Ricordiamo Sandro Dordi
Ricordiamo due figure di PO che hanno raggiunto la dimensione ultima e definitiva, l’incontro di cui parla l’Apocalisse:
“Non avranno più fame né avranno più sete
Non li colpirà il sole né arsura alcuna
Perché l’Agnello che sta in mezzo al trono
Sarà il loro pastore.
E li guiderà alle fonti dell’acqua della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”.
Di seguito, don SANDRO DORDI ucciso nella sua missione in Perù nel 1991 e recentemente dichiarato beato.
Negli articoli successivi, don GIANNI CHIESA, che abbiamo salutato nel novembre scorso.
Un PO beatificato
Il 5 dicembre dello scorso anno è stato beatificato Sandro Dordi, prete della comunità missionaria del Paradiso di Bergamo, che ha fatto il prete operaio fino al 1980.
Diventato prete nel 1954 è stato destinato al Polesine, Taglio di Donada dove erano già presenti altri preti della comunità. Lì venne aperta una scuola professionale, per dare ai giovani una prospettiva di lavoro e di vita e agli adulti attività di insegnamento per superare l’analfabetismo. Si programmavano corsi per elettricisti, idraulici, saldatori, falegnami. Anche lui divenne esperto in queste professioni. Intransigente sugli impegni e sulla disciplina, chiedeva agli alunni senso di responsabilità come condizione di maturazione e di crescita personale. Questo metodo aveva fatto aumentare il numero di alunni frequentanti: 120 adolescenti all’inizio, 240 negli anni successivi per arrivare nel 1958 a 400 allievi ai quali si aggiungevano 120 apprendisti. Quei ragazzi trovarono lavoro nel territorio
Nel 1965 alla Comunità del Paradiso fu affidato l’incarico di seguire la pastorale per i migranti in Svizzera e don Sandro si trasferì nella missione di La Chaux-de-Fond, cantone svizzero di Neuchatel. La missione comprendeva circa sei mila italiani. Dopo un po’ di tempo decise di andare a lavorare come prete operaio nella cittadina di Le Locle nella fabbrica di orologi Zenith. La sua scelta di fare il prete operaio non fu troppo condivisa dalla curia della diocesi di Friburgo , né dalla Federazione Cattolica di Neuchatel. Questa la lettera che scrisse al vescovo di Friburgo:
“Voglio impegnarmi nel lavoro e nella missione che amo. Ecco i motivi di questa mia personale decisione. il lavoro manuale mi è particolarmente gradito e conforme alla mia indole. Non è la prima esperienza. In una comunità di clero penso sia utile che un sacerdote, se si sente attratto, faccia questa esperienza per conoscere l’uomo lavoratore nel suo vissuto. Mi rendo conto che il fatto susciti perplessità. Ma allora anche i preti – professori che insegnano – dovrebbero essere nella stessa situazione. Nell’esprimere il mio pensiero non assumo atteggiamenti arroganti. Con semplicità e con coscienza voglio impegnarmi nel lavoro e nella Missione che amo sinceramente. ammetto i miei limiti e difetti: avrei dovuto parlarne prima. Se ho mancato di prudenza, non è stato per cattiva intenzione o per mancanza di fiducia. Dell’Istituto a cui appartengo, non sono né il primo né l’unico sacerdote che dedica parte della sua giornata a un’attività lavorativa. il mio nuovo lavoro mi rende più occupato, ma non trascuro le mie responsabilità sacerdotali. Nessuno s’accorgerebbe se trascorressi questo tempo, che dedico al lavoro, nella pigrizia. Eccellenza, desidero che lei sappia che sono vicino a lei e alla Madre chiesa che amo. Con lei metto a disposizione la mia povera persona per il bene del prossimo.”
