Il Vangelo nel tempo
silenzio di Dio? (1)


 

Questo tema l’abbiamo sentito diverse volte lungo questi decenni e soprattutto nei momenti di crisi. L’atteggiamento di sentirsi abbandonati è lo stesso atteggiamento del Cristo, quando grida “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Nei momenti di difficoltà e di sofferenza è facile urlare imprecare, gridare perché qualcuno ci aiuti. Ma Dio non risponde. Se ne sta zitto o per lo meno si pensa che lui stia zitto, senza domandarci come lui ci parla. Anche nella nostra vita ci sono tanti modi di parlare, di farsi capire, attraverso gesti, segni che spesse volte sono più espressivi della parola. Si tratta di ripensare la concezione di Dio, sempre rappresentato come uno che sta in alto e che ci sta a guardare.

Anche le rappresentazioni artistiche lungo i secoli lo immaginano come un vecchio che sta lassù e le nostre chiese sono piene di immagini, dove non c’è nessun spazio vuoto. Questa prassi non è altro che l’unico modo di non far pensare. Soprattutto nel periodo barocco. Quando invece entriamo in una chiesa di stile romanico c’è il vuoto totale, solo la luce che proviene dalle finestre. In quella situazione è più facile pensare e percepire una presenza.

Nello spazio pieno non c’è modo di pensare perché travolti dalle immagini soprattutto quelle violente, come l’inferno, i diavoli, martiri uccisi sul luogo del patibolo incominciando dalla croce del Cristo che noi abbiamo messo dappertutto.
Quando un bambino va in chiesa e vede queste immagini rimane sconvolto.

Ma Dio non sta in silenzio, parla attraverso diverse voci, fatti, avvenimenti e se noi non siamo abituati ad accorgersi di quello che sta succedendo attorno a noi, dentro di noi, sul pianeta è troppo facile chiedere che qualcuno risolva i problemi, imprecare e bestemmiare perché lui non si fa sentire.. Lungo la storia egli ha parlato e parla attraverso i profeti, quelli che sanno capire il proprio tempo. I segni dei tempi sono importanti.

Uno dei profeti che parecchi di noi hanno conosciuto, al quale io devo molto è Davide Turoldo . Mi vengono in mente alcune sue parole:

Io non prego Dio perché intervenga. Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. Io prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo. Io non prego perché cambi Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose”.

Come in passato ritorna anche oggi la domanda “Dov’è Dio?”. Ritorna di fronte al coronavirus, alla tragedia delle guerre, alle angosce dei popoli in fuga, alla devastazione dell’anima di innumerevoli persone. Torna la domanda che in “La Notte” Elie Wiesel ha fatto nascere di fronte a un bambino impiccato in un campo di concentramento nazista. Torna anche la risposta di Wiesel : “Dio era quel bimbo impiccato”. Questa frase esprime molto bene il concetto di Dio e del suo silenzio. Lo stesso concetto lo esprime anche Gandhi: “Ci sono persone nel mondo così affamate, che Dio non può apparire loro se non sotto forma di pane”.

Oggi più che mai è importante cambiare il concetto di Dio, che lungo i secoli abbiamo fatto parlare, dandogli delle forme che non esprimevano se non i nostri desideri. Un Dio che interviene, un Dio che fa miracoli, un Dio che ci guarda dall’alto, a cui rivolgersi soltanto nel bisogno, come bambini. Concetti legati a un modo di vedere la terra e l’universo che dopo secoli conosciamo meglio e non diciamo che il sole gira attorno alla terra che allora ritenevano piatta. La stessa Bibbia è legata a tutti quei concetti antropomorfici ormai superati da secoli.

Non siamo più abituati al silenzio. L’uomo contemporaneo postmoderno cade in un’inquietudine. E’ abituato al rumore di fondo permanente, che lo rende malato e lo rassicura, e senza di esso sembra perduto. Un rumore che diventa come droga e diventato dipendente in tutti i sensi. Dio allora diventa difficile da comprendere, anzi vogliamo definirlo e pensarlo come un’entità che guarda, che ascolta i nostri lamenti, le nostre domande, i nostri bisogni. A pensarci bene il cristianesimo nei primi quattro secoli, è nato in un contesto religioso che lui ha combattuto e man mano che acquisiva potere anche violentemente, nonostante il vangelo. Piano piano tutte le tradizioni e riti cosiddetti pagani sono entrati a far parte di questa nuova fede, dimenticando il detto di Gesù: “D’ora in poi non adorerete più Dio né su questo monte, né a Gerusalemme, ma lo adorerete in spirito e verità”. Hanno cominciato a nascere chiese, templi, basiliche, processioni, statue, devozioni, miracoli, immagini che piangevano.

