Editoriale


 

La commemorazione dei 150 anni dell’unità d’Italia è un’ottima occasione per riflettere sulla Costituzione italiana. In essa si esprime uno dei punti più alti e nobili della nostra difficile storia. Nello stesso tempo, non passa giorno che la Carta costituzionale non venga sottoposta  a insulti verbali nonché a fatti, cioè ad atti giuridici, che tendono a demolirla svuotandola dall’interno. Per questo riteniamo doveroso e profondamente giusto dedicarle una riflessione, mettendo in risalto alcuni armonici che servono a dilatare lo sguardo, superando il pantano di una quotidianità sempre più triviale: una trivialità ossessiva nella quale si cerca di trascinare tutto ciò che non fa comodo al “padrone” e ai sodali e subalterni legati al suo carro.
Prendo lo spunto da uno scritto di Dossetti: “La Costituzione italiana […] porta l’impronta di uno spirito universale e in certo modo trans temporale”. Su quel testo confluì il consenso di quasi il 90% dei componenti l’Assemblea costituente, tra i quali “c’era molta più distanza di quanta oggi ne corra fra Bersani e Berlusconi” (Ainis). Come mai si è pervenuti a una così massiccia convergenza su un testo che esprime un respiro universale e dunque capace di sfidare il tempo?
Dietro e dentro tutti, ci stavano sei anni di guerra mondiale nella quale si sono consumati orrori mai visti prima. In aggiunta, l’Italia emergeva dal gorgo della guerra civile, con le miserie morali e materiali che ne sono derivate e le ferite che hanno continuato a sanguinare. Nonostante tutte le contrapposizioni presenti, l’unità prevalse sulla divisione.  Non attraverso un compromesso di bassa lega, ma con un processo culturale di alto livello che consentiva di mantenere in tensione il dialogo con le ragioni degli altri. Infatti “il cemento che teneva insieme i nostri padri fondatori era innanzitutto il gusto per la storia, l’educazione ai classici, in una parola, la cultura” (Ainis). E ancora, l’enorme sofferenza, anche personale, vissuta negli anni della dittatura fascista e del caos bellico.
La fase costituente non era soltanto in vista della stesura della Costituzione. Dopo la catastrofe globale, che ha avuto il suo epicentro nella civilissima Europa, dalle “radici cristiane”, dalle sue culture raffinate, dal più avanzato sviluppo scientifico e tecnologico, c’era da inventare un nuovo modo di stare insieme, un bonum commune da esaltare come unica possibilità di convivenza e di futuro. E’ questo che si respira nella Costituzione, un respiro che, appunto, è universale e che va oltre la contingenza del momento. Un respiro che nasce dall’aver sperimentato la tenebra della forza distruttiva arrivata al massimo della follia e dalla consapevolezza che “il pericolo di precipitare nella barbarie è sempre dietro l’angolo” (P. Prodi).
A questo punto, mi sembra utile collegare la nostra Carta costituzionale con altri due documenti che con essa hanno profonde affinità.
Il primo è la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 10 dicembre del 1948. Anch’essa vede la luce, in un sussulto di coscienza umana, dopo il grande incendio che ha infiammato il mondo. “Rappresenta la coscienza storica che l’umanità ha nei propri valori fondamentali nella seconda metà del secolo ventesimo. E’ una sintesi del passato e un’aspirazione per l’avvenire; ma le sue tavole non sono state una volta per sempre scolpite” (N. Bobbio). Troverà sviluppi e approfondimenti in documenti successivi. Naturalmente non bastano le proclamazioni perché gli esseri umani effettivamente siano giuridicamente protetti nella loro dignità, però rappresentano una direzione di marcia, un ideale da perseguire. E’ ancora Bobbio che aggiunge: “Il problema di fondo relativo ai diritti dell’uomo è oggi non tanto di proclamarli, quanto quello di proteggerli”. Già Simon Weil, nel pieno della seconda guerra mondiale, scrivendo su la ricostruzione politica e civile della Francia, notava che una dichiarazione dei diritti umani non sarà sufficiente. Occorre recuperare l’idea di obbligo verso l’essere umano, a partire dai suoi bisogni concreti che costituiscono il contenuto dei diritti.
L’altro documento, del 1965, in profonda sintonia con la Costituzione, è la dichiarazione Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II. In essa si afferma la libertà religiosa come diritto umano fondamentale e universale. Il contenuto di tale diritto consiste nell’immunità da qualunque coercizione in materia religiosa: nessuno può essere costretto e nessuno può essere impedito. Il fondamento si trova nella dignità della persona stessa e non nel diritto positivo, statale o ecclesiastico, che può soltanto riconoscerlo, non fondarlo. Questa posizione va oltre il principio di ”tolleranza” per chi è su posizioni diverse, religiose o non religiose. E’ il punto di arrivo dopo secoli di lotte interne al mondo cristiano che hanno insanguinato l’Europa.
Penso che l’universalità e la sovratemporalità che riscontriamo nella nostra Carta costituzionale e nei due documenti citati, affondino le radici nella durissima storia, italiana, europea e mondiale, che è sottesa. Si respira una proiezione verso un avvenire libero dagli orrori che né la religione, né la ragione illuministica hanno saputo impedire. Portano racchiusa una speranza, la speranza di un bonum commune che si saldi con la dignità e libertà di ogni singola persona contro la prevaricazione dei poteri, pubblici o privati. La Carta costituzionale rappresenta il nostro “patto di convivenza” che mantiene la piena validità nei suoi principi. L’accanimento per demolirla e la superficialità con la quale si mette in atto una tale operazione, mi sembra abbiano i connotati ed il contorno di quella “banalità del male” di cui parla Hannah Arendt.

