Voci dalle tribù
Inizia con questo intervento una nuova rubrica intitolata “VOCI DALLE TRIBÙ” che dà voce alle realtà che direttamente o indirettamente sono nate da/intorno/attraverso, o si sono incrociate con il vissuto dei PO. Lo scopo è quello di far conoscere l’energia vitale che negli anni si è messa in moto e farla circolare fra di noi.
«Dobbiamo lasciarci toccare emotivamente dalle bambine e dai bambini che avviciniamo e accettare di lasciarci tormentare dalle domande che lo stare con loro ci fa scaturire, permettere che la “totale apertura al mistero” che si sperimenta nei primi anni di vita, tocchi la nostra esistenza, immedesimarsi con loro, sentire il loro dolore e la loro fatica di crescere, senza però sostituirsi a loro, avere cioè con loro un rapporto d’amore, accettare la possibilità di esserne feriti».
Ecco cos’è accaduto finora, a grandi linee, in una relazione tra Nord e Sud del mondo,
convocati dal desiderio di abbassare lo sguardo sui bambini.
L’inizio di questo “rapporto” tra Nord e Sud del mondo coincide con i primi “ritorni” in terra salvadoregna di Cesare Sommariva (dicembre 1998: 13° “ritorno”) e di Andrea Marini, PO, con il progetto di riapertura della chiesa parrocchiale di San Roque in Salvador prima e con la ideazione e costruzione dei Centri di Studio, dei Giardini d’infanzia, dei Centri di Salute e le Piccole Comunità territoriali di adulti… Di tutto il tessuto di condivisione e di pensiero che si è andato formando a partire dal 1988 Cesare Sommariva ha dato narrazione nei fax, raccolti in quattro libri, che hanno come ipotesi il titolo del primo libro: “il Sogno”
“Quando il Signore le nostre catene
spezzò e infranse
fu come un sogno”
Per noi è stata molto importante la narrazione attuata nei fax. La narrazione scritta lascia spazio al tempo, può essere ripresa, successivamente, presente e futuro si integrano. Nel racconto è come nel respiro: coesistono pieno e vuoto, detto e non detto, presente e assente.
Il tempo diventa una linea di resistenza., lasciarsi raccontare può essere terapeutico, è la possibilità di mantenere la propria dignità, di trasformare il dolore disperato nel dolore per una passione.
Dalla narrazione di Cesare abbiamo avuto la percezione della sua ricerca di un sistema solare che comprende:
– la tecnica di intervento nel reale (mossa dalla razionalità)
– l’affettività (mossa dal bisogno di comunicazione).
Alla prima appartiene la forza della proiezione in avanti data dalla razionalità, alla seconda l’attesa del tempo delle relazioni.
Il tentativo di Cesare di conciliare il tempo della razionalità, che si avvicina al tempo telematico, con il tempo dell’affettività, che è il tempo del riconoscimento e della reciprocità, un tempo obsoleto rispetto al primo, ci ha toccato là dove sta la nostra esperienza interiore del capire con emozione.
Da qui è nato il desiderio di entrare in una relazione vitale: invece di essere solo ricettori di fax, ci siamo sentiti interpellati alla pari per uno scambio di chiavi di lettura sulle cose più consistenti che accadono là, ma che ci vedono in prima persona giocare le nostre vite qua.
Abbiamo cioè accolto l’invito ad abbassare lo sguardo sui bambini e sulle bambine, vissuti come “soggetti competenti” per rinnovare, attraverso il loro sguardo sul mondo, la capacità di meravigliarci, chiamati alla consapevolezza (vedi lettera Avvento-Natale 1996 di Andrea) “che la responsabilità verso il bambino e la bambina costituisce l’archetipo di ogni responsabilità”.
L’ archetipo, il punto, il vertice.
“Gli adulti devono cominciare: abbassare lo sguardo sui bambini sperando che cominci una relazione differente; poi ci si augura che avvenga la seconda parte: il bambino si relazionerà diversamente con gli adulti, finché ci si attende che avvenga il terzo gradino: che i bambini tra di loro si relazionino in maniera nuova. Per giungere alla quarta componente: il cambio vero che la Scuola Territoriale di San Roque dovrebbe permettere di raggiungere è che finalmente cambino le relazioni adulto-adulto, affinché ognuno, da dentro, capisca che tocca a lui di mettersi in piedi, di riprendere in mano il proprio destino. La Scuola Territoriale è il dito che indica la luna; la luna è: un nuovo modo di rapportarsi tra gli adulti del pianeta”.
