Svelare il tempo


 

Sul finire dello scorso settembre la procura di Torre Annunziata ha denunciato l’esistenza di una vasta rete internazionale di pedofilia che vende foto e video sulle sofferenze crudeli e la morte che adulti infliggono deliberatamente a bambini. Chi ha partecipato alle indagini ha desiderato abbandonare il lavoro e chiudere gli occhi per non dovere più soffrire. Come stare sull’orlo dell’inferno – e guardare.
Saremo capaci di affrontare tutto questo? Tanto buio è come tanta luce: non facilmente tollerabile dalle nostre povere forze. Tuttavia l’enormità della notizia ha permesso di spalancare d’un colpo solo il sipario che impediva la vista di quanto era in atto: come vedere dall’alto una grande pianura e una battaglia svolgersi nella valle.
Era sotto i nostri occhi da tempo, guardavamo ma non riconoscevamo le forze in campo, né l’avanzare della minaccia e la fragilità dei nostri confini. Da quanto tempo avevamo abdicato ad essere padri e madri di tutti i cuccioli di questo mondo? Ogni bambino, figlio di tutti.
Osservare la realtà è stato come perdere l’innocenza, per sempre. E riguadagnare di colpo la nostra perduta identità di adulti.
Intendiamoci, molti allarmi erano stati lanciati, molte proteste gridate da varie angolazioni. Si poteva intravedere tutto, d’accordo: le analisi sui nostri tempi, sul tipo di civiltà occidentale, il dibattito sul mercato o la globalizzazione va avanti da tempo. Ma c’era ancora della nebbia che stagnava in basso e copriva la visione d’insieme. E soprattutto eravamo collettivamente regrediti a uno stadio infantile, viziati dal troppo benessere.
A diradare la nebbia ci sono voluti i corpi dei piccoli della nostra specie: dati in pasto, divorati. Lo scempio maggiore del quale gli eserciti invasori si sono macchiati, è stato da sempre quello sui corpi delle donne e dei bambini. Come volere cancellare definitivamente le speranze dei popoli vinti.
Il 27 settembre abbiamo scoperto che anche in tempo di pace si fa strazio di loro, si filmano le violenze, si confezionano videocassette e si vendono. Perché anche chi sta seduto tranquillamente a casa propria possa godere del brivido primitivo di torturare un inerme. A buon mercato, per interposta persona: non un uomo o una donna adulti, seppure prigionieri, che possono pur sempre opporre una qualche resistenza. Bambini.
Come è stato possibile non accorgersi che risalivamo all’indietro la corrente della storia, perdendo progressivamente contatto con gli istinti delle viscere? Eppure, la protezione della propria specie è una delle leggi biologiche più forti. È la spinta che ha guidato l’evoluzione e permesso la nascita della vita. Ha a che fare con l’intelligenza dei corpi, la capacità dei tessuti di trovare la strada per differenziarsi, delle cellule di moltiplicarsi, dei patrimoni genetici di riprodursi ed arricchirsi.
Inscritta in questa grande onda di vita, la venuta degli uomini aveva faticosamente trovato il modo di esprimere la propria unicità, mescolando all’urgenza vitale della materia il dono del pensiero. Da allora, generazione dopo generazione, abbiamo perpetuato noi stessi aggiungendo alla trasmissione biologica, quella culturale. I nostri discendenti sono sempre stati la speranza che quanto è stato conquistato, capito, inventato potesse venire trasmesso.
Abdicare a questa linea ininterrotta di tendenza significa abdicare a chiamarci umani, rinunciare all’identità maschile e femminile custodita nelle cellule staminali. È come ripudiare la capacità di dare la vita per l’altro che attinge proprio all’istinto di protezione dell’adulto per il proprio figlio. Che posto avrà la speranza di trasmettere il sapere quotidiano, le memorie, gli usi e i costumi? La faticosa esperienza, il lento capire le connessioni fra gli avvenimenti, i significati riposti della storia…?
L’operazione di Torre Annunziata ha svelato come non mai due realtà. Il sesso nella pedofilia è solo una laida maschera, sottile e piena di crepe che nasconde a malapena la violenza allo stato puro. Il ghigno velenoso della violenza travestita da amore. Tutto questo gli studiosi della psiche lo avevano intravisto, ma la verità non era ancora emersa così chiara, in tutta la sua crudezza.
La seconda realtà è molto più complessa ed ha a che fare con la battaglia che, dicevamo, è in atto davanti ai nostri occhi. Umberto Galimberti ha scritto, in un editoriale duro e sofferto “[…] Quindi la violenza ha un mercato, si vende e si compra. Internet è la sua vetrina tecnologica che, come tutti i mezzi tecnologici, amplifica il mercato, inducendo la domanda con l’esposizione illimitata dell’offerta. […] L’inchiesta italo-russa fa fare alla pedofilia un salto di qualità: non più e non solo un gesto sessuale, non più e non solo un gesto di violenza, ma innanzitutto un’operazione di mercato” (La Repubblica, 28 settembre 2000).
