Editoriale


 

Se non ora quando?”1. C’è urgenza. Non si può più tergiversare. La perdita di tempo è colpevole. E può essere fatale. Vale per la situazione del pianeta, come abbiamo messo in luce dell’editoriale precedente. Ma vale anche per la chiesa, per le chiese.

Se non ora quando”? Segnala una lettura del tempo, degli indizi che è doveroso interpretare, da cui emergono obbligazioni alle quali non è possibile sottrarsi perché la posta in gioco è altissima. Primo Levi l’ha usato come titolo di un suo romanzo che prende spunto da una storia vera: una banda di ebrei russi e polacchi combatte la sua guerra partigiana contro gli invasori nazisti, percorrendo l’Europa in lungo e in largo. Le vicende narrate si estendono dal luglio 1943 all’agosto 1945. Era un momento terribile per l’Europa e per il mondo intero. Era doveroso, proprio in quei momenti, prendere posizione e combattere.

Se non ora quando”? Vale per la vita di ciascuno di noi. Quando ci troviamo di fronte a decisioni non più rimandabili. Ma anche nella quotidianità che può essere preda della ruotine, dell’inerzia. A questo proposito ritorna puntuale ogni mattina il risveglio con il salmo 94 che apre la preghiera ufficiale della chiesa: “ascoltate oggi la sua voce: «non indurite il cuore»”. Ogni giorno la chiesa sparsa per il mondo si sente rivolgere questa parola. Ad essa innanzitutto è rivolta e il compito primissimo è di ascoltarla. Per nutrirsi e così, solo così, poterla seminare.

Se non ora quando”? L’abbiamo messo in copertina sotto la foto di un libro di oltre seicento pagine intitolato “La riforma e le riforme della Chiesa”, pubblicato dall’editrice Queriniana. Raccoglie i contributi di un seminario di studi organizzato dalla rivista dei gesuiti La civiltà cattolica dal 28 settembre al 2 ottobre 2015, nella sede romana2. Trenta studiosi “fra ecclesiologi, storici, ecumenisti, canonisti ed esperti di pastorale provenienti da tredici paesi” – tutti i continenti, eccetto l’Oceania, erano rappresentati – hanno presentato le loro relazioni e dialogato in uno scambio “reale e schietto”. A cinquant’anni dalla chiusura del concilio si sono riuniti sul tema: «La riforma della Chiesa e le riforme nella Chiesa».” La prefazione di Carlos Maria Galli e Antonio Spadaro presenta in esergo un versetto dell’’Apocalisse: «Io faccio nuove tute le cose» (Ap 21,5), una parola che esprime in maniera limpida l’intenzionalità e l’orientamento del seminario. Da qui è nato questo libro la cui finalità è “costituire un insieme vario di diversi contributi teologici di altissimo livello per pensare le riforme della chiesa e nella chiesa”.

La presenza numerosa, ma non affollata, dei partecipanti con pluralità di competenze ha garantito una ricchezza interdisciplinare dinanzi a obiettivi davvero ambiziosi. Basti questa citazione: “pensare in dialogo la riforma e le riforme nella e della chiesa cattolica;…elaborare formulazioni ecclesiologiche in vista di formule canoniche e formulazioni giuridiche che concretizzino idee teologiche; analizzare macroriforme istituzionali nel segno della trasformazione missionaria della chiesa e delle attuali sfide della globalizzazione; ripensare la comunione sinodale della chiesa a partire dal popolo di Dio, dal collegio episcopale e dal vescovo di Roma; vedere le implicazioni della «conversione del papato» (EG) e del ruolo del cattolicesimo di fronte ai vari dialoghi ecumenici; sviluppare alcune linee del magistero di papa Francesco sulla riforma per aiutare a discernere i processi in atto e, soprattutto le forme di istituzionalizzazione futura”.

Si utilizza senza esitazioni la parola riforma, tanto carica di storia e di reticenze, e la si assume come punto di incrocio dei ragionamenti: “La riforma deve prestare molta attenzione al contesto culturale in cui è immersa la chiesa. Il concetto di riforma spinge la chiesa a conformarsi in modo dinamico con la forma Christi, con il rischio però di essere ridotta al suo mero carattere formale. Essa esige che si stabilisca un punto a quo dal quale prendere le mosse, ossia le sue deformazioni, ma non individua con chiarezza il termine ad quem ossia la direzione da seguire”.

La direzione del cammino viene individuata nel movimento contrario all’introversione, all’autoreferenzialità, alla concentrazione su se stessi. “La riforma implica l’audacia – parresia – di uscire, nonostante ciò comporti il pericolo di incorrere in incidenti e la perdita delle comodità, che induce a rinchiudersi…Oggi Francesco promuove una riforma a partire dal vangelo e dalle periferie della povertà. La riforma della chiesa è attuare la rivoluzione evangelica ed evangelizzatrice della tenerezza”

Possiamo dire che la finalità di questo importante seminario è di sostenere Francesco nella sua opera riformatrice che, come è evidente, sta incontrando opposizioni, perché quello che si propone ha la valenza di un nuovo inizio.

