Quando Roma condanna
50 anni or sono questi uomini che venivano chiamati i pretioperai conobbero una fine brutale della loro missione a causa del dictat (ultimatum) imposto da Roma. Essi dovevano entro il 1° marzo 1954 abbandonare fabbriche o cantieri dove lavoravano, abbandonare sindacato e responsabilità per ricongiungersi con qualcuna delle strutture ecclesiastiche: parrocchie, cappellanie, congregazioni.
Occorre richiamare alcuni eventi di questo mezzo secolo per comprendere quanto è avvenuto. I vescovi francesi, in maggioranza, hanno apportato un contributo più o meno attivo al governo del maresciallo Pétain, in conformità con una tradizione di sottomissione al potere costituito.
Un libro di Padre Godin , La Francia paese di missione, che pose delle questioni alla Chiesa, apparve in un contesto storico fortemente tormentato. Finita la guerra, dopo l’occupazione, la prigionia, la resistenza, la Francia visse una liberazione come un tempo di ricostruzione e di iniziative in tutti gli ambiti.
A capo della Diocesi di Parigi, il card. Suhard era una delle più eminenti personalità della gerarchia cattolica. Tormentato davanti alle sue responsabilità pastorali e angosciato dinanzi all’indifferenza del popolo delle periferie urbane, egli si sentì in dovere di fare qualcosa per abbattere il muro che separa il popolo dalla Chiesa.
Per suo impulso si costituì un gruppo di giovani preti che condividevano la stessa convinzione. Li riunì e, fatto davvero eccezionale nella Chiesa, li inviò, senza prospettiva di ritorno, nel mondo dei lavoratori per vivervi una presenza di Chiesa. Egli concedeva loro una libertà piena, svincolata da ogni obbligo. Essi dovevano soltanto rendere conto a lui delle loro difficoltà e delle scoperte, sapendo bene che il loro sacerdozio non avrebbe potuto esercitarsi nelle modalità tradizionali. L’équipe della Missione di Parigi era fondata. Il cardinale veniva spesso in via Ganneron dove ogni settimana questa équipe si riuniva. Egli non esitava a farsi eco delle inquietudini romane e delle sue posizioni conservatrici.
Quello che ben presto si impose a questi uomini fu la necessità di entrare nel lavoro e di acquisire una competenza professionale. Essi vissero la vita operaia non da osservatori. La ritrovavano nei quartieri o in locali affittati dove si installavano.
Questa presenza che essi volevano sincera e vera li trascinò normalmente nelle lotte che il proletariato è costretto a sostenere. Aderirono alla CGT, sindacato che la classe operaia si è creato nel corso della sua storia e accettarono le responsabilità che loro furono conferite.
È a partire dal luglio 1949 che un primo decreto del Sant’Ufficio mette in guardia i cattolici dal Partito Comunista. È già una condanna dell’impegno nella classe operaia. Dal luglio 1949 al novembre 1953, le manovre vaticane appoggiate da una parte dell’episcopato francese sottomesso all’autorità di Pio XII, non cessano di frenare questa apertura al mondo ateo.
Occorre notare anche l’offensiva coordinata dai padroni detti cristiani, dalla CFTC e dagli ambienti più conservatori della Chiesa. La scoperta progressiva dell’esistenza della Missione di Parigi e dei suoi coinvolgimenti provocò diffidenza e scandalo. Dopo la morte del card. Suhard e dal 1951-52, sospetti e perfino minacce di scomunica si manifestarono da parte della gerarchia. Nel novembre 1953, è prevista la decisione di sospendere l’esperienza dei pretioperai (secondo l’espressione dei non coinvolti), che però per i PO non era una esperienza.
Il sospetto della gerarchia si manifestò allora attraverso una serie di interdizioni e di misure repressive: sospensione del periodico La Quinzaine, condanna di “Giovinezza della Chiesa”, dimissioni coatte di Padre Augros superiore del seminario della Missione di Francia di Lisieux e chiusura dello stesso, riduzione al silenzio di Padre Theillard de Chardin.
Fu così che nel 1954 arrivò l’interdizione senza appello di Pio XII riguardante i PO. Ad una data precisa essi dovevano aver lasciato il lavoro e l’impegno nella classe operaia. Sul centinaio che essi erano un po’ più della metà decise di rimanere nel lavoro.
L’avvenimento ebbe una certa eco nell’attualità di allora. Per coloro che ne erano le principali vittime, cominciò una nuova vita. Sia quelli che erano organizzati in gruppi di resistenza e di riflessione, sia quelli che si ritrovavano soli con la loro coscienza, tutti vissero per un anno o due una vera traversata del deserto. Due persero la vita per disperazione.
