Aldo Bardini ci ha lasciato


 

Nel marzo scorso è morto ALDO BARDINI, l’ultimo degli “insoumis,” che non hanno accettato di abbandonare il lavoro in seguito al pronunciamento del Vaticano nel 1954. È rimasto diacono operaio, non ordinato prete perché voleva essere preteoperaio.
Ecco il testo dell’intervento al funerale, pronunciato da Madame J.Chanavel, sindaco onorario e cavaliere della Legion d’Onore.

Cari amici,
noi siamo qui per Aldo, per parlare di lui, per rendere omaggio a un uomo che non ha fatto come gli altri. Un uomo retto, coraggioso, sempre a servizio del suo prossimo, un uomo che non aveva nessuna ambizione personale, non egoista. Tutto il suo esistere era fatto di generosità e di giustizia. Uomo di grande cultura, di una grande intelligenza e di una grande bontà, era Aldo.
Figlio di immigrati italiani, venuto qui come tanti altri per fuggire alla miseria, alla disoccupazione, al fascismo di Mussolini. I suoi genitori hanno trovato, a Bagnolet, una popolazione di immigrati e non, operaia come loro, che li ha bene accolti.
Era il 1922; Aldo è nato a Parigi nel 1923 e la famiglia è venuta subito a Bagnolet in una casa con due stanze, senz’acqua e bagno al n. 49 di via Jules Ferry.
È nel vecchio quartiere delle Coutures che egli passa la sua infanzia, la sua giovinezza e gran parte della sua vita. Egli frequenta la scuola Jules Ferry, la stessa mia scuola, negli stessi anni: lui alla scuola dei maschi, io a quella delle femmine. Nella sua vita ritrovo un po’ la mia: la stessa scuola, lo stesso quartiere, lo stesso ambiente operaio. Ma non la stessa fede religiosa. È nel 1927 che viene creata la parrocchia Pontmain, costruita la chiesa con l’abbé Béthune. È nel 1927 che Bagnolet ha un’amministrazione comunista con Paul Cordet come sindaco. A quell’epoca il laico e il cattolico non avevano buoni rapporti; il settarismo esisteva da una parte e dall’altra. Aldo raccontava – io mi ricordo bene – come certi imitavano il gracchiare del corvo al passaggio di un prete in tonaca, per esempio. Io non conoscevo Aldo, ma abbiamo il ricordo comune di scambi un po’ maschi tra gli allievi che frequentavano il patronato laico municipale e quelli che andavano al “patronato dei preti”. Aldo si impegnò molto nella vita parrocchiale delle Coutures. La chiesa faceva grossi sforzi per ridare la fede a coloro che erano gravati da difficoltà di ogni sorta ed anche per porre un freno alle idee comuniste della “periferia rossa”.
Il patronato non bastava più: venivano organizzati circoli di studio, colonie per le vacanze, club sportivi. L’Hirondelle des Coutures divenne anche campione di Francia nel basket. Nel 1931 una sorellina, Louisette, si aggiunse alla famiglia. Il padre trovò un lavoro migliore e la vita divenne più facile. Ma questo non durò a lungo.
Aldo aveva appena dieci anni quando il padre morì dopo una lunga malattia e fu sepolto nel cimitero di Bagnolet. Fu di nuovo miseria. Ma il parroco Bétune che aveva la madre ammalata e che conosceva bene la famiglia Bardini, prese la mamma di Aldo al suo servizio e tutta la famiglia alloggiò nella casa parrocchiale. Una nuova vita incominciava. Gli anni 30 hanno molto segnato Aldo: le manifestazioni antifasciste del 1934, la guerra di Spagna, lo sciopero del 1936, le grandi manifestazioni a Parigi… Egli leggeva molto. Diceva che la lettura della vita di certi preti è stata importante per la sua vocazione religiosa. Tra queste la vita di padre Damiano, apostolo dei lebbrosi.
Aldo era un ragazzo di cuore e più tardi, alla fine dei suoi studi primari alla scuola Jules Ferry, entrò in seminario per diventare prete. Voleva essere preteoperaio, stare in mezzo ai suoi, nel mondo del lavoro. Questo modo di essere prete era iniziato nel 1943, ma sospeso negli anni 50. Nel 1950 Aldo terminò i suoi studi di teologia, aveva 27 anni. La chiesa voleva consacrarlo prete, ma per una parrocchia, non per continuare il lavoro in fabbrica. Aldo rifiutò. Chiese di essere ordinato per ben tre volte: nel 1951, nel 1960 e nel 1976. Si incontrò anche col cardinal Feltin per sentirsi dire di lasciare la fabbrica, sottomettersi, obbedire e andare in parrocchia. Rifiutò di nuovo. Disse che al momento del diaconato aveva fatto la promessa al card. Suhard di restare dentro la classe operaia e che non avrebbe mai rinnegato questa promessa.
Questo è quello che lui ha fatto, è questo che lui ha voluto essere con la qualifica di “resistente” e di “insoumi” (= non sottomesso). Ma gli amici parleranno meglio di me di questo periodo della vita di Aldo.
Egli ha lavorato nelle miniere di carbone nel Nord, nella Renault di Billancourt, a Clichy. Gli operai lo elessero responsabile sindacale presso la CGT, nel consiglio di fabbrica. Questo fu la causa del suo licenziamento. Non ha più trovato lavoro nella metallurgia, si è riconvertito nell’edilizia ed è là che ha terminato il suo lavoro nel 1987. Frattanto egli aveva aderito al partito comunista.
Critico verso la chiesa che gli ha impedito di realizzare il suo ideale, critico verso questa società capitalista che sfrutta gli esseri umani e affama i piccoli in nome della rendita finanziaria. Questo cristiano dal grande cuore, difensore accanito degli operai, delle grandi idee di giustizia e di libertà, di pace, non poteva che incontrare le idee comuniste di lotta per il benessere umano sulla terra. La sua fede cristiana e la sua fede in una società migliore che volevano i comunisti si completavano armoniosamente.
Aldo si è battuto tutta la vita per gli altri. Si è impegnato tutta la vita per diventare prete, ma non gli è riuscito. È stato il più grande dramma della sua vita, una profonda lacerazione, un’atroce delusione. Aldo è stato attivista nei Garibaldini, di cui fu responsabile e nella sezione comunista del suo quartiere da quando è andato in pensione, ha partecipato alla Resistenza qui e a Brannay insieme a J.B. Girardello, suo cognato.
Jean e Aldo, ambedue cristiani e comunisti dalle grandi qualità umane. Tutti e due se ne sono andati, ma essi fanno parte della nostra vita, fanno parte della vita della nostra città e della sua storia. Noi non siamo preti per dimenticarli. Noi li amiamo molto.

 

J. Chavanel


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