“Dicevano che era un prete” / Atti del convegno (1)
La scheda anagrafica intestata a Carlevaris Carlo, conservata dalla cancelleria della curia arcivescovile di Torino, è un documento che raccoglie le tappe del suo percorso biografico e di prete cattolico, insieme a una foto che lo ritrae poco più che ventenne in abito talare. Questa scheda della burocrazia diocesana, in realtà, registra soltanto una parte della vita di Carlevaris, che con difficoltà può essere inquadrata nei più consueti canoni ecclesiastici e nelle statistiche cattoliche. Dunque, Carlo Carlevaris è nato a Cardé, in provincia di Cuneo, il 12 aprile 1926, da Michele e Vittoria Ribotta. Il padre Michele è impiegato dell’azienda elettrica Alta Italia e opera nella zona del Saluzzese, ma quando perde il lavoro, all’inizio degli anni Trenta, la famiglia si trasferisce a Torino, approdando poi in zona Vanchiglia, in via degli Artisti, poco fuori il centro storico della città. In famiglia, oltre alla mamma e al papà, ci sono due sorelle più anziane di Carlo (Maddalena e Vittorina) e uno zio paterno. La famiglia Carlevaris prende in gestione una drogheria, ma gli affari non vanno molto bene e l’attività deve essere chiusa. Il padre muore quando Carlo è ancora un ragazzino ed è la madre (che morirà nel dicembre 1984) a condurre la famiglia. Carlo frequenta le elementari nella scuola in via Buniva e poi l’avviamento professionale nell’edificio collocato tra corso San Maurizio e via Rossini.
La famiglia Carlevaris si poteva definire cattolica praticante, soprattutto la mamma; meno assiduo alla pratica religiosa sembra essere stato il padre, mentre lo zio non frequentava la parrocchia, anche se esprimeva un sentimento di rispetto per le istituzioni ecclesiastiche. Carlo partecipa alle attività dell’oratorio maschile della parrocchia di Santa Giulia, un ambiente che risulta fondamentale nelle sue scelte del periodo giovanile. Tra i preti presenti nella parrocchia, infatti, vi è don Alessandro Cantono, di origine biellese, che dalla fine dell’Ottocento, si è segnalato nel cattolicesimo italiano per la sua attività di giornalista e studioso di problemi economico-sociali, vicino alle posizioni della prima Democrazia cristiana di Murri e poi del Partito popolare di Sturzo. Sostenitore degli ideali democratici in funzione anticonservatrice e favorevole alla partecipazione sociale delle classi popolari, Cantono è notoriamente antifascista e, come ricorda Carlo Carlevaris, è “confinato politico” nella parrocchia di Santa Giulia, dove predica e insegna nella scuola privata. Don Cantono non soltanto invita Carlo a considerare la possibilità di diventare prete, ma nelle passeggiate pomeridiane lungo corso San Maurizio quel “prete democratico” trasmette al ragazzo da poco arrivato a Torino un’ispirazione cristiana e sociale che accompagnerà Carlo per tutta la vita.
Durante la prima classe dell’avviamento professionale, Carlo esprime l’intenzione di entrare in seminario alla madre che accoglie l’idea in modo riluttante: «la mamma aveva altro per la testa», ricorda Carlevaris, anche perché la famiglia non poteva permettersi di mantenerlo agli studi ed era necessario che il figlio iniziasse presto a lavorare. Don Cantono consiglia dunque Carlo di rivolgersi al seminario del Cottolengo e, alla fine del secondo anno di avviamento, Carlo ripropone alla madre la sua scelta di diventare prete. Di fronte alla richiesta di accompagnarlo al Cottolengo – racconta Carlo – «la mamma mi ha detto che non aveva tempo». Va quindi da solo (aveva dodici anni) alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, distante meno di mezz’ora di strada a piedi da casa sua. Nel parlatorio, incontra il rettore del seminario e – come ricorda anni dopo sorridendo – gli chiede: «è qui che si studia da prete e non costa niente?».