Sì, non possiamo più ignorare l’enorme potere acquisito dal mercato le cui leggi interne sembrano essere divenute l’unico principio di realtà che ha lentamente sostituito i codici di comportamento elaborati dagli uomini nel tempo. Il guanto di sfida lanciato dall’economia sta nella sua scalata al traguardo della supremazia rispetto agli altri aspetti della società. Si tratta di una capacità di movimento che le permette di guadagnare spazi sempre maggiori nella realtà quotidiana come nell’immaginario collettivo. I suoi reggitori sono interessati a scambiare merci, qualsiasi esse siano. Mentre i due attori principali del mercato — il venditore e il compratore — hanno acquisito un’indifferenza totale alla qualità delle transazioni in atto. Non ha importanza quali siano gli oggetti scambiati, purché essi esistano e siano abbondanti, in grado di soddisfare ogni tipo di bisogno.
Nella spirale seducente e spietata di questo desiderio senza fine, transitano l’ottanta per cento delle risorse mondiali, impiegate per fare vivere protetto e superalimentato il dieci per cento della popolazione vivente. Il mercato, abbandonato ad autoregolarsi e non più governato dagli uomini, suona la musica impazzita del fatale flauto magico.
Sotto i nostri occhi di consumatori tolleranti – ah, la grande virtù della tolleranza che cambia l’oro in piombo! – avevamo visto transitare tanti oggetti che ci dovevano mettere in allarme: armi, droga, veleni ambientali, capitali sporchi riciclati…
Anni fa ci è giunto all’orecchio notizia dell’esistenza di legioni di piccoli schiavi del lavoro che confezionano prodotti a basso costo per la felicità del nostro borsellino. Quei piccoli piedi e quelle piccole mani sembravano quasi fare parte più della materia prima che della forza lavoro. Si è gridato allo scandalo, ma poco è cambiato. Soprattutto non sono cambiate le nostre scelte di consumatori, l’ago della bilancia del mercato. L’offerta illimitata dei beni ci ha resi tutti come una grande bocca divorante, mai stanca.
Dicevamo all’inizio che la notizia di settembre ha dissipato i veli che avvolgono la nostra comoda esistenza perché abbiamo toccato con mano che i corpi dei bambini sono regrediti irrimediabilmente a materia prima per chi vuole costruire un’impresa proficua o a merce da consumo per altri. È come se, lentamente, la nostra società ci avesse sottratto l’anima e noi abbiamo consentito questo, paghi di un piatto di lenticchie. Ci siamo costretti a sostenere ritmi di vita innaturali, pretendendo da noi stessi di essere sempre attenti, pronti, sul chi vive nel produrre e nel consumare. In cambio ci è stato offerto l’illusione dell’onnipotenza, dell’eterna giovinezza, del benessere senza limiti. Ma l’ombra, cacciata dal palcoscenico, è defluita copiosa nei sotterronei e tanto noi di giorno costruiamo un’illusione che pare festosa e leggera – quanto le forze paradossali del compendio ci trasportano notturne e veloci alle età più antiche fino a fare rivivere il mito di Urano che divora i suoi figli.
Se non ci fermiamo, se non gridiamo con tutte le nostre forze, se non elaboriamo strategie per fermare il buio che avanza – abdicheremo alla più profonda vocazione umana: la difesa della prole.
Per troppo tempo abbiamo abitato nel vasto territorio grigio dei giusti che non operano una scelta di campo. Mi domando quando abbiamo cominciato a non difendere più i nostri figli, a farne solamente lo specchio del nostro narcisismo, piccoli replicanti della società dei consumi. Fiori all’occhiello per ribadire il nostro status sociale. Intrappolati in improbabili vestiti e condotti come scimmiette in qua e in là ad assolvere mille impegni. Anche la nascita ne abbiamo limitato, per avere maggiore tempo da dedicare alla nostra personalità e per obbedire all’imperativo del mercato di produrre-ottenere…

Ora che l’inganno è stato svelato, occorre avere una solida fiducia nella possibilità di operare. Contrastare l’avanzare del primato dell’economia è fattibile se viene rinsaldata la fitta rete democratica costituita da una pluralità di istanze e di organismi; se il dibattito politico ritrova la sua centralità, il parlamento, la magistratura e l’esecutivo riescono a funzionare in maniera coordinata senza sottrarsi potere l’uno con l’altro.
Ma imboccheremo la via per uscire dal labirinto soprattutto se siamo disposti a ritirare le reti dell’ambiguità nelle quali siamo rimasti impigliati: allora potremo spostare i confini, pesare sulla sorte della guerra in atto e consolidarci nella resistenza. Perché è l’intera società civile, siamo soprattutto noi che dobbiamo riprendere in mano i fili del nostro destino ed essere la coscienza vigile di quanto va accadendo, la spinta propulsiva del cambiamento. