consolata, soci di Come Noi: fin dalla loro giovinezza sono amici di don Carlo che li ha anche sposati e appartengono allo stesso gruppo (To4) delle Equipes Notre Dame, movimento di cui Carlevaris è stato uno dei fondatori a Torino. I Puccio pensano di offrire a don Carlo l’opportunità di allargare il suo campo di azione in favore degli ultimi, con una modalità diversa da quella del prete operaio e sindacalista. Ritengono inoltre (e a ragione) che i progetti di Come Noi nei paesi in via di sviluppo possano avvantaggiarsi delle sue capacità di analisi delle situazioni e di mediazione, se questi dovessero rivelarsi conflittuali a vari livelli.
Propongono quindi a don Carlo – che ha comunque sempre amato molto viaggiare – un itinerario nel sud dell’India, alle Javadhi Hills (nello stato del Tamil Nadu) per dare aiuto a padre Angelo Codello, un salesiano un po’ fuori dagli schemi. Alle Javadhi Hills vi è il primo progetto di Come Noi, cofinanziato dalla Comunità economica europea, sotto la responsabilità di padre Codello, che comincia a sentire la fatica degli anni e patisce un certo isolamento. Dopo un non troppo fruttuoso corso di inglese, don Carlo parte per l’India dove trascorre più di un mese con padre Angelo e i suoi collaboratori, aiutandoli e confortandoli nei momenti di difficoltà, riportandone una grande impressione. Nella sua relazione a Come Noi, scriverà:
«Padre Angelo è un saggio con l’anima di un bambino buono… Lo spirito cristiano lo anima così profondamente da fondersi con la sua bontà naturale di uomo semplice, più vicino alla natura che alle ideologie: Dio e la terra si fondono nell’uomo, che egli ama profondamente e concretamente».
Questo è stato l’inizio di una lunga serie di viaggi che don Carlo compì in veste di “inviato speciale” di Come Noi, il nostro “ministro degli esteri”, come scherzosamente lo chiamavamo.
La relazione di viaggio che don Carlo consegnò a Come Noi al ritorno (pubblicata nel bollettino dell’associazione nel marzo 1987) è il primo esempio di quello che divenne lo standard delle relazioni di don Carlo nelle sue missioni per Come Noi: la situazione del paese, la situazione locale in relazione alle condizioni generali, i punti positivi e le criticità del progetto, le proposte per superare le difficoltà e proseguire migliorando. E tutto questo era intriso di una grande partecipazione personale, senza però che il coinvolgimento emotivo offuscasse le capacità di analisi.
Dal 1987 in poi don Carlo, scegliendo le destinazioni insieme al comitato promotore, compì una serie di viaggi in Paesi in cui i progetti di Come Noi incontravano difficoltà di carattere locale o legate alle condizioni generali.
Carlevaris viaggiò per Come Noi dal 1986 al 2010, ultimo anno in cui le condizioni di salute gli consentirono di spostarsi più o meno autonomamente.
Vi furono viaggi “occasionali” in Rwanda e in Albania, oltre al primo approdo in India, ma due destinazioni meritano un cenno particolare: l’Eritrea e il Brasile.
In Eritrea, don Carlo si recò nel 1990 e poi nel 1991, 1992, 1994 e 1996. Nel 1990, l’Eritrea era ancora in guerra contro l’Etiopia per ottenere l’indipendenza, che ottenne l’anno successivo. Carlevaris entrò in Eritrea dal Sudan, passando il confine con i guerriglieri indipendentisti, viaggiando di notte lungo i greti dei torrenti per evitare l’esercito etiope. Tornò poi nel paese nel 2001, poco dopo la tregua tra l’Eritrea e l’Etiopia, di nuovo in guerra dieci anni dopo l’indipendenza, e nel 2002 e 2005.
