Editoriale (2)
Ricordo che il boom degli anni passati, era basato sul “lavorar, taser, no pensar”. Spesso l’identità di una persona era legata alle tante ore passate in fabbrica o comunque al lavoro.
Lavorare: non importa come, non importa quanto, non importa a scapito di chi… non importa se il pensare e gli affetti sono rubati, impediti. La solidarietà, il prendere coscienza insieme dei problemi o il cercare insieme di affrontarli erano e sono vissuti come un lusso o un disturbo. Arrangiarsi, farsi gli affari propri, arrivare prima di altri a certe ‘immagini’ sociali: la vita una scalata sempre più su.
Poi la delocalizzazione… l’accorgersi che c’è una logica di mercato che porta ad andare là dove c’è più convenienza, più possibilità, di avere subito un profitto. Hai visto emigrare capitali, competenze, professionalità, tante fatiche bruciate sull’altare del minor costo.
Ti sei reso conto che c’è un padrone più o meno intelligente (furbo!), che il ‘siamo una famiglia’ si mostra una fregatura, che tu ora non servi più.
Quanta ostilità, incomprensione verso gli immigrati che lavorano nei posti più brutti e ora sono visti come usurpatori, gente da cui liberarsi, invasori indesiderati perché vogliamo essere ‘padroni a casa nostra’.
Flessibilità, premio risultato, dalle competenze alla competizione anche tra compagni di lavoro. Lavorare si fa più duro sul piano fisico: siamo rimasti meno in fabbrica eppure anche senza nuovi investimenti la produttività è aumentata!
Lavorare si fa più faticoso sul piano del senso: le motivazioni dell’avere di più cadono e non si fanno strada le ragioni dell’incontro, della relazione con gli altri. Senti però che non puoi più tirarti indietro: ti sei costruito un’immagine e ora rischi di esserne vittima.
Ti trovi (ci troviamo) impreparato davanti alle sfide, preso da varie paure, in difesa di qualcosa faticosamente costruito: ‘roba’ da conservare per sé senza la gioia di condividere, di fare parte.
C’è ancora una tavola imbandita ma senza la gioia della fraternità, senza la festa dell’essere commensali: ognuno per conto suo anche nell’esperienza della religione.., è difficile chiamarla fede.
Il sogno di passare da lavoratore dipendente ad artigiano.., a imprenditore (non importa a che prezzo) rimane forte aspirazione, quasi meta del cammino lavorativo.
Proprio perché ci sono dentro a questa realtà, alle sue trasformazioni, alle inquietudini, agli slanci e alle cadute di senso, proprio perché ho combattuto tante battaglie e ora sono alla vigilia della pensione, sento che è urgente dirti che è necessario ‘pensare di più a lavorare di meno’.
È l’augurio che ti faccio, senza abbandonarti.