Parole di Piero: orizzonti (5)
Esodo significa anche lasciarsi guidare dalla storia.
La presenza nelle nostre città, e ormai anche nei paesi, di persone provenienti da ogni parte del mondo, di ogni popolo, razza e religione, ci fa sperimentare il pluralismo religioso.
“Una nuova caratteristica dominante delle società umane attuali è quella della loro pluralità, culturale e religiosa. È un nuovo segno dei tempi, che pone fine a tutta un’epoca dell’umanità in cui i popoli concepivano la realtà unicamente sulla base dei propri particolari valori, immaginati come unici, assoluti e universali”.
(Commissione Teologica Internazionale EATWOT, su Adista 2/2011 p. 3)
Qualche anno fa un amico parroco mi raccontò di aver ricevuto un richiamo dal vescovo perché una persona aveva scritto alla Curia Vaticana lamentando la concessione di un locale della parrocchia alla comunità musulmana per la preghiera.
Poiché il prete non intendeva interrompere quel tipo di ospitalità, mi chiese come poteva sostenere la sua posizione. Io mi ricordai della “Charta oecumenica” del 22 aprile 2001, un documento di grande apertura, sottoscritto dalle Chiese ortodosse e protestanti e dal consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa. Un documento che sostiene e promuove l’ecumenismo tra tutte le chiese cristiane, ma che esprime grandi aperture anche verso l’Islam e tutte le altre religioni e visioni del mondo. Presentando questo documento al vescovo, tutto si mise a tacere e quel parroco continua ancora oggi ad ospitare per la preghiera gli islamici e, da qualche tempo, anche la comunità Sick.
A Voghera gli stranieri sono arrivati 20 anni fa e sono aumentati progressivamente fino agli attuali 4.100 residenti su una popolazione di circa 40 mila abitanti. Dal punto di vista sociale sono sempre l’anello debole, perché fanno i lavori più disagiati, con contratti a termine, per cui facilmente rimangono senza lavoro, col rischio di cadere nell’irregolarità, e anche le condizioni di vita delle loro famiglie sono spesso assai precarie.
Nel mio ultimo decennio lavorativo ho avuto numerosi compagni di lavoro provenienti dal Senegal e dal Marocco. Con alcuni di loro ho stretto legami di amicizia che durano ancora oggi. In città è sorta l’Associazione “Insieme” che da vent’anni si adopera per l’accoglienza e l’accompagnamento, e per sensibilizzare la cittadinanza ad una convivenza positiva con gli immigrati.
Dopo l’11 settembre 2001 ha avuto inizio anche un confronto di carattere religioso. Si è cominciato a celebrare la conclusione del Ramadan con un incontro fraterno tra cristiani e musulmani. Da circa un anno gli incontri sono diventati più frequenti e si è ampliata la partecipazione, essendosi uniti, insieme a cattolici e islamici anche i buddisti, i bahà’ì, gli ortodossi e i sick.
Gli incontri sono molto semplici, caratterizzati da una grande libertà, dove si cerca di approfondire la reciproca conoscenza e la comunicazione delle proprie esperienze umane e religiose. Pensiamo sia fondamentale il rapporto umano e la fiducia reciproca. Per questo si dà spazio anche a momenti di convivialità.
Siamo coscienti che il retaggio storico di conflitti religiosi, i pregiudizi, la presunzione di superiorità, non si cancellano con un colpo di spugna.
Ma è importante gettare semi di dialogo e di comunione nella società e nella chiesa di oggi, dove sempre più si stanno erigendo muri di incomprensione e di ostilità.
Il cammino da compiere per ciascun cristiano e per la Chiesa nel suo complesso è assai arduo.
Non basta superare l’atteggiamento esclusivo del “Fuori della chiesa non c’è salvezza” e quello ambiguo della “fede implicita”, atteggiamenti che non sono ancora per niente superati nella nostra Chiesa. Dobbiamo anche riconoscere che un sentimento inconscio di superiorità permane anche in molti che hanno fatto un grande cammino verso il riconoscimento della pluralità religiosa.
Forse non giudichiamo più gli altri partendo dalle nostre verità di fede, ma li giudichiamo in base al nostro cammino storico, perché noi abbiamo conquistato la laicità, abbiamo superato il formalismo nella pratica religiosa… Ma nel momento in cui ci si riconosce reciprocamente come pellegrini in cammino per vie diverse verso il Mistero che ci attende, ogni sentimento di superiorità si dilegua. E si comprende anche il significato che ha il Ramadan per i musulmani e il turbante per i Sick.
Secondo Josè Maria Vigil,
“il dialogo interreligioso è un bel compito che ci troviamo dinanzi, una magnifica opportunità che non potevamo immaginare anche solo alcuni anni fa, un’occasione per rifare e riformulare tutto il nostro patrimonio simbolico cristiano tradizionale da una nuova prospettiva. Per ora il dialogo dovrà essere pratico più che teorico. Non è possibile risolvere di colpo, astrattamente, le questioni dogmatiche. È importante cominciare dall’inizio, dal centro, dalla vita a cui Dio tutti chiama, dalla “vita in abbondanza” (Gv. 10, 10) di cui tutti abbiamo bisogno. È quella che chiamiamo “religione universale” che è ricerca di verità, di giustizia, di pace, di amore.
(J. M. Vigil, Teologia del pluralismo religioso, Borla, p. 180).
Conta più ciò che dà un senso alla vita di tutto il complesso di dottrine e di riti. Conta più la spiritualità della dogmatica. E ci si accorge che è molto più quello che ci unisce di quello che ci divide. E ciò che ci differenzia non è da buttare, perché tutti abbiamo da imparare dagli altri. Come diceva il vescovo Tessier ai musulmani: “Io ho bisogno della vostra fede per vivere la mia”.
Piero Montecucco
Articolo pubblicato in PRETIOPERAI n. 91 del 2011

Al convegno di Bergamo del 2010