Narrazioni della parabola di Piero (2)


Un momento conviviale al convegno del 2006 a Bergamo

 

Piero è stato per me un maestro, un compagno di viaggio ed un amico.
Un maestro che ha indirizzato la mia vita e mi ha insegnato i fondamentali dell’esistenza cristiana soprattutto con il suo esempio. In quegli anni del dopo- Concilio che aveva seguito con passione, sotto la guida di Raniero La Valle ed il suo giornale “L’avvenire d’Italia”, insieme ad altri sacerdoti avevano cominciato a mettere in discussione l’impostazione ancora post-tridentina del Seminario ed a proporre una nuova formazione sacerdotale più aperta alle istanze del mondo moderno, così come auspicato dal rinnovamento scaturito dal Vaticano II. In quell’anno, 1969, era diventato educatore del nostro gruppo di seminaristi ed avevamo iniziato con lui un percorso che avrebbe lasciato in tutti noi, non ancora ventenni, una profonda caratterizzazione per gli anni successivi: l’attuazione di una liturgia più partecipata con momenti di riflessione personalizzata e di preghiera spontanea condivisa, la scoperta della Bibbia come libro da studiare e comprendere nelle sue implicazioni storiche ed esegetiche. Ha impostato con noi una vita comunitaria fondata sulla condivisione e la discussione, volendo superare in questo modo lo stereotipo del prete “alter Christus”, centrato su se stesso ed individualista che fino ad allora era prevalente. Inoltre ci ha avviati alla scoperta ed all’amore per i nostri monti e a quelli della Valle d’Aosta, suo e nostro spazio da conquistare. È stato lui che ci ha introdotti in quell’esperienza straordinaria che è stata, soprattutto in quegli anni, la Comunità ecumenica di Bose, in quei momenti iniziali composta solamente da cinque persone (Maritè, Enzo, Edoardo, Domenico e Daniel) uomini e donne, cattolici e protestanti, a sottolineare la pluralità dell’esperienza monacale moderna. La condivisione della vita, della meditazione, del confronto di idee, della liturgia ci ha spinti a voler vivere anche nel seminario questi ideali.

Inoltre, abbiamo affrontato il grande tema dell’approfondimento biblico incontrando, sempre a Bose, un grande biblista come Padre Keller, che ci introdusse all’importanza del collegamento della riflessione sul presente con il significato della scrittura contestualizzata nel suo tempo e ad una lettura che partiva dalla Bibbia e non dalla Dogmatica cattolica. Tutto ciò era stato sottolineato dalla Costituzione Conciliare “Dei Verbum”, punto di partenza della riflessione conciliare che Piero aveva approfondito in modo specifico.

Molto significativa per il futuro di Piero è stata l’esperienza lavorativa, vissuta insieme al sottoscritto e a don Carlo Bolchi presso la fabbrica Zeiler Packungen di Lenzburg nella Svizzera tedesca, per circa due mesi nell’estate del 1969.

Esperienza che ha aperto a tutti noi, ma particolarmente a Piero, il mondo del lavoro con le sue possibilità di testimonianza e le sue contraddizioni. Un mondo dove era preponderante la realtà lavorativa degli emigrati italiani e stranieri: si creò un particolare legame con il gruppo cittadino di spagnoli antifranchisti appartenenti alla Joc (Joventud Obrera Cristiana) con cui abbiamo condiviso, dopo infinite discussioni sulle problematiche del lavoro e dello sfruttamento, il pane e l’eucarestia celebrata attorno ad un semplice tavolo da cucina, con un comune pane ed il vino buono.

Altri punti importanti di quella permanenza sono stati l’incontro con il mondo protestante, prevalente in quel cantone svizzero, e l’inizio di un dialogo ecumenico basato sulle cose condivise, che uniscono, piuttosto che sulle tematiche teologiche, che quasi sempre, allora e forse anche oggi, portavano a distinguo e divisioni. È stato l’inizio di un cammino di intercomunione che ha portato Piero alla realizzazione di momenti concreti di condivisione con i protestanti, con la partecipazione alla cena ed alla liturgia protestante di un sacerdote cattolico. Credo sia stato uno dei primi esempi anticipatori di intercomunione.

Questa situazione di dialogo e confronto a 360 gradi ci ha accompagnato per tutto quell’anno che è stato sia per noi che per Piero fonte di maturazione personale: partecipazione alla vita comunitaria di Bose, studio dei documenti conciliari e della Bibbia, particolare attenzione al mondo lavorativo ed alle problematiche sociali. Particolarmente fecondo è stato l’incontro con il teatro di Dario Fo che abbiamo avuto la fortuna in quegli anni di poter/voler frequentare con le conseguenti discussioni: ricordo particolarmente il “Mistero Buffo” (visto a Novi Ligure nel 1970), “L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000; per questo è lui il padrone” e di seguito “Morte accidentale di un anarchico”.