(incontro a Mancapane con Andrea Marini – 29 settembre 1996)
Iniziammo a progettare un percorso che ci facesse lavorare in ambiti paralleli che potessero convergere in un progetto interculturale.
(Ci spingeva il desiderio, la voglia di cambiare nell’incontro con la diversità non solo culturale ed etnografica, e la qualità del nostro processo interculturale era dettata dalla reciprocità).
“La premessa: una volta che si decide di rinunciare a salvare tutto il mondo ci si concentra su un pezzettino solo e in questo pezzettino invece di lottare perché il popolo abbia buoni governanti si fa di tutto perché il popolo si autogoverni. Questo la spartiacque. Invece di darsi da fare perché arrivino buoni dottori e specialisti si fa in modo che il popolo si autocuri. Invece di aspettare buoni professori che vengono da fuori, fare in modo che il popolo si autoeduchi. Invece di aspettare ancora una volta un Dio miracoloso comprendi che il suo miracolo è che tu capisca che il miracolo lo devi fare tu adesso,lo possiamo fare noi adesso, lo dobbiamo fare. Questo è lo spartiacque”.
(Incontro a Mancapane con Andrea Marini – 7 settembre 1997)
Abbiamo privilegiato perciò il confronto e orientato la nostra riflessione sul come sia difficile, nella nostra società in cui prevale l’individualismo e il subordinare se stessi a dei modelli dominanti astratti, l’intersoggettività tra adulti e bambini, cioè uscire da un rapporto di interdipendenza che si basa sui bisogni da appagare per approdare ad un rapporto intersoggettivo che si fonda su null’altro che sulla reciproca esistenza, per essere una presenza libera di rispondere ad un’altra presenza.
Il gruppo che si è formato, interessato a sostare e a riflettere, dove convive lo sguardo maschile e femminile, ha la specificità di essere, in vari modi, in relazione stretta coi bambini e le bambine, e ci pare importante lo stare insieme tra adulti a riflettere su ciò che ci accade nella vita con le bambine e i bambini, per abitare presso di noi ed avere pensieri sentiti e una esperienza pensata.
Innanzitutto bisogna “nominare“ il diritto al “futuro” dei bambini e delle bambine. Ai bambini non si dà futuro quando non si dà cibo per il corpo e cibo per l’anima, nutrimento spirituale: c’è la violenza di lasciarli morire di fame e la violenza dell’aridità nei rapporti.
Cesare, Andrea e la comunità di San Roque sottolineano che il diritto a vivere è il diritto a comunicare: questo potenziale comunicativo, presente in ciascun essere vivente, è la spinta primaria per tutti gli apprendimenti. Solo cercando e utilizzando questa risorsa naturale si può rispondere alla relazione educativa aiutando il bambino e la bambina nella crescita e crescendo noi contemporaneamente nella comunicazione.
La relazione coi bambini, poiché muove e riporta alla nostra coscienza il passato marasma affettivo della nostra infanzia, ci aiuta a rispondere alla tensione che è in tutti noi ad essere “adulti – maturi – responsabili – spirituali”, affinché nella coscienza della comunità cresca il rifiuto ad ogni tipo di sfruttamento dell’infanzia (violenza sessuale, prostituzione minorile, lavoro minorile) e il desiderio di ridefinire un patto tra le generazioni basato su relazioni di responsabilità e di gratuità.
L’esserci soffermati a pensare, con l’aiuto di persone competenti, ha mosso in noi molte domande:
• come facciamo ad arrivare a metterci dalla parte del bambino e della bambina per avere il loro sguardo sul mondo?
• cosa ci permette di incontrarci con loro? Ma perché per noi adulti è difficile giocare?
• quando siamo con loro e non sopra di loro o contro di loro?
• come funziona un bambino rispetto a noi adulti, il suo modo di pensare, la sua affettività, il suo egocentrismo, come collocare le nostre aspettative che talvolta sono assurde?
• cosa ci dice la sofferenza dei bambini e delle bambine? (Penso anche alla crisi degli adolescenti, l’aumento significativo dei suicidi nei minori…
• come i ragazzi scompigliano la nostra sicurezza?
