Ricordiamo Dino Fabiani (1)
Agli amici
ai quali non è ancora stato staccato
il biglietto di partenza
Quando qualcuno leggerà la presente, io sarò giunto al capolinea, dove sono già arrivati altri amici e compagni di viaggio. Vi assicuro che è molto bello guardare, come da un’alta montagna il cammino percorso, vedere il fondovalle, il sentiero percorso, ogni ostacolo, la fatica, la sete, i compagni di viaggio e, insieme i grandi doni di Dio: la Fede, il Sacerdozio…. Ho davanti agli occhi la vita passata a Pentolina, a Piana, a Serravalle, nel mondo operaio e, infine, a Iesa con S. Lorenzo e Tocchi. Il capolinea, visto con quest’ottica, non dà tristezza, ma ti riempie di gioia. Se la fede ha illuminato questi giorni, vi assicuro che è facile intravedere il sorriso di Dio, che tutto dispone per far crescere una persona secondo il suo progetto. Allora tutto appare luminoso: niente è avvenuto per caso. Ma quanta fatica per capire che i suoi progetti non sono i nostri progetti, che i suoi tempi non sono i nostri tempi, che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, che ogni vita è sempre carezzata dalla sua mano.
Oggi sento di essere in dirittura di arrivo. Avrei una gran voglia di stringere la mano a molti amici e di guardarci ancora negli occhi. Cosa devo dirvi? Arrivederci? … Addio? … Forse le due cose insieme. Con la speranza di rivederci ancora, lassù nella casa del Padre e pur con la medesima speranza: che non manchi nessuno. Ma, insieme, sento anche il bisogno di chieder perdono se per qualcuno, almeno qualche volta, non sono stato di esempio; in modo particolare quando sarebbe stato opportuno tacere e invece il mio caratterino mi ha fatto parlare troppo. Quando anche voi sarete alla mia età sentirete quanto è importante sapere di essere stati capiti e perdonati. Grazie a Dio, anche i preti, senza privilegi, hanno la speranza di essere perdonati.
Nella mia vita ho incontrato molti amici. Vorrei dire un caloroso “grazie” a tutti costoro, stringendo la mano di ognuno. Però un “grazie” particolare vorrei dirlo al mondo operaio che non solo mi ha aiutato a crescere come uomo, ma anche (non sembri strano) a leggere la Bibbia in modo diverso. Questo modo di agire di Dio a noi può sembrare strano, ma Paolo a questo proposito aveva idee molto chiare: “ Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessuno possa gloriarsi davanti a Dio (I Cor. 1,27…) E allora tutto diventa chiaro: “il vento soffia dove vuole e non sai da dove viene né dove va, ma ne senti la voce” (Gv. 3,8) e non chiede il permesso a nessuno: può venire anche attraverso quelli che credevamo lontani. E così è stato.
Io non so (spero di non saperlo mai; ma anche se lo sapessi non lo direi mai, perché sarei tra quelli che hanno già ricevuto la loro ricompensa) se ai compagni operai ho fatto qualcosa di buono, ma so che da questo mondo ho ricevuto molto. Vorrei augurare a tutti i fratelli preti di ricevere tanto: cambierebbe la loro vita. Entrare in questo mondo è come fare un viaggio senza ritorno, come diceva Ungaretti: “L’uomo non può tornare mai allo stesso luogo da dove è partito, perché nello stesso tempo lui stesso è cambiato”.
So bene che con alcuni (preti) non ci siamo capiti. E’ normale. Non ci saranno mai due nuvole uguali, né due foglie, né due piante, né due animali, né due persone, né due progetti uguali perché Dio non è abituato a fare le cose in serie, come facciamo noi. Lui fa solo pezzi unici: e noi siamo tutti pezzi unici. Per questo motivo sarebbe sbagliato farci rimproveri: tutti abbiamo agito con retta intenzione. Importante, invece è mettersi in ascolto: lui sa parlare personalmente a ciascuno: la Sua voce è inconfondibile: non ti inviterà mai a far carriera. Lui sa indicarti bene quali devono essere le scelte importanti per tua vita.
Agli amici di Iesa vorrei lasciare, come ricordo, i due arredamenti delle cappelle di Lama e della casa di riposo. Vorrei invitare ciascuno ad ascoltare la loro voce: quei pezzi di legno dei nostri campi e dei nostri boschi sono ancora vivi, e parlano. Più che vedere, vorrei invitarvi ad ascoltare. Parlano della fatica, e di persone precise delle famiglie nostre che vi hanno lavorato.
Quel legno di olivo della cappella di Lama ti fa pensare subito al sapore di una bruschetta. Ma ti sei mai domandato perché quell’olio è migliore di altri che hanno tanto di etichettatura DOC? La risposta è semplice: quell’olio porta stampato, molto più di una etichetta, il nome preciso di uno della tua famiglia: è il suo sudore che lo rende migliore di qualunque altro.