Tutto questo non era che un bagaglio prettamente espressione di alcune altre fedi. E ci fu una forte lotta iconoclasta, iniziata già con alcuni padri della chiesa i primi due secoli, ma che raggiunse il culmine con l’imperatore Leone III di Bisanzio. L’esordio di questo conflitto viene fatto risalire al 726, quando un disastroso terremoto nell’Egeo fu considerato un “giudizio divino” a causa dell’introduzione nelle chiese di una nuova “idolatria”, il culto delle immagini, nonostante il concilio di Elvira le abbia vietate, proibendo il loro culto e la loro venerazione.

Sembrano cose d’altri tempi. Ma proviamo a pensare cosa è successo in questi mesi in cui non si poteva celebrare nelle chiese. Moltissimi sono rimasti scandalizzati, come se la centralità del cristianesimo fosse la celebrazione. Poteva essere un’occasione di riflettere sul modo di vivere la fede, attraverso l’ascolto personale del vangelo e soprattutto attraverso l’impegno verso chi stava soffrendo. E qui moltissime persone si sono impegnate. E’ stata un’occasione di mettere in pratica il Vangelo.

Ma è proprio questo Dio? E se invece lo pensassimo come un’Energia che sta dappertutto, presente in tutti gli esseri viventi, che possiamo ascoltare solo in silenzio? Già Gesù ci ha aperto un orizzonte su questo tema quando diceva “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere … “. Allora i problemi del mondo non sono un qualcosa che capita a caso. Essi ci pongono delle domande e degli interrogativi. E se noi non diamo delle risposte e non facciamo dei progetti per risolverli è come se ammazzassimo il divino che è in noi e nei fratelli che soffrono. E possiamo fare dei miracoli quando ci si impegna a dare un senso alla vita, a lottare per un mondo migliore, dove tutti abbiano di che vivere, dove non c’è inquinamento e sfruttamento della terra e delle persone trattate come schiavi.

Ascoltare Dio allora significa farci delle domande su noi stessi, sul pianeta, sulla società perché il tutto abbia un senso, perché il tutto trovi un equilibrio.

Dio rimane muto per chi non lo sa ascoltare, lui parla anche attraverso il male, non causato da lui ma dall’uomo. Male che ci deve far riflettere: perché sta succedendo questo? Quali sono le cause di queste tragedie e ingiustizie umane? Le risposte ci sono, ma è importante porsele. In un passo del vangelo dice: “Io sto alla porta e busso”, ma se non apriamo è impossibile avere un incontro, un contatto.

L’evangelista Giovanni dice “Dio nessuno mai l’ha visto”. E allora se non vediamo possiamo ascoltare. Ma siamo educati all’ascolto? Anche questo atteggiamento è un’arte: l’arte di ascoltare e stare in silenzio. Oggi più che mai queste sono parole e atteggiamenti importanti. In una società dei consumi, del continuo essere collegati, del rumore, dove il silenzio ci dà fastidio. Non riusciamo a staccarci dallo smartphone perché abbiamo paura di essere soli ed esso è diventato come una dipendenza. Paura di essere soli che si esprime attraverso l’aumento dei cani, che sono più delle persone. La maggior parte di chi passeggia sui sentieri dell’eremo dove vivo, è accompagnata da un cane che tratta meglio delle persone.

Tutto questo perché abbiamo paura, abbiamo bisogno di difese in quanto non abbiamo fiducia degli altri, che non ascoltiamo. Difese che si esprimono spesse volte con dei braccialetti, corone, croci , immagini. Concludo con una poesia di Davide Turoldo, appesa all’ingresso della cappella dell’eremo. Essa si richiama all’esperienza di Elia che fugge sul monte, stanco delle sue esperienze e del popolo, dove lassù ha capito chi era Dio, non colui che fa rumore, vento impetuoso, tempesta, terremoto, ma solo brezza leggera che solo chi si mette in ascolto è in grado di udire.

Torna alla grotta, in cuore alla terra:
– terra, natura, è il suo paese –
E tendi i sensi nell’alto silenzio,
solo la porta sia aperta sull’alba.

Di solitudine véstiti e fede:
basti il respiro a farsi preghiera,
poi nulla, tutto il corpo in silenzio,
sia desto appena l’udito dell’anima.

Attendi poi in timore che passi:
contando prima i vuoti di Dio.
Certo che passa, ma quando e per dove?
Né mai è certo il modo e se torna.

Ed ecco un brivido appena di vento,
un mormorio di vento leggero
a far tinnire le messi rapite:
profeta, copriti il volto, che passa …

Mario Signorelli


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