• qual è la funzione materna? Qual è la funzione paterna? (C’è un bellissimo pensiero di Winnicot, psicanalista e amico di genitori e bambini: “La madre è colei che dà al figlio uno spazio dentro di sé, il padre è la vivacità della strada”);
• qual è la difficile scommessa tra relazionarsi ed avere dei ruoli?
• quali sono i fattori protettivi che possono aiutare il bambino e la bambina a difendersi dal disagio?
• come lasciarsi aiutare dai bambini e dalle bambine a conservare quella ingenua e al tempo stesso orgogliosa vitalità primaria che rende possibile la fiducia in una esistenza comune possibile, contribuendo così in piccola parte a cambiare nella nostra società il clima di indifferenza degli uni verso gli altri?
Dobbiamo lasciarci toccare emotivamente dalle bambine e dai bambini che avviciniamo e accettare di lasciarci tormentare dalle domande che lo stare con loro ci fa scaturire, permettere che la “totale apertura al mistero” che si sperimenta nei primi anni di vita, tocchi la nostra esistenza, immedesimarsi con loro, sentire il loro dolore e la loro fatica di crescere, senza però sostituirsi a loro, avere cioè con loro un rapporto d’amore, accettare la possibilità di esserne feriti.
Preziosa è stata la lettura che Francesca, una giovane insegnante, cresciuta alla Scuola delle Filosofe della Differenza di Verona, ha dato del rapporto con i propri allievi e allieve:
«“Accumulare energia in Dio, in ciò che non esiste” dice Simone Weil. Tradotta nel mio lavoro significa accumulare energia nelle bambine e nei bambini che ho davanti come persone potenzialmente meravigliose. Significa praticare quotidianamente una estrema fiducia che qualcosa in loro accada. Praticare una pazienza smisurata. Far sì che ciascun bambino e ciascuna bambina che incontro lascino in me un segno profondo, nutrendo la speranza che ciò sia una possibilità in più perché qualcosa in loro accada»
Cesare ci scrive:
“Nonostante il vorticoso aumento dell’espropriazione nelle condizioni di vita in ogni dimensione, fino alla grande espropriazione dei grandi principi morali che l’umanità aveva in qualche modo messo a fuoco in migliaia di anni… c’è una reazione vitale…
In questa situazione paralizzante, in questa situazione dell’emergere di nuove energie vitali, non mi sembra che ci sia altra strada per l’adulto maturo e responsabile, al di fuori di quella dell’insegnare alle nuove generazioni.
Se è vero che nelle nuove generazioni sta il germe di una reazione vitale al sistema oppressore e mortale, allora occorre, allora è necessario assolutamente accompagnare questa reazione affinché diventi energia creatrice della storia, costruttrice di una nuova umanità.
Hombres nuevos, creadores de la Historia
constructores de nueva Humanidad.
Insegnare, che vuol dire indicare, essere indici che indicano possibili strade, che costruiscono argini affinché il nettare non si perda o non venga inscatolato e messo sul mercato”
In questi anni la relazione si è arricchita sostanzialmente per la trasmissione dei contenuti dell’esperienza in San Roque e la testimonianza di vita che Andrea ci va regalando durante i brevi “ritorni” annuali a Mancapane.
A fine estate 1998 ci siamo fermati a riflettere, partendo dalle sollecitazioni contenute nella decima lettera aperta per Quaresima – Pasqua 1998, da San Roque, di Andrea:
• sul nuovo cammino della San Roque, che è stato “un metodico dialogo interculturale tra il cammino di liberazione segnato dalla classe operaia italiana alla fine degli anni sessanta e agli inizi degli anni settanta e il cammino di Liberazione che ha il segno di mons. Romero”.
• sull’apprendere la pratica di una “professionalità” nelle relazioni, “così come si è espressa in questi anni nella San Roque, consistente nell’aver chiamato le persone ad essere soggetti, nella classe sociale ben specifica, ciascuno col suo buon grano e la sua zizzania, passando dall’autonomia al potere”;
• sulla ineludibile sfida di fondare la globalizzazione sulla solidarietà;
• sul rivolgersi a Dio da soggetti, intrecciando mistica – politica – solidarietà.
Abbiamo anche avuto la gioia di incontrare Maria Rosa, maestra e formatrice milanese, Sandro, Beatrice, Annamaria, maestri della scuola steineriana di Lugano, che partecipano attivamente alla elaborazione del progetto educativo della Scuola Territoriale di San Roque anche con soggiorni annuali per la formazione delle madri / maestre, riflettendo con loro su “il cammino del bello e dell’amore: dall’imitazione alla immaginazione”.