Se il Vaticano II fu, come diceva Karl Rahner, «l’inizio di un inizio», il pontificato di Francesco è un nuovo inizio di quell’avvio di riforma promosso dal Concilio. Con l’attuale papa la ricezione del concilio e la riforma della chiesa – non solo della curia – sono entrate in una nuova fase. La questione decisiva è l’ermeneutica della riforma” (C.M. Galli).

Già nell’immediato dopo concilio teologi di primo piano avevano aperto scenari che indicavano la direzione. Rahner aveva interpretato il Vaticano II come il passaggio a una chiesa effettivamente mondiale, mettendo in guardia contro il rischio di esportare un cristianesimo occidentalizzato3, mentre Y. Congar aveva sottolineato l’urgenza di “un nuovo equilibrio tra la comunione delle chiese di primo millennio e la chiesa universale del secondo”.

Che ci sia bisogno di un nuovo equilibrio anche in rapporto alle trasformazioni di quest’ultimo secolo appare con evidenza dal seguente confronto di dati materiali. Nel 1910 ii battezzasti cattolici erano così distribuiti: il 70% viveva al Nord (65% in Europa e 5% in Nord America) il 30 % al Sud (il 24% in America latina). Nel 2010 i cattolici che vivono al Nord erano il 32% (24% in Europa e 8% in Nord America). A quella data il 68% viveva nei continenti del Sud (39% in America latina, il 16% in Africa, il 12% in Asia l’1% in Oceania).

Soffia il vento del sud”, ancora nel 2012 scriveva il card. Kasper e davvero Francesco rappresenta l’arrivo del Sud nel cuore della chiesa. In uno scritto successivo, dopo l’elezione del nuovo vescovo di Roma aggiungeva: “Francesco è il primo papa che viene dall’emisfero del Sud o, come lui ha detto, dalla fine del mondo. L’incontro tra la ricezione conciliare del Sud con quella dell’Occidente ha provocato, come si verifica con gli spostamenti sotterranei di placche tettoniche, un terremoto. Alcune cose che erano state mal costruite sono crollate dalla sera alla mattina. Le fondamenta solide hanno resistito; ed è sopra queste fondamenta che si può intraprendere una nuova edificazione”.

Aveva ragione Congar quando nel lontano 1950 diceva: ”Nell’insieme, le iniziative e il rinnovamento provengono soprattutto dalla periferia, dalle frontiere della chiesa”. (citazioni dal contributo di C.M. Galli).

Davvero possiamo dire con convinzione: “Se non ora quando?” non solo per il rinnovamento della chiesa cattolica, ma per lo stato del pianeta. Per il quale una svolta decisa è vitale perché ancora ci possa essere un futuro per le generazioni che ci succederanno.

Ormai appare chiaro che una chiesa racchiusa e autoreferenziale è un non senso. La sua riforma consiste nel ripensare se stessa a partire dall’Evangelo. Questo è il debito che la chiesa ha verso il mondo, questo mondo di oggi. Sottolineando che la sua comunicazione potrà avvenire non tanto attraverso i modernissimi strumenti di reclamizzazione di un prodotto o con attivismo frenetico, ma per dirla con Dossetti, deve essere “frutto di un’esuberanza di essere”. Una forma di irradiazione dentro la vita e la storia umana, mediante relazioni concrete dove i volti tornano ad incontrarsi

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Nelle pagine che seguono troverete il frutto del nostro convegno annuale che aveva per titolo: “Cambia la figura della chiesa?”. Riportiamo l’intervento di Serena Noceti che ha dedicato a noi l’intera giornata, una delle tre teologhe presenti al seminario di cui sopra ho parlato. Seguono le testimonianze di vita che rappresentano il cammino di riforma che i preti operai hanno fatto nel loro percorso ministeriale. Sono stati tra noi anche i preti bergamaschi che vivono nella tenda e il loro racconto è narrato nei due scritti che riportiamo. Ricordiamo i novant’anni di don Carlo Carlevaris e il decimo anniversario della morte di Bruno Borghi, il primo prete operaio italiano. Altri due di noi, Piero e Domenico della diocesi di Brescia, sono volati via. Anche loro ci dicono una parola vissuta. Dall’incontro europeo delle rappresentanze dei PO è arrivato l’eco delle loro riflessioni.

Roberto Fiorini


1 E’ attribuito a Hillel il vecchio, un rabbino vissuto alcuni decenni prima di Gesù. E’ parte di un suo detto che completo suona così: “”Se io non sono per me, chi è per me? E, se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quando?”.

2 “Il seminario ha avuto un carattere non ufficiale come iniziativa di teologhe e teologhe – tre laici e tre laiche, undici religiasi e una reliosa, 11 presbiteri diocesani e un arcivescovo – organizzato dalla rivista La Civiltà Cattoliica”.

3 “Fatte alcune eccezioni relativamente piccole …il cristianesimo, in quanto merce occidentale, non è riuscito a imporsi nelle culture superiori dell’Oriente e nel mondo dell’Islam…Le cose stanno così: o la chiesa vede e riconosce le differenze essenziali delle altre culture in seno a cui deve diventare chiesa mondiale, e ne trae le necessarie conseguenze con ardire paolino, oppure rimane una chiesa occidentale tradendo così in fondo il senso che il Vaticano II ha avuto. (K. Rahner, Sollecitudine per la chiesa, Roma 1982, 356-7).

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