Presentazione
Golias, rivista francese di cattolici teneri e graffianti, nel 1991 dedica un quaderno ai pretioperai francesi: Prêtres–ouvriers Prêtres oubliés? (Pretioperai preti dimenticati?) è il titolo di copertina.
Nel 1994 un’altra rivista francese, Témoignage Chrétien, consacra un numero monografico a questa strana razza di preti, certamente non appartenenti ad una specie protetta. Si legge in grande “ C’erano una volta… i PO”. Più sotto, sempre in copertina: “Quando Roma condanna: e oggi?” E per chiudere la pagina, in sovrimpressione all’immagine di due uomini che si accendono la sigaretta, “Pretioperai di oggi e di domani”.
In questi titoli sono un po’ anticipati i contenuti di questo numero della nostra rivista. È un piccolo dossier che raccoglie la storia dei PO europei. I gruppi nazionali hanno inviato il proprio contributo con una scheda descrittiva. Perché un numero dedicato ai PO europei?
Intanto vi sono degli anniversari che sono degni di essere ricordati perché segnano le tappe di una storia ancora viva e ancora palpitante.
È passato più di mezzo secolo da quando i primi preti sono entrati in fabbrica. Prima del loro invio ufficiale nel 1944 a condividere la vita di lavoro, ad opera e sotto la responsabilità del Card. Suhard, arcivescovo di Parigi, c’erano stati precedenti significativi. Nel 1941 P. Loew, domenicano, va a lavorare come scaricatore di porto sulle banchine di Marsiglia. Nello stesso anno 25 preti sono clandestinamente inviati confusi tra gli 800.000 francesi deportati in Germania nei campi di lavoro.
Sono forme di contatto diretto dalle quali viene alla luce l’estraneità abissale tra Chiesa e mondo operaio, mentre il cristianesimo presenta i caratteri della chiusura difensiva e del ripiegamento su se stesso.
Cronaca dei preti-operai 1942-1959, Torino 1964, pp. 22-23 – «Il sacrificio di quei sacerdoti lavoratori volontari, suscita a malapena un po’ di stupore. Le loro parole sulla vita futura sono considerate come ‘trucchi da prete per gabbare la gente’ un po’ come se un agente di assicurazione parlasse loro d’incendio (…) “Rientrando alla sera sfinito – dice padre Dillard – ero ossessionato da quel problema allucinante. Come fare? Che cosa dire loro? Avevo la sensazione di essere loro estraneo, di appartenere ad un’altra razza. Il latino, la liturgia, la teologia, la messa, la preghiera, la mia veste sacerdotale fanno di me un isolato, un fenomeno curioso. Qualcosa come un pope o un bonzo giapponese, di cui provvisoriamente rimane ancora qualche esemplare, in attesa che la razza scompaia”.
Da parte sua padre Perrin constata la medesima ignoranza: “Non conoscono il prete; sono da lui separati da un abisso profondo; si potrebbe persino dire che non apparteniamo allo stesso mondo”. Padre Perrin come padre Dillard, per citare solo questi due, scoprono così la necessità di un cristianesimo più evangelico».
È importante cogliere subito questa significativa correlazione che rimane come costante nella storia successiva dei PO: il contatto cordiale, non pregiudizialmente blindato, con la dura realtà di chi lavora, con la sua cultura, con le ingiustizie che accompagnano la condizione di chi “è collocato sotto”, ha come conseguenza di far nascere interrogativi sul cristianesimo storico e sulle sue caratteristiche culturali e strutturali. Il problema che viene colto immediatamente, e che si ripropone oggi drammaticamente, è che il cristianesimo stesso deve diventare evangelico, e quindi deve essere evangelizzato.
Un secondo anniversario: lo scorso anno ha compiuto 40 anni il dictat delle Congregazioni Romane con il divieto per i preti di continuare il lavoro in fabbrica, avviato da un decennio. I pretioperai venivano posti così dinanzi ad una “scelta impossibile”: dover optare tra fedeltà alla vita operaia, condividendone condizione ed organizzazioni, e fedeltà alla Chiesa. Il divieto, riaffermato nel 1959 con la lettera inviata ai Vescovi francesi dal Segretario del Sant’Ufficio Card. Pizzardo, aprì profonde ferite e favorì un clima di diffidenza, mai venuto meno nella Chiesa, anche dopo che nel 1965 Paolo VI diede il consenso, smentendo così la presunta incompatibilità tra condizioni di vita di prete e di operaio.