Però questo rifiuto che essi avevano subito, e non voluto, rafforzò il loro legame con la classe operaia. Ben presto il loro coinvolgimento li gettò gomito a gomito con i loro compagni di lavoro, in una partecipazione attiva alle lotte nate dagli eventi: conflitti sociali e politici, guerre d’Indocina e d’Algeria.
Appaiono allora questi valori che costituiscono la stoffa e la grandezza della classe operaia: solidarietà nella vita e nel lavoro, una dignità spesso ferita, ma sempre rivendicata e soprattutto l’appello ad una giustizia schernita da coloro che hanno potere e danaro. Appello ad una giustizia che vuole essere un diritto e non una carità umiliante.
A questi uomini, preoccupati di essere attenti all’Evangelo più che all’esercizio di una funzione tradizionale sacralizzata, apparve che la vita operaia era traversata da valori evangelici rivelatori di valori umani. Questo messaggio che i PO pensavano di portare, è così ritornato a loro vivente, di una vita umana, non sclerotizzata in una dottrina dogmatica e in una morale.
Noi abbiamo vissuto questo andare e venire dal pensiero alla vita e dalla vita al pensiero come una unità ritrovata, una unità infranta da tutti quelli ai quali essa faceva paura. È alla luce di questo evangelo vissuto che noi abbiamo riletto il testo scritto di questo evangelo; ci è apparso allora luminoso, in una verità forte e anche semplice e rigenerata.
Gli anni sono passati. Dei PO di allora una larga maggioranza è scomparsa. Noi non osiamo dirci loro porta-parola. Il ruolo di coloro che sono rimasti è di tener sveglio il loro ricordo e di tentare di esprimere il senso della loro scelta e di quella di tutti noi.
Per concludere, alla luce del nostro vissuto situato nella storia del XX secolo erede del XIX secolo, una constatazione a noi si impone: l’incapacità per la Chiesa istituzionale di accettare le altre culture e la volontà dell’uomo di inserirsi, libero e responsabile, nella costruzione del mondo.
Dopo aver eliminato ogni forma di risentimento, noi possiamo dire che questi anni ci hanno condotto alla pace.
Firmato: Aldo Bardini, Maurice Combe,
Jean Dessailly, Jean-Marie Huret,
Jean-Marie Marzio, Jean Olhagaray, Francis Serra
15 gennaio 2004
Scheda
Alcune date importanti nella storia dei pretioperai
- Nel 1941 ottocentomila francesi vengono deportati in Germania nei campi di lavoro. Nessun cappellano può seguirli. Col consenso del card. Suhard, arcivescovo di Parigi, 25 preti seguono clandestinamente quei lavoratori. Un abisso separa il loro mondo di preti da quello dei loro compagni di sventura.
- Suhard, in accordo con i cardinali e arcivescovi francesi, fonda a Lisieux il seminario della Mission de France.
- Nel 1943 H. Godin e Y. Daniel pubblicano un libro dal titolo: “ France, pays de mission?”. La “figlia prediletta della chiesa” territorio di missione! Quel rapporto turba i sonni del cardinale.
- 1944: Suhard dà il via alla Mission de Paris. Alcuni suoi preti iniziano il lavoro nelle fabbriche. In breve tempo anche in diverse città e zone industriali altri preti diventano operai.
- Roma si allarma. Tuttavia l’esperienza continua sotto la diretta responsabilità dei vescovi francesi.
- 1947: nella lettera pastorale “ Essor ou déclin de l’Église ” Suhard esprime il pieno appoggio ai pretioperai.
- 1949: Un decreto del Sant’Ufficio colpisce di scomunica i comunisti e i loro simpatizzanti.
- Morte del card. Suhard.
- 1950: Primo prete-operaio italiano: don Bruno Borghi a Firenze.
- 1953: Annuncio da Roma dell’imminente soppressione dei pretioperai. Chiusura del Seminario della Mission de France dove venivano formati i futuri pretioperai.
- 1954: Ultimatum fissato al 1° marzo per la cessazione del lavoro dei pretioperai. Manifesto dei 73 che denunciano la scelta impossibile alla quale sono costretti i PO. Dichiarazione dei Soumis (i pretioperai che si sono sottomessi alle condizioni imposte da Roma).
- 1956: secondo prete-operaio italiano: don Sirio Politi a Viareggio. All’inizio degli anni ’60 gli viene imposto di scegliere tra fare il prete o l’operaio. Sirio lascia il cantiere, ma continua a mantenersi con il suo lavoro artigianale.
- 1959: il Sant’Ufficio riafferma il divieto di lavoro per i pretioperai e preti-marinai “ per incompatibilità con la vita e gli obblighi sacerdotali ”.
- 1965: Conclusione del Concilio Vaticano II. In accordo con Paolo VI riprende il lavoro dei pretioperai. Oltre che in Francia, si diffondono in Belgio, in Italia, nei paesi catalani e nelle regioni della Spagna, in Germania, in Portogallo, in Svizzera.