Scritti di Carlo Carlevaris (7)


 

Carlo nella sua casa


Uno scritto pubblicato sulla nostra rivista nell’ottobre 2008.

Qualche aggiornamento sulla mia vita. Io vivo in un quartiere di prostituzione. Ho avuto la fortuna di avere nella stessa casa le Piccole Sorelle di Charles de Foucauld, che abitano a pianterreno, mentre io sono al quarto piano. Con loro ho cominciato una scoperta nuova, dopo oltre trent’anni di vita in quel quartiere. Il quadrilatero in cui vivo è la zona tradizionale della prostituzione, direi casalinga: io non avevo mai scoperto una realtà simile. Gli angoli delle strade sono posti fissi di prostitute che vedo da anni, ma non avevo mai parlato con nessuna di loro. Le Piccole Sorelle mi hanno dato modo di incontrare questa popolazione, questa zona della vita della povera gente, che vive situazioni paradossali per certi versi. Io mi accorgo, occupandomi da alcuni anni di loro, di aver scoperto il Vangelo da vivere, e uno strano Vangelo che molte di loro vivono.
Parecchie sono abituate a pregare, invocano Dio magari per fare un buon affare, per salvarsi da una situazione di difficoltà, altre invece, ne ho conosciute molte, hanno imparato a pregare seriamente. Non vanno in chiesa perché si vergognano e soprattutto nella parrocchia in quanto sono conosciute. Qualcuna va a santa Rita, qualcuna alla Consolata, ma non vanno certamente in parrocchia perché sarebbero adocchiate. Non parlo di quelle occasionali, ma di gente che abita lì da tanti anni e tutti noi della zona le conosciamo. La Piccole Sorelle mi hanno insegnato ad avvicinarmi a loro e condividere un po’ la vita, le preoccupazioni, le attese, anche le speranze e il modo di pregare e di credere. Spesso è gente di 45-50 anni, non si tratta di ragazzine. Le anziane non permettono alle ragazzine di inserirsi nel quartiere: ogni angolo ha il suo feudo. Qualcuna mi ha anche invitato a casa, a vedere la loro casa. Ho visto come vivono: direi nello squallore, dove vedi che la vita è proprio squallida. Eppure scopri anche delle ricchezze, vorrei dire spirituali. Alcune di queste pregano bene, anche seriamente, altre dicono di non credere più: certamente non credono ai preti, non vanno in chiesa se non in qualche santuario.
È un’esperienza nuova, la vivo da alcuni anni ed ha cambiato parecchio della mia fede, del mio modo di vivere in questa società. Qui con voi vorrei ringraziare il Signore, perché è stato, dopo uno shock iniziale, un grosso arricchimento l’essermi accostato a questi poveri.
In questi giorni non abbiamo mai nominato i poveri e questo mi sorprende un po’. Non parliamo più di poveri, una volta il nostro discorso girava sempre attorno a questa realtà.
Ho scoperto un nuovo tipo di povertà, alla quale mai avrei pensato quando sono andato in fabbrica: invece di occuparmi di sindacato mi occupo di come risolvere i problemi di queste persone, di come accompagnarle o di essere preso per mano da qualcuna di queste creature.
Mi sento ancora un preteoperaio, questo mi ha aperto una strada di vita. Avevamo scelto il mondo del lavoro, la fabbrica, come vita con i poveri, gli operai che erano i poveri del nostro tempo. Per anni quando si parlava di operai si parlava di poveri, poi siamo diventati sindacalisti ed entrati in una dimensione politica. Il punto di partenza dei pretioperai era soprattutto scegliere i poveri, la classe operaia. Per me quello che sto vivendo, dopo essere passato attraverso l’esperienza operaia, è il mondo dei poveri, con i quali cerco di vivere il tempo di vita che mi rimane, ringraziando il Signore che mi ha aperto questa strada, come una strada importante, forse l’ultima da vivere nella mia vita.

CARLO CARLEVARIS

PRETIOPERAI N. 77-78 / OTTOBRE 2008


 

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