Entra dunque in seminario al Cottolengo, ma poi prosegue i suoi studi nel seminario minore diocesano, nel pieno della seconda guerra mondiale. È un anno a Giaveno (quinta ginnasio) e poi due anni a Chieri (prima e seconda liceo). La sua vestizione sacerdotale avviene il 5 settembre 1943, un mese e mezzo dopo la caduta del potere di Mussolini (25 luglio) e tre giorni prima dell’annuncio della firma dell’armistizio del governo Badoglio (8 settembre). Negli ultimi mesi di guerra, Carlo è a casa e la sua famiglia è colpita da una grave tragedia: sua sorella Maddalena è uccisa dai partigiani sulle montagne sopra Condove – racconta Carlo – «molto probabilmente per un equivoco, insomma no. Lei era fidanzata con un carabiniere».
E aggiunge: «comunque, questa è una parte veramente tristissima perché poi sono andato io a cercarla e son stato preso dai partigiani, ma queste son cose…, una parentesi molto brutta, e quindi è rimasta l’altra sorella soltanto in casa».
Finita la guerra e la seconda liceo, dal seminario del Cottolengo chiedono a Carlo di ritornare alla Piccola Casa della Divina Provvidenza per collaborare nell’assistenza dei seminaristi più giovani. Ricorda: «Io ho accettato un po’ malvolentieri perché mi ero trovato bene con i professori, mi piaceva anche studiare, mi avevano aiutato a entrare di più nella mentalità, e pensavo di laurearmi».
Nella congregazione del Cottolengo, frequenta il terzo anno di liceo e poi i quattro anni degli studi di teologia, seguendo però le lezioni nel seminario di via Venti Settembre, insieme ai seminaristi della diocesi. Non sempre riesce a frequentare le lezioni del corso di teologia e anche lo studio ne risente. Al Cottolengo, come ricorda, «facevo scuola, guardavo i ragazzi e comunque ho sempre dato gli esami senza troppa… con un impegno non tanto… non serio come forse bisognava, ma ero molto preso dal lavoro coi ragazzi lì al Cottolengo e facevo quel che potevo». In realtà, ha maturato da qualche tempo l’intenzione di non fermarsi al Cottolengo: chiede di terminare gli studi come seminarista della diocesi di Torino, recuperando gli esami che non ha sostenuto.
Carlo Carlevaris riceve l’ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1950, a 24 anni. Celebra la sua prima messa al Cottolengo, nell’infermeria dove sono ricoverate le suore malate. Poco prima ha conseguito l’abilitazione magistrale all’Istituto Berti e si è iscritto nell’autunno del 1949 alla Facoltà di magistero dell’Università di Torino, dove frequenta tre anni accademici, sostenendo alcuni esami. Dopo l’ordinazione, studia anche per un anno al convitto della Consolata, come era previsto per i nuovi preti torinesi, e poi nel giugno 1951 è assegnato come vice-curato alla parrocchia di San Giacomo a Beinasco, alla periferia meridionale di Torino.
Per tre anni rimane a Beinasco, in una parrocchia guidata da un prete molto anziano che «naturalmente aveva il suo modo di vedere le cose, e non era facile; aveva in casa una sorella e una persona di servizio, si mangiava male, sì… al freddo». In ogni caso, giovane prete, don Carlo si occupa dei ragazzi, li segue nelle attività della parrocchia e si interessa delle loro condizioni di vita. Molti lavorano nelle fabbriche della zona. Carlevaris attribuisce a quella prima esperienza l’origine della sua attenzione ai lavoratori delle fabbriche. A Beinasco, infatti, «c’era una vetreria che aveva dei ragazzi operai che avevano quattordici anni, quattordici, quindici anni […]. Ed io ero rimasto colpito dal fatto che dei ragazzi di quattordici anni lavorassero in una vetreria, come si lavorava allora nelle vetrerie e io ogni tanto avevo ficcato il naso […]. E così andavo ogni tanto a giocare al pallone, mangiavo di corsa e poi andavo davanti alla fabbrica dove c’erano questi ragazzi».