Golias, 22/1991 – Riferendosi all’ambito francese, estensibile per taluni aspetti anche alle realtà di altri paesi europei, l’editoriale della rivista dice: “L’autorizzazione strappata appariva fragile, la sua applicazione sarà sorvegliata… I PO in numerose diocesi si sentono più tollerati che veramente sostenuti. E quello a cui più tengono i PO è la libertà di condivisione, la più totale possibile, in particolare a livello di impegno sindacale ed eventualmente politico. Data la particolare sorveglianza, si trattava soprattutto di non offrire un’altra occasione perché scattasse la proibizione. Bisognava dunque essere irreprensibili sul piano teologico.Non dare pretesti alle censure onnipresenti. I PO non hanno paura dei padroni, ma temono Roma e i colpi del pastorale”.
Sono dunque 30 anni che si è riaperta la strada, percorsa da numerosi preti europei. Per la maggior parte di noi la nascita è avvenuta dopo il Concilio. Un Concilio che crediamo di aver preso sul serio. Come certamente serio ed esigente è stato l’inserimento nel lavoro per restarvi dentro una vita intera, come avviene per tutti quelli che non hanno altra risorsa per vivere con un minimo di dignità. Qualcuno è morto sul lavoro, parecchi portano sul corpo i segni di incidenti durante l’attività produttiva, come tutti gli altri si è subita l’esposizione alle malattie professionali, alla disoccupazione, alle ritorsioni per la militanza, l’attesa della pensione… E poi le ferite dentro, non ultima quella di tanti, troppi, che hanno dovuto vivere da stranieri nella Chiesa. “Esserct dentro” ha giustamente voluto dire tutto questo.
Forse abbiamo perduto molte opportunità personali, ma abbiamo guadagnato un fortissimo radicamento nella realtà, quale il lavoro concreto e manuale sa dare; abbiamo conquistato in tanti anni la legittimità ad essere compagni a pieno titolo, per condizione paritaria oggettiva, di milioni di oscuri anonimi, nelle loro sofferenze, lotte e speranze. Nessuno ci può togliere il vanto di essere la concretizzazione vivente, e coerente, del messaggio che proprio 30 anni fa il Concilio, al momento della chiusura, inviava ai lavoratori.
“Figli carissimi, siate innanzitutto sicuri che la Chiesa conosce le vostre sofferenze, le vostre lotte, le vostre speranze; che essa apprezza altamente le virtù che nobilitano le vostre anime: il coraggio, l’attaccamento al dovere, la coscienza professionale, l’amore verso la giustizia; che essa riconosce pienamente gli immensi meriti che, ciascuno dal proprio posto e spesso nei posti più oscuri e più disprezzati, voi rendete all’insieme della società. La Chiesa ve ne è grata e ve ne ringrazia attraverso la nostra voce”
Almeno in noi si è adempiuta in pieno, e senza riserve, qui in occidente, “la riconciliazione tra la Chiesa e la Classe operaia,” la promessa fatta davanti a tutto il mondo in quell’8 dicembre del 1965.
“Di questo amore della Chiesa per voi lavoratori, anche noi vogliamo essere testimoni presso di voi e vi diciamo con tutta la convinzione delle nostre anime: la Chiesa vi è amica abbiate fiducia in lei! Alcuni tristi malintesi, nel passato, hanno troppo a lungo impedito la fiducia e la comprensione tra noi; la Chiesa e la classe operaia ne hanno sofferto entrambe. Oggi è suonata l’ora della riconciliazione, e la Chiesa del Concilio vi invita a celebrarla senza secondi fini”
Sì, noi siamo l’adempimento di quella promessa, magari come un piccolo resto, come “un atomo sulla bilancia”, ma lo siamo veramente e di questo ci vantiamo (2Cor.11,30 e passim: «se è necessario vantarsi, mi vanterò»).
Gli anniversari diventano così una occasione per riscoprire il senso globale della nostra storia. Noi osiamo pensare che i pretioperai europei sono una parabola evangelica in questo tragico XX secolo; che portano nelle loro vite, spesso disperse ed anonime, un messaggio grande che non si esaurisce nelle opere e i giorni. “Il Regno dei cieli è simile a dei preti che hanno saltato il muro e sono entrati in condizione operaia. E vi sono rimasti”. In ogni paese, talvolta nelle diverse regioni di uno stesso paese, questa parabola subisce delle varianti, come capita nelle narrazioni evangeliche. O come succede allo stesso seme quando viene gettato e sepolto in terreni diversi.
Il segreto della nostra vita ci sembra meravigliosamente espresso da un testo di Bonhoeffer, pastore luterano di cui quest’anno ricorre il 50° del martirio per mano dei nazisti. A queste parole noi PO italiani siamo soliti ispirarci:
Questo quaderno, modesto e piccolo, come tutte le cose che facciamo, è un mini-dossier, che presentando le storie dei gruppi nazionali europei, lascia trasparire lo sguardo dal basso che ci accomuna: uno sguardo privilegiato, frutto di un addestramento durato lunghi anni, non ancora finito.
Roberto Fiorini