E quella grande ruota che sta alla base del medesimo altare e che proprio qui a Iesa ha macinato migliaia di quintali di olive? Ogni volta che la guardo (e mi capita spesso) sento che mi racconta la sua lunga storia. È simile a quelle persone anziane del nostro paese che ti raccontano volentieri la loro storia, sempre la medesima ma che, anche se raccontata mille volte, la raccontano volentieri e ti fa piacere sentirla raccontare.
“La mia vita è lunga assai. Ero una grande roccia, nata in questi paraggi circa 230 milioni di anni fa. Ci puoi credere anche se non ho il certificato di nascita: lo puoi domandare ad un geologo. In seguito mi hanno classificata com <Microanagenite> nel grippo del verrucano.
Molti (ma molti!) anni dopo, un gruppo di persone di Iesa mi hanno preso di mira perché adatta per ricavarvi una macina da frantoio e si sono accaniti su di me a forza di martello e scalpello. È stato un lavoro lungo e duro. Non era facile lavorare là, in mezzo al bosco, con pochi arnesi, al caldo e al freddo. Io non ho sofferto, ma credo che loro abbiano fatto una grossa fatica. Non era colpa mia se ero molto dura; ma li ho visti felici: erano riusciti a fare un vero capolavoro. Dopo sono riusciti anche a portarmi nell’oliviera, (non sono molto pesante, solo 13 quintali e mezzo). Per molti anni ho esercitato lodevolmente il mio lavoro. Per muovermi avevo un motore “Vivi”: una ciuca che per tante ore al giorno girava attorno, incitata da qualche frustata e tanti <arri-là>. Dopo sono andata in pensione. Oggi lavoro ancora e il mio lavoro è considerato più “nobile”: lo faccio volentieri e non duro fatica. Ma ti assicuro: il profumo di quell’olio e di quell’oliviera sono ancora vivi, come un regalo che ho ricevuto”.
È una storia vera, e non solo di una macina ma di persone che vi hanno lavorato accanto. Queste, ogni volta che sarà celebrata l’Eucaristia non solo saranno ricordate nella preghiera: ma ricorderanno anche ai vivi, che non è vergogna lavorare al bosco o ai campi, e diranno insieme a S. Paolo: “al mio sostentamento hanno provveduto queste mie mani.” Non dire mai: i tempi sono cambiati. Le cose che non costano niente non valgono niente.
Per associazione di idee, quel profumo di olio e di oliviera mi fa fare un salto indietro negli anni in cui ero un ragazzino e mi porta ad un altro profumo, il profumo del pane. Mi spiego. A quel tempo, per chi, come me, viveva in campagna, il pane veniva fatto in casa. C’era un forno, scaldato con le “fastella” (Nominativo neutro plurale da fastellum) e il pane, appena cotto, dalla nonna veniva portato nella grande cucina, al piano superiore. Proprio allora avveniva il “miracolo”. Il pane, ancora fumante riempiva tutta la stanza di un tale profumo, indescrivibile oggi, ma che, chi l’ha sentito anche una sola volta non lo può più dimenticare, come tutte le cose grandi e belle. Era diverso dal profumo che puoi sentire oggi, in un qualsiasi forno. Forse diverso perché sapeva di casa nostra, e della dura fatica spesa proprio per un tozzo di pane?
Quel profumo era solo l’ultimo atto di una lunga storia di un chicco di grano: la semina, la crescita, lenta di uno stelo, la spiga, la mietitura, la festa della trebbiatura, la sua macinatura, come le olive, sotto una mola e infine, la cottura e il suo profumo. Una storia che coinvolgeva l’uomo e il suo sudore.
In altre parole: questo altare,1) se guardo l’esterno (olivo e pietra) mi fa vedere un’immagine che può piacere o non piacere 2) l’interno, che non si vede, mi porta lontano nel tempo, quasi a rivivere tempi passati, mi fa gustare il profumo dell’olio e del pane, e, soprattutto il profumo del lavoro e della fatica. Quel profumo, intenso e imprevisto, vuol raccontare l’ultimo atto di due storie, che hanno il profumo in comune. È profumo di casa nostra: la fatica dell’uomo.
Forse ci fa pensare come una nostalgia di beni assaporati e perduti? Sta di fatto che quel profumo è un canto, è un messaggio non di poco conto e di tempi lontani. È anche un messaggio opposto a quello che ci viene fornito oggi, e ci dice: la persona non vale perché è arrivata prima a un concorso di bellezza o perché ha il più grosso conto in banca, ma perché è una persona. Ogni persona vale per quello che è, non per quello che ha. Questo messaggio lo possiamo accogliere o rifiutare, lo possiamo udire o anche dimenticare. Ma ricordati bene: c’è QUALCUNO che non dimentica. È un messaggio che viene dall’alto, ma anche da casa nostra, impastato con la nostra storia. È musica. È un canto. È anche il messaggio di uno che sa di essere arrivato al traguardo. Renditi conto che in questo momento non si può barare.
Oggi ancora pane su quell’altare. Ci fa pensare all’azione “sacra” dell’Eucaristia. Può essere vero anche il contrario: ogni lavoro è un’azione “sacra”, perché sacra è la fatica dell’uomo. Non per caso Lui ha scelto le cose più semplici per fare cose “grandi”. Dio, di lassù, guarda le cose in modo diverso e ci invita a sognare “altro”. È solo un invito, ma viene da Lui!