Entra per questa ragione in contatto con i cappellani del lavoro della diocesi di Torino, dove molto attivo è don Esterino Bosco che nel 1954 invita don Carlevaris a dedicarsi a tempo pieno all’assistenza religiosa agli operai. Carlo si trasferisce dunque nei locali di via Perrone, nel centro storico di Torino, dove abita in comunità con altri tre cappellani. Poco dopo, il Centro cappellani del lavoro, con la comunità, si trasferisce in via Vittorio Amedeo, nei pressi di Porta Susa. L’esperienza dei cappellani del lavoro si era sviluppa a Torino durante la seconda guerra mondiale, a partire dagli stabilimenti della Fiat, in particolare attraverso l’attività di religiosi salesiani e orionini (soprattutto con don Giuseppe Pollarolo, che partecipò attivamente alla Resistenza). All’inizio degli anni Cinquanta, oltre a una ventina di preti in prevalenza diocesani che stabilmente si occupano di visitare i lavoratori nelle fabbriche e nei cantieri, ve ne sono altrettanti chiamati saltuariamente a collaborare, soprattutto in occasione delle funzioni pasquali (con le iniziative denominate “Pasqua degli operai”).
Le questioni da risolvere per garantire una più ampia assistenza religiosa tra gli operai non mancano, sia nelle fabbriche, sia tra i cattolici. La presenza dei cappellani negli stabilimenti è possibile soltanto con l’autorizzazione delle direzioni aziendali che, in alcuni casi (come alla Fiat), assicurano un regolare compenso ai preti. La loro attività, poi, si concentra soprattutto nei grandi complessi industriali della città e dei comuni della cintura. Don Carlo, come gli altri cappellani, deve assistere tra i 5.000 e i 15.000 lavoratori, attraverso visite nei reparti svolte solitamente durante la breve pausa per il pranzo in fabbrica, portando con sé il barachin con il cibo, riuscendo così a scambiare qualche parola con gli operai.
I cappellani torinesi sono inseriti nell’organizzazione dell’Onarmo, l’Opera nazionale assistenza religiosa e morale agli operai, condotta da Roma da mons. Ferdinando Baldelli, a capo della potente Pontificia opera assistenza. Baldelli, con il suo attivismo realizzatore, ha stretto solidi contatti con gli ambienti conservatori del cattolicesimo italiano, con gli industriali e con lo stesso Vittorio Valletta. A Torino, contrariamente a quanto sollecitato ripetutamente da Baldelli, i cappellani del lavoro non intendono svolgere compiti di assistenza materiale verso i lavoratori, funzione affidata invece alle numerose Conferenze aziendali della San Vincenzo e alle assistenti sociali formate dalla Poa. Si concentrano sulle attività religiose di apostolato, generando crescente motivi di tensione con la direzione centrale dell’Onarmo, ma anche con la Fiat, a partire dalla gestione aziendale dei pellegrinaggi a Lourdes. Non si tratta soltanto di attriti legati alla responsabilità dell’organizzazione dei viaggi religiosi, ma di modi diversi di intendere la missione dei cappellani e di considerare la classe operaia. Proprio la situazione torinese, con la presenza di un forte movimento operaio guidato soprattutto dalle forze socialiste e comuniste, orienta il Centro torinese a tentare la difficile distinzione tra appartenenza politica e fede religiosa. I cappellani però non riescono a superare l’ambiguità di un ruolo sacerdotale percepito da molti operai come compromesso con le proprietà aziendali e con il potere democristiano.
Don Carlo, oltre alla Lancia e alla Michelin, è incaricato di assistere gli operai alla Fiat Grandi Motori. Dalla metà degli anni Cinquanta, durante l’estate, va in Francia, nella periferia di Parigi, a Petit-Colombes, per conoscere l’esperienza di quella “parrocchia comunità missionaria” dove alcuni preti hanno iniziato a lavorare in fabbrica. Tra le carte lasciate da don Carlo vi sono alcuni documenti che raccontano di questi suoi contatti, come quelli con don Primo Mazzolari e il suo quindicinale «Adesso», una delle poche voci del “cristianesimo inquieto” in Italia precedenti il Concilio vaticano II. Nel 1957, è nominato vice-assistente della Gioventù di Azione cattolica, delegato a seguire il Movimento lavoratori, incarico da cui è però costretto a dimettersi nel 1959 per l’intervento diretto della Fiat che considerava quel prete eccessivamente vicino alle posizioni dei sindacati. Nel 1962, Carlevaris deve anche lasciare l’assistenza ai lavoratori della Fiat, insieme a don Toni Revelli, anch’egli prete diocesano e cappellano del lavoro: durante gli scioperi dell’estate, infatti, hanno solidarizzato apertamente con le ragioni dei lavoratori, rompendo la linea di estrema cautela sulle questioni sociali solitamente seguita anche dalla Chiesa torinese. Fu aperta anche un’inchiesta del Sant’Uffizio, senza però alcun esito.
