Narrazioni della parabola di Piero (17)


Nel pomeriggio del 30 ottobre, almeno 200 persone si sono riunite nel salone della Fondazione Adolescere di Voghera per ricordare Piero Montecucco in un clima dignitoso, profondo, sereno, a momenti anche commosso. Di seguito i 4 punti con cui anch’io ho provato a fare memoria di Piero.

UNO
Per almeno 15 anni io sono stato, letteralmente!, un suo compagno di viaggio: 3 o 4 volte all’anno noi preti operai lombardi ci siamo regolarmente incontrati da Mario Signorelli all’eremo di Argon. Piero arrivava con il treno da Voghera a Milano-Lambrate e io lo caricavo in macchina alla stazione ferroviaria. Si faceva poi assieme il tragitto fino all’eremo, di solito in compagnia di Giorgio e Sandro: era una bella occasione di scambio informale tra noi. E Piero, sempre pacato, determinato e profondo. Soprattutto pacato, mite: due aggettivi che tutti condividiamo, a proposito di Piero; il quale comunque non rinunciava ad esprimere la propria indignazione quand’era il caso (e spesso, purtroppo, era il caso…), semplicemente tendendo un po’ i muscoli del volto e alzando di poco il tono di voce.

DUE
Sulla nostra rivista PRETIOPERAI sono pubblicati circa 20 scritti di Piero, che riproducono parte dei suoi interventi ai nostri incontri regionali o nazionali (basta aprire su internet la pagina pretioperai.it e scrivere Montecucco nel riquadro Search in alto a destra).
Uno degli interventi importanti di Piero è stato quello che ha preparato insieme a me per il convegno nazionale dei preti operai tenuto a Salsomaggiore nel 1992: era l’anno del 5° centenario della cosiddetta scoperta dell’America; la parola evangelizzazione ricorreva nel linguaggio del mondo cattolico; noi PO italiani ci siamo incontrati a Salsomaggiore su un titolo un po’ provocatorio: “Dai diamanti non nasce niente… Nella condizione operaia: vangelo o evangelizzazione?”. La prima relazione a quel convegno l’abbiamo appunto preparata insieme, Piero ed io, per descrivere il degradare della condizione operaia nelle grandi fabbriche come nelle piccole, ciascuno di noi due raccontando la propria esperienza diretta. Piero concludeva così la sua parte sulle condizioni di lavoro:

  1. La fonderia che ho descritto è una piccola realtà, che rappresenta però una grande massa di operai e operaie che oggi lavorano e vivono in condizioni simili, se non peggiori. Sono circa 7 milioni i lavoratori delle aziende con meno di 16 addetti. Ma anche tra le aziende con più di 16 addetti sono molto numerose quelle che non hanno la presenza del sindacato; o nelle quali comunque i lavoratori non sono sufficientemente tutelati.
  2. È una realtà negata da tutti:
    • dagli stessi operai che sono costretti a subirla, molti dei quali provandone vergogna
    • dalla cultura piccolo borghese diffusa dai mass media: è considerata una realtà “normale”, anzi quasi un privilegio (l’operaio della grande fabbrica in genere è considerato un “garantito”; l’operaio della piccola azienda è ritenuto fortunato perché lavora in un ambiente…”familiare”!)
    • dalla Chiesa ufficiale, che nei suoi documenti più autorevoli dimostra di non conoscere questa realtà (dall’enciclica “Centesimus annus”, n.41: “Nella società occidentale è stato superato lo sfruttamento, almeno nelle forme analizzate e descritte da Carlo Marx”).

