Editoriale
Questo quaderno nasce dal Convegno Nazionale dei preti operai tenuto a Salsomaggiore nella primavera del ‘95. Vi compaiono, oltre che le relazioni, anche quegli interventi personali i cui testi scritti sono pervenuti in redazione.
Il titolo scelto – “Beato colui che resiste”, ovvero la beatitudine secondo la reinterpretazione di David M. Turoldo – mette in luce vari elementi:
Quanto alla resistenza
• evoca la memoria viva di un passato – la lotta di liberazione fino alla conclusione della guerra mondiale nel 1945 – in un momento nel quale forze politiche e culturali pretendono di seppellire per sempre perfino il ricordo delle ragioni che hanno portato all’insurrezione e all’organizzazione della resistenza;
• fa da eco alla coppia di parole – resistenza e resa – utilizzate da Bonhoeffer per rappresentare i poli di una tensione da lui vissuta nella lotta teologica e politica contro il nazismo; una tensione che ritroviamo anche nella nostra vita impegnata nell’impatto duro con la realtà concreta che ci circonda;
• mette in evidenza la scelta della nostra esistenza di preti operai che persevera “nella buona e nella cattiva sorte”, convinti che condividere le condizioni materiali di vita e di destino di chi lavora, o di chi è stato privato di questo diritto, rappresenti un importante radicamento per comprendere e vivere il Vangelo delle Beatitudini;
• indica una ripresa creativa: non solo il “dàglie e ridàglie”, per dirla alla romana, ma un re-esistere, ri-fiorire, re-inventare, ri-nascere, sino a comprendere anche la “resa onorevole”, per citare pure questa possibilità ventilata da uno degli interventi1. Questa ampiezza di significati consente una lettura del resistere riscattata da una possibile connotazione negativa, quasi equivalesse a quel “tener duro” che sconfìna nella cocciutaggine dura e invincibile. Per noi rappresenta la riproposizione della nostra esistenza concreta anche di fronte a chi la nega nel suo valore;
• si può intendere anche come ri-svegliare in un tempo in cui la videocrazia è in grado di indurre un poderoso effetto soporifero omologante, sino alla grande ipnosi. Dice Eraclito: “coloro che sono svegli hanno un mondo comune”. Resistere al sonno della ragione – ma anche della fede2 – è la condizione per tutto il resto;
• ha un’ascendenza antica. Nella letteratura biblica si trovano esortazioni tipo “resistete al male”; “resistete forti nella fede”; “perseverate nella pazienza”; “voi che avete perseverato con me… riceverete…”. La determinatezza nel resistere è una qualità non solo apprezzata, ma essenziale, per chi “ha messo mano all’aratro”.
Quanto alla beatitudine
La felicitazione compresa nella espressione “Beati”3 si riferisce a situazioni paradossali, umanamente non desiderabili nè gratificanti. Le beatitudini hanno qualcosa di folle che resiste alla razionalizzazione ed alla normalizzazione. Sembra che l’unica uscita di sicurezza per sfuggire al paradosso da esse espresso, per poter rendere sopportabile ed innocua la loro proclamazione, sia quella di “spiritualizzarle” sottraendo ad esse la concretezza delle situazioni umane. Secondo questa spiritualizzazione diventa irrilevante che uno “abiti nei palazzi dei re” o “sia rivestito di peli di cammello” per citare un riferimento che il Vangelo mette sulle labbra di Gesù a proposito di Giovanni Battista. Le beatitudini tutte confinate nel religioso sono destinate ad affondare nei meandri dell’intimismo perdendo la forza dirompente che deriva loro dal contrasto istituito dall’accostamento fra la felicitazione – Beati! – e la debolezza dell’altro termine – i poveri, i perseguitati per la giustizia ecc. – e smarrendo il necessario radicamento nelle situazioni umane reali.
“Beato colui che resiste” va assunto nell’oggi e nelle condizioni storico-politiche nelle quali la vita deve giocarsi responsabilmente…
Non c’è bisogno neppure di dichiarare perché è beato colui che resiste. È sufficiente così: il motivo e la forza se lo porta già dentro.