Il nuovo vescovo, Michele Pellegrino, giunto a Torino nel 1965, accetta la richiesta di Carlevaris di andare a lavorare in fabbrica continuando a rimanere prete: la possibilità che durante il Concilio si apre nuovamente per il lavoro manuale del clero è raccolta tra i primi in Italia proprio da Carlo che negli anni precedenti aveva incontrato più volte Sirio Politi, prete e artigiano nella darsena di Viareggio. Dopo alcune domande di assunzione, dal 1968 lavora alla Lamet, un’azienda metalmeccanica, dove rimane fino all’età della pensione, nel 1986. Essere “come gli operai” è il suo obiettivo, mosso da una profonda e combattuta ispirazione cristiana. Testimoniare il Vangelo attraverso la “scelta di classe” lo avvicina a centinaia di uomini e donne lontani dai luoghi tradizionali della presenza della Chiesa. Diventa un riferimento per giovani e seminaristi alla ricerca di un modo radicale di vivere il cristianesimo. Il suo impegno sindacale nella Cisl provoca ripetute tensioni con i datori di lavoro, ma anche con quella parte della Chiesa italiana che guarda con diffidenza questi preti, giudicati pericolosamente schierati con i partiti e i sindacati di sinistra. Diventa presenza ascoltata nel gruppo dei circa duecento sacerdoti al lavoro in Italia, che si attestano rapidamente su posizioni molto critiche verso la gerarchia ecclesiastica, alimentate anche dall’ondata di contestazione della fine degli anni Sessanta e dell’inizio degli anni Settanta.
Carlevaris è anche punto di contatto con la rete internazionale dei preti europei, avendo continuato a coltivare le relazioni intessute tra la Francia e il Belgio nei decenni precedenti. Attento a quanto si agita nel movimento dei lavoratori a livello internazionale, entra in stretto collegamento con il sindacato polacco Solidarność negli anni della protesta contro il regime comunista. Partecipa alla nascita della Gioc in Italia, negli anni Settanta, riprendendo la formula “vedere, giudicare, agire” che già aveva sperimentato con i giovani militanti cattolici quasi vent’anni prima. È presente accanto ad alcune giovani famiglie nella fondazione delle Equipes Notre Dame, gruppi di spiritualità e di revisione di vita cristiana nati in Francia e trapiantati in Italia alla fine degli anni Cinquanta.
Carlevaris collabora attivamente per preparare i materiali alla base della lettera pastorale di Pellegrino Camminare insieme del 1971, che suscita forti polemiche anche fuori Torino per l’appello alla libertà, alla giustizia e alla fraternità. Il fondo archivistico di Michele Pellegrino, presente nell’Archivio storico diocesano, conserva su questi aspetti notevoli documenti da integrare, come su altri aspetti, con quanto pubblicato sui settimanali diocesani «La voce del popolo» e «Il nostro tempo», attraverso cui è possibile considerare il contributo dato da Carlevaris, insieme agli altri preti e ai laici impegnati negli ambienti popolari, in questo passaggio cruciale della storia della Chiesa torinese. Quando Carlo va in pensione, viaggia a lungo, soprattutto in Sud America, Africa e India, per seguire i progetti di sviluppo promossi da Come Noi, l’associazione alla quale era stato invitato a partecipare per costruire iniziative di solidarietà basate sulla auto-promozione delle popolazioni locali.