È stato un anno pazzesco (formidabile si direbbe, parafrasando Capanna) che si concluse, per noi seminaristi, con la maturità liceale e per Piero con l’esperienza in Burundi, nell’Operazione Africa 70.

Dopo quell’anno la vita di Piero è cambiata: concluse l’esperienza da educatore in Seminario, in quanto tutto il progetto di nuovo seminario venne bocciato dal consiglio presbiterale, maturando, però, la sua scelta definitiva: fare l’operaio e vivere fino in fondo l’esperienza dei “prêtres ouvriers”, così come si era sviluppata in Francia con grande seguito. Su questo punto gli fu di grande aiuto e stimolo la lettura delle opere di Charles de Foucauld, René Voillaume e Paul Gauthier, presente al Concilio e operaio a Betlemme in Terra Santa, che Piero conobbe più tardi e di cui divenne amico e testimone.

Piero è stato per me un compagno di viaggio con cui condividere le scelte di vita, di lavoro ed ecclesiali. Fondamentale è stato il suo impegno nella campagna referendaria del 1974 per la libera scelta dei cristiani sul divorzio: già in questa occasione prese le distanze dall’establishment cattolico e venne richiamato dal vescovo dell’epoca. È stato un compagno di viaggio che ha messo a disposizione tutto il suo bagaglio di riflessione con il suo modo fermo e pacato di affrontare i problemi: le lotte operaie vissute in fabbrica (Arona) confermano la sua determinazione nella scelta operaia e nel suo vivere questa scelta nella sequela di Gesù di Nazareth.

Ha vissuto il suo essere sacerdote come condizione di parità tra uomo e donna: “Sono un uomo tra gli uomini”, affermava. Ed ha scoperto che bisogna lasciare più spazio ai laici: “Le comunità cristiane hanno più bisogno di Parola che di Sacramenti. Perciò, piuttosto che preoccuparsi di tappare i buchi degli orari delle messe, sarebbe più utile offrire occasioni di studio e riflessione biblica”. Quindi una visione del prete non clericale ed un modello di Chiesa non legata ad un presbiterato esclusivamente maschile e celibatario; inoltre, libera dal denaro e dal potere. Fine della casta sacerdotale e del clericalismo. Sogno di una Chiesa popolo di Dio, di una Chiesa povera, di una Chiesa plurale e di una Chiesa accogliente.

In questa ricerca di parità tra uomo e donna ha incontrato una donna: Luciana. Non si è tirato indietro, ma ha cercato di capire che la contraddizione tra amore di Dio ed amore per una donna è una costruzione tipicamente clericale e che nulla ha a che vedere con la vera scelta evangelica: “L’amore viene da Dio e ci unisce a Dio”, questo il principio fondante del nuovo modo di vivere del prete di oggi.

Notevole è stata anche la capacità di Piero di sviluppare scelte sempre sulla stessa linea: ciò è avvenuto quando la sua fabbrica (Arona) è fallita ed egli si è reso disponibile sia nel campo sociale, occupandosi dell’esperienza riguardante il recupero dei tossicodipendenti a Villa Fede con la Fondazione Adolescere, esperienza molto significativa e coinvolgente a livello emotivo e psicologico, sia riciclandosi come Lavoratore Socialmente Utile e reinventandosi come cuoco e factotum alla mensa della scuola a Broni. Non ha mai rifiutato il lavoro, qualsiasi tipo di lavoro, anche il più faticoso come quello a Torrazza Coste, nella fonderia di ottone dove lavorava alla “finitura”, ripulendo i pezzi fusi dalle “colate” e “materozze” con una segatrice a nastro. Ciò gli ha procurato problemi sia all’udito (a poco servivano le cuffie o i tappi) sia alla vista (con la continua protezione dalle schegge di metallo mediante occhiali appositi) sia alla respirazione a causa della polvere sollevata dalla lama, sia alle articolazioni della mano destra.

Queste fatiche quotidiane non gli hanno impedito di partecipare, il sabato e la domenica, alla vita parrocchiale di Ponte Nizza, dove ha vissuto un’intensa esperienza ecclesiale insieme al suo amico prete (don Remotti), parroco del paese ed all’amico prete operaio (Erasmo Camera), nel vicino paese di Pizzocorno. È stato anche attento e partecipe alle varie iniziative socio-culturali del momento: ricordo la sua partecipazione al gruppo di appoggio alla Rivoluzione Sandinista del Nicaragua, alle lotte di liberazione nell’America Latina, con particolare attenzione ai vari rappresentanti della teologia della liberazione ed alla lotta del popolo Palestinese.

Per tutto questo periodo sono stati fondamentali gli incontri/confronti con tutti gli altri preti operai dell’alta Italia che si riunivano non solo negli annuali convegni, ma anche periodicamente. Erano linfa vitale per la sua vita lavorativa e spirituale.