Esperienze e testimonianze
Il sottotitolo dice riferimento alla duplice valenza che assume l’impegno di esistenze compromesse come quelle dei preti operai:
“Testimonianze di resistenza evangelica”
“Esperienze di resistenza politica”.
Queste sollecitazioni hanno concorso a trasformare il convegno in un incontro nel quale è emersa forte la necessità di comunicare tra persone coinvolte su vari fronti, Forse il bisogno di comunicazione è un segnale dell’atmosfera pesante che si respira a livello socio-politico ed ecclesiale. Gli spazi di agibilità per una comunicazione libera, significativa ed efficace risultano contratti, mentre si afferma la consapevolezza, da parte dei singoli, del bisogno di confronti franchi e sensati, onesti e produttivi. Una trama di relazioni su cui contare in vista di una complicità resistenziale.
Più che il tema del convegno, dunque, è risultato determinante lo scambio tra persone radicate in terreni diversi, sia per scelte personali che per le condizioni imposte dalla forza delle cose. Un convegno che è stato dunque un incontro, con scambi liberi, nell’ambito del quale è stata posta la richiesta di ritrovarsi con maggiore frequenza.
Un saluto ad Erasmo
Il quaderno riporta l’estremo commiato a don Erasmo, prete operaio dell’oltrepò pavese, di una donna di Pizzocorno, dove lui era parroco prima e dopo la scelta del lavoro, e di Piero Montecucco, amico e PO della stessa diocesi.
Vi è pure una testimonianza dello stesso Erasmo, l’ultima rilasciata per iscritto in uno degli incontri periodici con i pretioperai lombardi. Pochi mesi dopo sarebbe intervenuto di nuovo per comunicarci di essere colpito da cancro ai polmoni e al cervello.
Chiude il numero una lunga lettera-saggio, inviata alla Redazione da Roberto Berton, col titolo provocatorio “contro i guardoni”: è possibile avere uno sguardo e una parola, capaci di rispettare il segreto dei morti e la unicità dei vivi?
LA REDAZIONE
1. Bonhoeffer parla di resa in riferimento a Giobbe che ha resistito “digrignando i denti” davanti alla “resa falsa, prematura e pia dei suoi amici”; ne parla inoltre mettendo in tensione la resistenza folle di don Chisciotte e l’adattamento arrendevole e furbacchione di Sancho Panza alla realtà: “Mi sono chiesto tante volte dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l’altrettanto necessaria resa davanti al ‘destino’. Don Chisciotte è il simbolo della resistenza portata avanti fino al non senso, anzi alla follia… la resistenza alla fine perde il suo significato reale e si dissolve in una sfera teorico-fantastica… Sancho Panza è il rappresentante di quanti si adattano, paghi e con furbizia, a ciò che è dato… Dobbiamo affrontare decisamente il ‘destino‘… e sottometterci ad esso al momento opportuno. Possiamo parlare di ‘guida‘ solo al di là di questo duplice processo; Dio non si incontra solo nel tu, ma si ‘maschera’ anche nell’esso, ed il mio problema in sostanza è come da questo ‘esso‘ (‘destino‘) nasca effettivamente la ‘guida‘. I limiti tra resistenza e resa non si possono determinare dunque sul piano dei princìpi; l’una e l’altra devono essere presenti e assunte con decisione. La fede esige questo agire mobile e vivo. Solo cosi possiamo affrontare e rendere feconda la situazione che di volta in volta si presenta” (Resistenza e Resa, Cinisello Balsamo 1988, pp. 262. 289).
2.“Sentinella quanto resta della notte?” “Non avete saputo vegliare una sola ora con me”.
3. Barbaglio, Le beatitudini evangeliche: provocazione per il nostro oggi in Pretioperai, 8 (1988) p. 23: “Beati: siamo di fronte a un genere espressivo, detto appunto della beatitudine o, grecamente, del macarismo, che dice la volontà di chi parla di congratularsi e felicitarsi con i suoi interlocutori, cioè di partecipare alla loro gioia”.