Proprio per la pluralità di esperienze e di ambienti incrociati da Carlo Carlevaris nella sua lunga vita e per la sua originale riflessione sul cristianesimo nella società moderna è ancora da compiere una ricostruzione puntuale e documentata del suo percorso biografico. Per questa ricerca, aspettano ancora di essere analizzati in modo sistematico le carte della Cisl, del coordinamento dei preti operai in Italia e di quello internazionale, della Gioc e delle altre associazioni in cui Carlevaris si è a lungo impegnato, come pure i periodici su cui ha pubblicato articoli e interviste e i molti archivi ecclesiastici e privati che, a Torino e altrove, conservano tracce della sua azione, delle sue riflessioni e della sua spiritualità. Soltanto in questo modo sarà possibile ricostruire con esattezza il suo itinerario di attivista sindacale e di militante cristiano.
La morte di Carlo Carlevaris all’alba del 2 luglio 2018 nelle stanze del Cottolegno di Torino, dove la sua avventura sacerdotale era iniziata quasi settant’anni prima, chiude idealmente il cerchio di un’esistenza eccezionale nella sua unicità, prete e operaio sino alla fine.
Marta Margotti
Le citazioni presenti nel testo sono tratte dall’intervista a Carlo Carlevaris realizzata il 30 maggio 2007 da Davide Clari e Vito Vita, ora pubblicata nel sito della Fondazione Vera Nocentini di Torino: www.fondazioneveranocentini.it
Alcune letture sulla Chiesa di Torino e i preti operai in Italia
nella seconda metà del Novecento
La Chiesa di Torino nel Novecento
- Uomini di frontiera. Scelta di classe e trasformazioni della coscienza cristiana a Torino dal Concilio ad oggi, Cooperativa di cultura Lorenzo Milani, Torino 1984
- Chiesa e «mondo cattolico» nel post-Concilio: il caso torinese. Materiali per una ricerca, a cura di P. Armocida, G. Magliano, A. Salassa, Regione Piemonte-Cooperativa di cultura L. Milani, Torino 198
- B. Gariglio, Chiesa e società industriale: il caso di Torino, in Le chiese di Pio XII, a cura di A. Riccardi, Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 161-190
- E. Bianchi, La diocesi di Torino e l’episcopato di M. Pellegrino, in G. Alberigo et al., Chiese italiane e Concilio. Esperienze pastorali nella Chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, Marietti, Genova 1988, pp. 61-89
- M. Guasco, La libertà del Vangelo. Padre Pellegrino, in Dal modernismo al Vaticano II. Percorsi di una cultura religiosa, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 151-159
- P. Pellegrini, Tra aggiornamento e contestazione: la Chiesa torinese durante l’episcopato del card. Michele Pellegrino (1965-1977), tesi di laurea, rel. M. Guasco, Facoltà di scienze politiche, Università degli studi di Torino, a.a. 1991-1992
- M.E. Brusa Caccia, Un Padre e la sua città. Il cardinale Michele Pellegrino arcivescovo di Torino, 1965-1977, Elle Di Ci, Leumann 1996
- Atti del convegno su Michele Pellegrino a dieci anni dalla sua morte, in «Archivio Teologico Torinese», 1997, n. 1
- B. Gariglio, F. Traniello e P. Marangon, Chiesa e mondo cattolico, in Storia di Torino. IX: Gli anni della Repubblica, a cura di N. Tranfaglia, Einaudi, Torino 1999, pp. 321-375
- G. Caviglia, Il card. Anastasio Ballestrero memoria e presenza, Mimep-Docete, Pessano con Bornago 2000
- Una città e il suo vescovo. Torino negli anni dell’episcopato di Michele Pellegrino, a cura di F. Bolgiani, Il Mulino, Bologna 2003
- V. Vita, Chiesa e mondo operaio. Torino 1943-1948, Effatà, Cantalupa 2003
- C. Ghidelli, Come ciottolo di fiume. Anastasio card. Ballestrero OCD. Testimonianze di Marco card. Cè, Carlo M. card. Martini, mons. Lorenzo Chiarinelli, San Paolo, Cinisello B. 2004
- M. Margotti, La fabbrica dei cattolici. Chiesa, industria e organizzazioni operaie a Torino (1948-1965), Angolo Manzoni-Fondazione Vera Nocentini, Torino 2012
- M. Margotti, I fermenti di rinnovamento nella Torino preconciliare, in Cristiani inquieti tra fede e politica. La figura e le carte di Ettore De Giorgis, a cura di A. D’Arrigo, Seb27, Torino 2012, pp. 33-47