Nel paese africano, il rapporto con la gente si instaurò soprattutto attraverso i cappuccini eritrei, molti dei quali parlano l’italiano, presenti nella zona di Barentù, nel sud-ovest dell’Eritrea, dove erano sorti i primi progetti di Come Noi: si tratta di gente molto povera e spesso emarginata come etnia minoritaria, in territori distrutti dalla guerra. Il rapporto con i cappuccini fu però molto profondo e coinvolgente, tant’è vero che l’attuale vescovo di Barentù, monsignor Thomas Osman, ai tempi dei primi viaggi parroco nella diocesi, trovandosi in Italia al momento della morte di don Carlo, non ha esitato a venire a Torino per concelebrare la messa del suo funerale.
Completamente diverso è stato il rapporto che don Carlo ha instaurato con la gente del Minas Gerais e della favela di Vila Canoas in Brasile (anche questi progetti sono stati co-finanziati dall’Unione europea).
Il primo viaggio di don Carlo in Brasile si svolse nel 1987, quando visitò i progetti agricoli nel Minas Gerais. Il progetto “Jampruca” presentava alcune incongruenze che era necessario verificare sul posto; inoltre, a Ouro Verde, dove era partito il progetto agricolo Acop, don Sergio Stroppiana, responsabile dell’iniziativa, stava attraversando alcune difficoltà. Don Carlo partì e passò quasi un mese viaggiando da un progetto all’altro, incontrando la gente coinvolta nei progetti insieme con i responsabili, analizzando, incoraggiando e qualche volta sgridando, diventando amico di molti e di don Sergio in particolare.
Le riunioni con i soci delle diverse iniziative (associazioni, non cooperative, perché questo vocabolo non è molto apprezzato in Brasile) ha sempre uno stile particolare, legato alla profonda fede nella Parola di Dio vissuta dai cristiani brasiliani. Si inizia con un brano del Vangelo, scelto dal presidente dell’associazione o da chi presiede la riunione, seguito dal commento di quanti hanno riflessioni da condividere con gli altri. Solo dopo si prosegue parlando dei temi all’ordine del giorno. Don Carlo ritrovò qui, in parte, lo spirito dei “giovedì sera” in via Belfiore 12: non soltanto non fece alcuna fatica ad adeguarsi, ma si integrò perfettamente, facendosi aiutare da don Sergio come interprete, all’inizio, perché col tempo imparò a cavarsela abbastanza bene con il portoghese brasiliano.
Dal 1994, oltre ai progetti in Minas Gerais, don Carlo visitò anche la favela di Vila Canoas, a Rio de Janeiro, in cui Come Noi era stato da poco coinvolto. Vi tornò l’anno successivo e poi nel 1997; da allora, fino al 2010, visitò i progetti in Brasile quasi ogni anno, diventando una figura di riferimento per i progetti, ma soprattutto un grande amico (“pai Carlos”) della gente coinvolta nei progetti.
Alla fine di ogni viaggio, esclusi gli ultimissimi, don Carlo scriveva la relazione per Come Noi. Alcune di queste relazioni sono state pubblicate sul bollettino dell’associazione, altre sono disponibili nell’archivio di Come Noi: tutte sono una testimonianza della grande capacità di analisi, per nulla alterata dal coinvolgimento emotivo, che don Carlo metteva in campo visitando i progetti. L’uomo che aveva passato la vita a difendere i diritti dei lavoratori, cambiava ruolo e, se necessario, non esitava a richiamare i lavoratori, i soci delle varie associazioni e cooperative dei progetti, ai propri doveri nei confronti di loro stessi e della collettività, avendo sempre ben chiari gli obiettivi dei progetti.
L’ultimo viaggio di don Carlo in Brasile avvenne nel 2010.
Nel 2018, tra aprile e maggio, insieme a Chiara e Mitzi Puccio, figlie di Consolata e Antonio, ho fatto visita in Brasile ai tre progetti educativi che ancora vedono coinvolta l’associazione Come Noi e ai molti che ormai da tempo procedono con i propri mezzi. Ovunque siamo stati, una delle prime domande della gente dei progetti riguardava lo stato di salute di “pai Carlos”, ed erano otto anni che non lo vedevano!
E questo, più di molte altre considerazioni, racconta molto su come la presenza di don Carlo nei progetti di Come Noi sia stata estremamente significativa e coinvolgente.
Piero Caciagli
Antonio Puccio