Una scelta “personale” come lui la definiva veniva condivisa invece dalla Comunità del Paradiso che aveva già al suo interno alcuni preti che avevano fatto quella scelta. Egli ci aveva riflettuto a lungo e la considerava significativa per il suo ministero tra i migranti. Con coerenza aveva rinunciato allo stipendio che la Chiesa cantonale forniva ai suoi sacerdoti, per una testimonianza di povertà . In quella città molti emigranti lavoravano nelle fabbriche di orologi e lui incominciò dalla gavetta dedicandosi alla lucidatura delle casse degli orologi per vivere la stessa situazione degli emigrati italiani, capirli e poterli meglio aiutare.Sul lavoro aveva accettato anche incarichi di responsabilità nella programmazione per la quale aveva frequentato un corso di informatica. Dopo il lavoro si dedicava all’incontro con i migranti , visitando case, condomini, abitazioni e le baracche. Dedicò molto tempo alla realizzazione dell’asilo infantile e ad una struttura che organizzava corsi di taglio e cucito, corsi di economia domestica. Durante quegli anni ebbe l’occasione di visitare alcuni paesi dell’America Latina che fece maturare in lui l’idea di una scelta radicale ritenendo che il suo posto doveva essere là. Nel 1980 chiese al vescovo di Bergamo di essere inviato come prete “Fidei donum” in Perù. Santa fu il luogo della sua missione. “Ci fa molta pena la situazione penosa di fame, violenza e caos che vive il Perù… Sì, i poveri mi hanno cambiato”. Molto impegnato nel sociale, aveva fatto costruire una casa per la promozione della donna, risistemato la chiesa parrocchiale, ricostruito il canale di irrigazione per i campesinos, dopo l’esondazione del Nino, provocata da piogge torrenziali. Alla furia delle acque seguì la siccità. I canali devastati o ostruiti dai detriti non lasciavano più passare l’acqua per irrigare i terreni. Le coltivazioni stavano morendo. Chiama a raccolta i campesinos e li coinvolse per risolvere il problema progettando una canalizzazione in cemento. In quell’occasione fece da progettista, direttore dei lavori, muratore. Lo chiamavano “el ingenero” per le sue competenze. Egli aveva imparato in Polesine e in Svizzera che costruzioni ed opere di restauro sono momenti forti che aiutano la crescita dello spirito comunitario. Nulla doveva essere fatto senza il coinvolgimento e il consenso della gente: botteghini farmaceutici di prima necessità e costruzione di scuole, strade, bacini di irrigazione. Senza la collaborazione delle persone ogni cosa si sarebbe presto impantanata. Dedicò molte energie alla formazione degli adulti privilegiando la catechesi familiare e la formazione dei catechisti. Quel periodo era per il Perù molto conflittuale, governato da politi corrotti e questo aveva fatto nascere movimenti di liberazione come Sendero Luminoso. E come in ogni movimento anche quello nascondeva nel suo seno delle frange estreme che facevano di ogni erba un fascio.
Nel 1991 un “commando di annientamento” degli stessi rivoluzionari aveva trucidato due giovani francescani Michele Tomaszek e Sbigneo Strzalkowski, accusati di “ingannare il popolo con le loro Bibbie”. Una foto li ritrae insieme a don Sandro, tutti e tre sorridenti.
In quel periodo Sendero Luminoso aveva creato nella zona una specie di governo parallelo.
L’assassinio dei due frati lo aveva messo in guardia, sapeva che sarebbe toccato anche a lui. Lo avvertiva da segnali espliciti e da voci insistenti . Dopo una lunga serie di uccisioni di politici , alcuni esponenti del terrorismo andino irridevano l’impegno pastorale con macabre battute: “La Chiesa la lasceremo come dolce, a fine pasto”. Qualche mese prima nel novembre del 1990 si trovava in macchina con il vescovo di Chimbote. In un agguato teso ad una curva sulla strada venne aggredito da due sicari e ferito. La pronta manovra del vescovo aveva evitato il peggio. Ora si profilava la resa dei conti. A metà agosto del 1991 su un muro del centro di Santa spiccava una scritta in caratteri cubitali, tracciata in vernice rossa su sfondo imbiancato, perché fosse ben evidenziata “ YANKEES, EL PERU’ SERA’ SU TOMBA”. Non si citava alcun nome, ma tutti, e lui più degli altri, sapevano che l’obiettivo era don Sandro, che lucidamente non mancò di commentare: “E’ stato scritto per me”.Egli dovette provare grande umiliazione nel rileggere quella scritta tutte le volte che passava davanti al muro uscendo e rientrando in casa. Gli pesava l’amarezza di essere chiamato “Straniero”, quasi fosse un intruso, un mercenario e un venditore di favole e di illusioni tra la gente. Considerazioni spesso vere che rivelavano la presenza di una chiesa alleata col potere, ma come sempre le eccezioni ci stanno e la presenza di don Sandro in quel luogo è la dimostrazione di come lui fosse vicino alla gente col suo impegno .
Alcuni amici tra cui il vescovo di Chimbote gli avevano suggerito di lasciare la parrocchia e di rientrare per un periodo in Italia, ma egli rispondeva “Se lascio la mia gente proprio ora, non hanno più nessuno”. Egli non scappò, non si nascose. Per lui il rischio di rimettere la vita entrava nel conto della scelta che aveva fatto.
Il 25 agosto del 1991 stava rientrando a Santa dopo aver celebrato la messa festiva a Vinzos, uno dei trenta villaggi della sua missione. Verso le cinque del pomeriggio, quando comparve la sua camionetta , due sicari lo aspettavano al varco e gli scaricarono contro l’arma da fuoco, proiettili gli trapassarono la testa e il cuore, uccidendolo all’istante. I funerali vennero celebrati nella cattedrale di Lima, sopra la bara misero il sombrero e i suoi sandali e attorno uno striscione: “Sandro bon pastor, contigos gritamos sì a la vida, non a la muerte”
Nel 1992 il capo dei guerriglieri fu arrestato dalle forze dell’ordine e assicurato al carcere di massima sicurezza. Nel 2002 il vescovo di Chimbote Luis Barbaren gli fece visita in prigione e nel colloquio che ebbe con lui, gli domandò perché fossero stati uccisi don Sandro e i due francescani. Egli rispose: “Il compagno Jorge che comandò l’esecuzione sosteneva questa verità assoluta: la religione è l’oppio dei popoli, e affermava che con la Bibbia, i sacramenti e il catechismo, la predicazione si addormentavano le coscienze dei campesinos”.
Dopo anni ritenne che quello fu un errore e chiese perdono.