- M. Margotti, Una generazione alla prova. Cattolici nella contestazione universitaria a Torino, in Cattolici del Sessantotto. Protesta politica e rivolta religiosa nella contestazione degli anni Sessanta e Settanta, a cura di Ead., Studium, Roma 2019
- A. Piola, La recezione del Concilio a Torino: Pellegrino e Ballestrero, in Da Montini a Martini: il Vaticano II a Milano. I: Le figure, a cura di G. Routhier, L. Bressan e L. Vaccaro, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 157-181
- G. Caviglia e P. Alciati, Un’ ombra che non fa ombra. Intervista al segretario del card. Anastasio Ballestrero, OCD, Roma 2013
- S. Inaudi, Una comunità in ricerca: l’esperienza torinese del Vandalino, in La rivoluzione del Concilio. La contestazione cattolica negli anni Sessanta e Settanta, a cura di S. Inaudi e M. Margotti, Studium, Roma 2017, pp. 91-110
- Michele Pellegrino. Memoria del futuro. Atti delle Giornate di studio nel 30° anniversario della morte e nel 45° della lettera pastorale “Camminare insieme”, Bose, 8-9 ottobre 2016, a cura di Emanuele Borsotti, Qiqajon, Magnano 2017, con interventi di O. Aime, E. Bianchi, C. Mazzucco, C. Ossola, R. Repole, P. Siniscalco e F. Traniello
Per la storia dei preti operai in Italia
- P. Crespi, Prete operaio. Testimonianze di una scelta di vita, Ed. Lavoro, Roma 1985 (nel volume sono presenti le interviste ai torinesi Carlo Carlevaris e Gianni Fornero, rispettivamente a pp. 53-70 e 209-224)
- A. Famà, Storia dei preti operai in Italia. Secolarizzazione e clero, tesi di laurea, rel. M. Guasco, Facoltà di magistero, Università degli studi di Torino, a.a. 1993-1994
- M. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma 1997, pp. 253-296
- M. Margotti, Lavoro manuale e spiritualità. L’itinerario dei preti operai, Studium, Roma 2001
- A. Famà, Cenni sulla storia dei preti operai italiani. Tentativo di una geo-tipologia, «Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio», 2003, n. 3, pp. 73-87
- M. Sambruna, I preti operai in Italia, Intermedia, Orvieto 2015
- G. Vitale, L’anima in fabbrica. Storia, percorsi e riflessione dei preti operai emiliani e lombardi (1950-1980), Studium, Roma 2017
Tra gli scritti dei preti operai torinesi
- C. Carlevaris, Può nascere oggi la Chiesa nella classe operaia? Testo integrale della relazione […] al convegno di studio indetto dalle Acli di Torino il 21-10-1972 a Pianezza, Torino 1972
- T. Revelli, Chiesa ed evangelizzazione nella società urbana-industriale, Biennio esperti in pastorale catechistica, Torino 1972-1973
- Preti e operai. Itinerari di sacerdoti al lavoro, n. monografico di «Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio», 2003, n. 3
- Gianni Fornero. Vangelo & Lavoro, n. monografico di «Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio», 2010, n. 2
- Ho udito il grido del mio popolo. Libro di preghiera con i giovani popolari, lavoratori, della formazione professionale, a cura di G. Garbero e P. Mignani, Effatà, Cantalupa 2010
- S. Caretto, Lavano e rilavano i pensieri: avventura cristiana di un prete operaio, La Riflessione, Cagliari 2012
- A. Pomatto, Se cinquant’anni vi sembran pochi… Il mio Sessantotto, Gedi, s.i.l. 2019
- Carlo Demichelis. Uno di loro, n. monografico di «Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio», 2019, n. 1
- “La nostra vita è stata bella”. Carlo Carlevaris, n. monografico di «Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio», 2019, n. 3
- Preti operai a Torino, a cura dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro di Torino, Effatà, Cantalupa (in corso di stampa)
Interventi e testimonianze di e sui preti operai torinesi si trovano nelle annate de «Il Foglio. Mensile di cristiani torinesi», edito dal 1971, e su «Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio», che il Centro studi Bruno Longhi pubblica dal 1985