Oggi sento il peso dell’età e me ne rendo conto. Vivendo vicino a persone della mia età e con “alzheimer” ( che non è una semplice influenza) sento di averne paura. Mi rendo conto che noi tutti, e anch’io, siamo un po’ buffi. Per migliaia di volte io ho detto: “sia fatta la Tua volontà” ma se ti capita addosso qualcosa di grave, siamo indotti a suggerirGli: si potrebbe fare un’eccezione? Allora tutte le scuse sono buone ( “Sono di peso agli altri”…) È un rifugiarsi in corner. Se anch’io arrivassi a tanto sappiatemi scusare: come tutti sono anch’io un pover’uomo e, fortunatamente, senza privilegi. Tutto sarà sommato agli altri vostri meriti.
Molte volte ho letto il Salmo 30. Le parole di questo salmo “nelle tue mani affido il mio spirito” furono nel testo di Luca, le ultime parole di Cristo sulla croce (Lc.23,46). Questo vuol dire che Lui lo conosceva bene questo salmo: era abituato a pregare anche con i Salmi. La stessa frase è risuonata anche nella bocca di molti altri, nel punto della loro morte (S.Stefano, S.Policarpo, S.Basilio, S.Luigi IX, S.Venceslao, Il Savonarola, Lutero…) Io vorrei che fossero anche le mie ultime parole quando arriverò al traguardo: mi troverei in buona compagnia. In altre parole: vorrei che la mia vita avesse termine con un atto di Fede e con il sorriso sulle labbra.
Quel giorno, se il Padre mi accoglierà nella sua casa e me lo permetterà, cercherò di fare, di lassù, quello che non sono stato capace di fare quaggiù. Spero che non mi dica: “hanno il Vangelo, dove sta scritto tutto, osservino quello” (Lc. 16,29). Sono convinto che non me lo dirà perché Dio è Amore, e continua a volerci bene, nonostante tutte le nostre sciocchezze.
E allora ditelo a tutti: Dino è tornato con gioia alla casa del Padre.
Con molto affetto. Arrivederci… lassù
Dino Fabiani
Iesa: 15 settembre 2012
Come se non fossero sufficienti le 3 pagine, aggiungo ancora un P.S.
P.S. (Agli amici, ai quali…)
Non per caso ho scelto il problema “lavoro”, da lasciare come ricordo agli amici. E non solo perché ho fatto l’operaio. Anzi, è vero tutto il contrario: ho fatto la scelta di essere operaio in senso materiale, perché nessuno di questa categoria dovesse sentirsi a disagio o, per dirla ancora meglio, di serie B nella scala sociale. Per tutti noi che abbiamo fatto questa scelta, ogni lavoro è importante. Un amico, che aveva fatto lo spazzino, decise di farsi prete, a una condizione: continuare a fare lo spazzino. Il Vescovo, forse a malincuore, dovette acconsentire.
Mi spiego meglio. Ogni persona, membro di una società, è come un corpo, composto di una infinità di parti o di cellule. L’occhio non può dire di essere la parte più importante o indispensabile. L’occhio ha bisogno della mano, del piede, dello stomaco, dell’intestino, del fegato, del sangue … Se una sola parte del corpo non funzione, è causa di male per tutto il corpo. Se fa sciopero il cuore tutto il corpo morirà. Ogni membro riceve da tutti e deve fare il suo lavoro a favore di tutti. Questo è stato il progetto del Grande Architetto dell’universo.
Per questo motivo aveva ragione Paolo quando diceva: chi non lavora non deve mangiare, perché chi non produce niente per il corpo è un parassita, uno sfruttatore, un mantenuto, non degno di far parte di un corpo, degno di essere eliminato, come avviene per qualsiasi corpo.
In questo senso ogni lavoro è importante, compreso quello del prete che non deve stare soltanto a giocare con i bambini, ma, in nome della Parola di Dio, deve dare a tutti il senso della vita, perché nessuno viva alle spalle degli altri.
Io ho avuto la fortuna di non essere mai “disoccupato”, ma ne sento la voce che, con ragione, oggi diventa un “urlo” da parte di un immenso coro che non fa il gioco del disoccupato.
A ognuno di queste persone, guardandolo negli occhi vorrei dire: Non devi sentirti inutile. Anzi: devi sentirti utile anche per qualcuno di questa società che non pensa a te. Oltre a tutto il resto (anche urlare la tua rabbia) scegli di andare, qualche volta in una casa di riposo, magari a fare una partita a briscola, o a carezzare la mano di una persona con Alzheimer. Forse qualcuno un giorno ti dirà “grazie”. O forse no; ma non importa. Ma tu, a testa alta, devi sentirti utile.
Ricorda bene: è vecchio solo chi non ha più voglia di fare niente. Tu puoi sentirti giovane, anche se hai 80 anni finiti. Buon viaggio, allora!
Dino “rompiscatole”