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Ora credo utile riportare una lettera di don Dossetti, scritta in un momento particolarmente travagliato per l’Italia. E’ la lettera di un padre costituente, di un perito chiamato a svolgere un importante ruolo nell’ambito del Concilio Vaticano II, di un prete e monaco che sente, dopo molti anni di nascondimento, la piena responsabilità civile e politica di rompere il silenzio, “nonostante per pluridecennale scelta di vita e per età molto avanzata – si senta sempre più al di fuori di ogni parte e distaccato da ogni sentimento mondano e fisso alla Realtà ultraterrena”. Oltre alla lucidità profetica, che trova piena conferma nell’attuale sistematica e continua aggressione alla Costituzione, messa in atto da una maggioranza parlamentare prona e serva dinanzi al padrone, bisognosa di un’ininterrotta campagna acquisti, va sottolineato che i presupposti che stanno alla base della Carta costituzionale sono “non sono solo civilmente vitali ma anche…spiritualmente inderogabili per un cristiano”.
Noi riteniamo doveroso accogliere in pieno e diffondere come possiamo l’appello di Dossetti, anche se nella chiesa italiana appare ancora, tragicamente, come una voce che grida nel deserto.

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Molte pagine di questo numero sono dedicate alla preparazione del Convegno che teniamo a Bergamo il prossimo 2 giugno, al quale tutti sono invitati. Si colloca all’interno della tre giorni (2-4 giugno) che ogni anno trascorriamo insieme, pretioperai e amici che amano condividere con noi il percorso. Riportiamo anche brevi riflessioni dei tre relatori che saranno con noi, tratte da loro recenti pubblicazioni, oppure predisposte per l’occasione.
In un momento storico come l’attuale, riteniamo assolutamente necessario favorire la fatica del pensiero e della condivisione di quanto si sta vivendo. Per i contenuti, peraltro già anticipati nel numero precedente della rivista, rimandiamo alle pagine interne, dove si troveranno pure le informazioni necessarie per quanti desiderano aderire alla nostra iniziativa.

Roberto Fiorini

 


 

Lettera al Sindaco di Bologna


Lettera di risposta all’invito del Sindaco di Bologna, Walter Vitali,
a presenziare alle celebrazioni per l’anniversario della Liberazione;
scritta il 15 aprile 1994 dall’ospedale di Bazzano dove era ricoverato.

Bazzano (ospedale), 15 aprile 1994
Al signor Sindaco di Bologna.

La ringrazio per il suo cortese invito.
Sono molto dispiaciuto che un improvviso aggravamento delle mie condizioni di salute mi impedisca di partecipare di persona alle prossime celebrazioni della Liberazione.
Pur nel costante desiderio di completa e unanime pacificazione nazionale, che ha sempre ispirato tutta la mia vita e che tuttora fermamente mi ispira, tuttavia non posso non rilevare che attualmente i propositi delle destre (destre palesi ed occulte) non concernono soltanto il programma del futuro governo, ma mirerebbero ad una modificazione frettolosa e inconsulta del patto fondamentale del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili.
Tali presupposti non sono solo civilmente vitali ma anche, a mio avviso, spiritualmente inderogabili per un cristiano: per chi come me – per pluridecennale scelta di vita e per età molto avanzata – si sente sempre più al di fuori di ogni parte e distaccato da ogni sentimento mondano e fisso alla Realtà ultraterrena.
Ciò però non può togliere che anch’io debba partecipare alle emergenze maggiori dei fratelli del mio tempo.
Perciò, signor Sindaco, mi senta profondamente solidale con gli intenti unitari che quest’anno, ancor più, le celebrazioni indette vogliono rivestire.
Auspico in questo senso che tali celebrazioni siano le più unitarie e limpide possibili.
Auspico ancora la sollecita promozione, a tutti i livelli, dalle minime frazioni alle città, di comitati impegnati e organicamente collegati, per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione: comitati che dovrebbero essere promossi non solo per riconfermare ideali e dottrine, ma anche per una azione veramente fattiva e inventivamente graduale, che sperimenti tutti i mezzi possibili, non violenti, ma sempre più energici, rispetto allo scopo che l’emergenza attuale pone categoricamente a tutti gli uomini di coscienza.
Si tratta cioè di impedire a una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo, di mutare la nostra Costituzione: si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di stato.
Con molta cordialità, suo

Giuseppe Dossetti


 

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