Infine Piero è stato colui che, nei miei confronti, ha accettato il passaggio dal suo ruolo di maestro a quello di amico. E su questo rapporto abbiamo costruito gli ultimi 30 anni, condividendo i valori che ci avevano accomunato: la ricerca biblica all’interno della Comunità del Carmine con la collaborazione e l’amicizia di Giuseppe Barbaglio, la revisione della liturgia nella piena libertà d’espressione possibile, la condivisione dei problemi socioculturali portati avanti da “Noi siamo Chiesa”, dalle Comunità di Base, dai movimenti per la Pace e l’integrazione religiosa. Ricordo una serie d’incontri tenutisi per un anno a Torino dall’amico Franco Barbero, sulle tematiche teologiche del dialogo interreligioso e sulle tematiche etiche collegate all’omofobia e LGBT+.

Ha ritenuto fondamentale quest’aspetto del dialogo interreligioso fondandosi sulla riflessione di Hans Küng: “Non vi può essere pace tra le nazioni senza la pace tra le religioni; non vi può essere pace tra le religioni senza il dialogo tra le religioni” ed è stato uno dei promotori di un analogo gruppo di dialogo e confronto anche in Voghera, così come ha contribuito, con altri, alla nascita dell’Associazione “Insieme”, per favorire l’integrazione in città degli extracomunitari che vi approdavano. Convinto di questa scelta, l’ha realizzata anche personalmente scegliendo di diventare padre, adottando un giovane tunisino: Nassim Elkordi. È stato l’amico che tra le tante esplorazioni in montagna mi ha guidato nella sfida al Castore, cima del Monte Rosa che aveva già scalato con i nipoti, anche se poi siamo stati respinti dal forte vento sul costone finale, dopo il Colle di Felik. E ci ha accompagnato fin verso la fine della sua vita sul suo Monte Boglia, sopra Brè, o sullo splendido Monte Generoso da dove riusciva a scorgere il Finsteraarhorn, citato da Eberard Bethge nelle lettere dal carcere di Dietrich Bonhoeffer.

Altra sua preoccupazione è stato il problema etico del fine vita, sollecitato

dall’esperienza personale della vicenda della sorella Maria Grazia, colpita da arresto cardiaco a 53 anni e tenuta in vita in stato vegetativo per tre anni e mezzo. Quando la rivista “Micromega” ha pubblicato l’adesione di Piero all’appello “Per la libertà sul fine vita”, insieme ad altri 40 preti “dissidenti” subito ripresi addirittura dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Piero fu richiamato dal vescovo di turno. Nell’occasione non solo ha difeso la sua scelta, ma esprimendo pubblicamente la sua solidarietà sul caso di Eluana Englaro, ha ribadito il suo rifiuto, anche nel suo testamento biologico di ogni accanimento terapeutico ed in particolare dell’alimentazione ed idratazione forzate.

Infine non può mancare una considerazione su come Piero sia stato una persona attenta ai bisogni degli altri, in particolare delle persone anziane che visitava periodicamente con comprensione e grande disponibilità e poi su come abbia affrontato la sua malattia nelle varie fasi in cui si è evoluta: mai un lamento fuori luogo e sempre una grande sopportazione. A volte, e, più spesso negli ultimi mesi, si poneva la domanda sul significato del dolore e di una vita da allettato, succube della sofferenza e dell’indispensabile aiuto degli altri. Talvolta chiedeva alle persone che venivano a trovarlo, di pregare perché riuscisse a conservare la fede, segno di un disagio e riproposizione di una speranza. Io credo che Piero, come Paolo (2 Tm 4, 7), abbia conservato la fede ma certamente ha dovuto lottare e combattere tanto per raggiungere questo obiettivo.

Piero è stato tutto questo e ancor più… ed oggi ci manca la sua visione anticipatrice su tantissimi aspetti della vita. Se si volesse riassumere oggi quello che è stato Piero per noi credo che dovremmo sottolineare la sua totale libertà che nasce dal suo essere stato libero interiormente di fronte al mondo. Una libertà non frutto di un dono ma conquistata nella lotta quotidiana. Mai come per Piero sono valide le parole di Bonhoeffer nella poesia “Stazioni sulla via della Libertà”: “Libertà, ti cercammo a lungo nella disciplina, nell’azione, nel dolore. Morendo, te riconosciamo ora nel volto di Dio”.

Osvaldo Galli, quando ha incontrato Piero, era già funzionario della Fiom Cgil. Nel suo libro, “Nonostante tutto”, ha inserito un racconto che narra proprio di “don Piero” e che inizia così: “Quando Piero sorride, i suoi occhi parlano più della sua bocca e, nonostante i grandi occhiali neri, il viso si accende di una luce serena e al contempo severa. Quella severità l’ha maturata più in fonderia che in seminario”.

Gianni BAZZINI


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