Nel febbraio 1999 ci è stato consegnato da Cesare, di ritorno dal Salvador, il quaderno n. 3 che presenta: “I primi due gradi della Scuola Territoriale La Rosa Blanca nell’Avenida Virginia”.
“Perché l’essere umano possa avere il desiderio di progettare e costruire un mondo bello, prendendo decisioni con immaginazione nuova, con un pensiero autonomo, logico, flessibile è necessario, già nell’età infantile aiutare lo sviluppo della volontà, dei sentimenti, del pensiero .
Pensare ad una scuola: vuole dire sempre pensare al futuro, esprimere desideri su questo futuro, avere il coraggio di porsi come seme, che nega la sua propria realizzazione di oggi per l’albero di domani, e di lavorare oggi perché tutti questi desideri, che già si realizzano oggi nella pratica pedagogica, possano diventare una più grande realtà nel futuro.
Pensare ad una scuola “diversa”: cominciare dall’affermazione di valori differenti che vogliamo affermare e realizzare per mezzo della nostra vita; differenti di fronte a ciò che incontriamo dominante nel nostro tempo presente e di fronte a ciò che viviamo con più o meno profonda pena e rabbia.
Pensare ad una scuola nei paesi dove la metà della popolazione ha meno di vent’anni, significa pensare ad un seme per l’umanità futura che – liberata da questa fase di adorazione della tecnica (e dei suoi risultati) e della finanza – potrà riuscire a progettare, su fondamenti più umani, la maniera di vivere assieme su questo pianeta.
Pensare ad una scuola nella San Roque: è stato il risultato di tutto un lavoro precedente fatto sulla salute, sull’educazione, collocando tutto in un cammino, desiderando un mondo nuovo, realizzando nuove relazioni nel territorio.
Grazie a questo cammino territoriale è stato possibile mettere al centro i bambini, come fece Gesù, e pensare ad una scuola qualificata, con una nuova pedagogia, perché fosse un esempio che potesse servire agli adulti per vedere e insegnare ai bambini.
L’elemento essenziale di una scuola, il suo messaggio pedagogico, la sua efficacia e validità, tutto questo è contenuto nelle relazioni che riesce a sviluppare. La chiave di tutto, volendo diventare seme per iniziare un cammino di grande importanza, è la formazione di animatori di educazione adeguati a lavorare in situazioni non istituzionalizzate, adeguati al grande progetto di rinnovamento culturale che inizia con la ridefinizione della relazione adulti-bambini come elemento di lievito di tutto l’intreccio di relazioni che sono l’essenza della società.
Passare da relazioni vissute come “un peso” e centrate sul rito del sacrificio (proprio o degli altri), a relazioni vissute con allegria “attraverso una nuova ritualità dell’amore per se stesso e per gli altri”.
Tutto questo ha il sapore, in questo tempo sempre più dominato dalla terrificante devastazione per il moltiplicarsi delle guerre, di una precisa scelta: “tra uccidere e lasciarsi uccidere c’è una nuova via: vivi in abbondanza e fai in modo che anche attorno a te si viva in abbondanza” (cfr fax di Cesare, 3 aprile 1999).
Continuiamo perciò il nostro cammino, intrecciando le nostre esistenze e dando voce al nostro desiderio di conoscere per cambiare.
Maria Gasparini
La Rosa Blanca
Io sono un uomo sincero
vivo nella terra dove crescono le palme;
e, prima di morire,
desidero esprimere i desideri della mia anima.
I miei desideri sono di un verde chiaro
e di un rosso fuoco;
i miei desideri sono un cervo ferito
che cerca qualcuno che lo accolga.
Coltivo la rosa bianca
in giugno come in gennaio
per il mio amico sincero
che dà la sua mano con franchezza.
E per il crudele, che mi strappa
il cuore con il quale vivo,
non coltivo spine o veleni amari,
coltivo la rosa bianca.
Con i poveri della terra
io voglio gettare il mio destino.
E la difficoltà dei cammini sconosciuti
mi piace più della calma sedentaria.
Non mettetemi nelle celle oscure
a morire come un traditore.
Io sono sincero, cerco la giustizia
e morirò di fronte al sole .
(Josè Martì, Versos sencillos)