     

  3. Spesso mi pongo la domanda sul significato della mia presenza lì. Innanzitutto questo mi si pone come un dato: io sono lì e non posso essere che lì. Il mio essere preteoperaio lo sento e lo vivo essenzialmente come “condivisione della condizione operaia”. E questo oggi mi pone qualche problema.
    • In altre situazioni non condividevo solo la condizione materiale, ma gli ideali, le lotte, la rabbia, i dibattiti, le proposte… Qui tutto questo non c’è.
    • E inoltre non mi sento neanche di condividere l’orario di lavoro prolungato (io lavoro non più di 40 ore settimanali), né il cottimo, né il servilismo… In ogni caso oggi il mio condividere la condizione operaia lo vivo come testimonianza in favore della dignità della persona umana, contro lo sfruttamento e l’alienazione del lavoro, contro quella che alcuni giustamente chiamano la “schiavitù industriale”

     

Insieme poi abbiamo elencato le linee di tendenza comuni sia alle piccole che alle grandi fabbriche. Così: Le due situazioni “campione” che abbiamo analizzato danno un minimo di quadro descrittivo della condizione operaia oggi. In poche righe vorremmo tentare di allargare e approfondire lo sguardo, chiedendoci brevemente:

  • ma dove ci vorrebbero portare i detentori del potere economico?
  • ci resta qualche possibilità di reagire, a partire dal nostro posto di lavoro?

Le linee di tendenza globali che emergono in tutti i paesi a sviluppo capitalistico appaiono ormai chiare anche in Italia; si potrebbero riassumere nelle seguenti tre:

  • la giapponesizzazione della produzione (ma a questo punto si potrebbe parlare anche di “messicanizzazione”);
  • e perciò l’eliminazione di qualunque reale opposizione;
  • e perciò un cambio istituzionale in direzione autoritaria.

Se ci riferiamo in particolare alle vicende italiane, appare chiarissimo che nella società sta avvenendo quello che ormai nelle fabbriche è già avvenuto (o – nei casi migliori – si sta compiendo): affermazione esattamente speculare a quell’altra, che faceva parte della memoria storica della classe operaia: “libertà è là fin dove è arrivata la classe operaia con le sue lotte”. Infatti, come in fabbrica dirigenti e capi hanno ripreso in mano saldamente il potere, così sta avvenendo nelle istituzioni, dalla più alta carica dello stato in giù. E come in fabbrica è stata sfasciata l’organizzazione dei lavoratori, alla quale rimane solo lo spazio per cogestire le scelte determinate dalla controparte, così nella società è necessario frantumare qualunque opposizione organizzata; e ai partiti cosiddetti di opposizione non rimane altro spazio che quello del dissenso verbale, purché nei fatti ci sia un consenso sostanziale alle scelte predeterminate nelle reali sedi del potere, quelle economiche. Da allora sono passati 29 anni. Oggi si sta compiendo un percorso che già allora con Piero avevamo descritto.

TRE
L’ultimo intervento di Piero pubblicato sulla nostra rivista è di 3 anni fa. Nel nostro ormai annuale convegno Piero fa un suo intervento (bello! si può leggere qui), al termine del quale sembra tirare di fatto le conclusioni di quanto già vedeva 29 anni prima: Non è certo un bel momento di speranza. Occorrerebbe un movimento forte di ribellione delle coscienze, perché “la disperata speranza rifiorisca” (Thomas Sankara) e ogni essere umano riscopra l’umano che Dio ha messo nel suo cuore. A conclusione di una serie di splendide citazioni o riferimenti che dimostrano quanto largo e profondo pensava, Piero cita Sankara, il leader del processo di liberazione in Burkina Faso (1983) – ucciso nel 1987 dal suo più vicino compagno di lotta, Blaise Compaoré. E conclude la frase con la ripetizione della parola umano: «l’umano che Dio ha messo nel cuore di ogni essere umano».

QUATTRO
È proprio questa insistenza che mi ha all’improvviso suscitato il richiamo a un versetto profetico meraviglioso:
Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare con tenerezza e camminare umilmente con il tuo Dio.

Ecco, possiamo davvero dire che Piero ha… imparato Michea 6,8 !

Luigi CONSONNI

 


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