Sguardi e voci dalla stiva (1)


 

Mi sento attratto dal movimento dei pretioperai perché vi sento in ricerca continua, instancabile, come avviene nella mia vita.

Un altro motivo che mi ha portato qui con voi è la possibilità di condividere le esperienze personali per farle confluire in una storia collettiva. Una storia sacra come quella di tutti gli uomini e le donne che cercano con sincerità la loro strada.

Io non sono mai stato in fabbrica e non ha mai fatto un lavoro dipendente, anche se non ho mai perso il contatto con la mia storia familiare. Una famiglia di contadini, attaccati alla loro terra, che tuttora vive (babbo e mamma) del frutto del lavoro agricolo.

Anche quando mi sono messo a studiare non ho mai potuto fare a meno di ascoltare le esigenze del mio corpo; movimento, lavoro manuale, sport…

Anche ora nelle mie parrocchie mi do da fare per pulire il terreno, tenere un orto e accudire agli animali. Qualche giorno fa uno stecco mi ha colpito un occhio e mi hanno portato al Pronto Soccorso tutto sporco di terra e erba tagliata. Un assistente ha detto al medico che mi curava che ero il suo parroco e questo ha creato meraviglia e sconcerto nel vedere questo prete ridotto in quelle condizioni.

Il medico ha detto di essere credente e non praticante ed io gli ho risposto che l’importante è non essere credente ma credibile.
Io stesso non so se sono credente nel senso tradizionale del termine.

Qualche domenica fa ho partecipato al 25° di messa di un mio compagno di studi e ho assistito, esterrefatto, all’apoteosi del potere sacerdotale. Mi sono sentito in imbarazzo soprattutto per le persone che devono subire questo tipo di visione religiosa.

Quando celebrerò il mio 25° il prossimo anno non farò una messa ma una agape per dare spazio e accoglienza anche ai molti amici non praticanti e non credenti che accompagnano la mia vita. Si farà una festa sul prato danzando mangiando e scambiandoci le nostre storie.

Quando torno a casa in Polonia per qualche giorno, non chiedo sostituti ecclesiastici, ma ho preparato la gente ad autogestirsi la liturgia domenicale.

La mia storia personale, come dicevo all’inizio, è stata una ricerca continua.  Per cui non so se ho avuto una vocazione, ma nei vari tentativi alla fine sono arrivato a Pisa invitato dal vescovo Plotti con una borsa di studio. Ironicamente direi che sono diventato prete per forza d’inerzia.

Sono stato in Perù e poi in Brasile, e questo mi fa percepire la mia vita come un collage dei contributi delle persone che ho incontrato come dice il nostro amico Roberto Filippini vescovo di Pescia: “Noi siamo le persone che abbiamo incontrato.”

Quando sono uscito dal seminario ero molto inquadrato e mi meravigliavo da giovane prete del comportamento libero e inventivo del parroco a cui davo un aiuto. Poi la gente mi ha cambiato e ora il vescovo si sorprende della mia evoluzione.

Ora che sto abbracciando l’umano che è in me e negli altri alcuni parrocchiani tradizionalisti mi criticano, per come mi vesto e per quello che faccio.

Mi lascio guidare da maestri come Balducci percependo la conversione non come mero cambiamento ma come maturazione.

La comunità parrocchiale che ha inciso fortemente in questa mia evoluzione è stata quella di Capezzano e lì in modo particolare è stata la figura della donna che ha messo in movimento il mio stile di vita. Ho imparato a stare nell’abbraccio e nell’ascolto reciproco. Pensate che la mia mamma spengeva la tv quando c’era la scena di una bacio. Quanta strada!!!

Ora è il momento di ritrovare parole che siano il termometro della mutazione.
Non più altare, ma mensa, non più sacerdote ma prete, non più sacrificio ma dono.

Grazie di avermi permesso di condividere con voi questa mia storia.

BERNARD BYCZEK


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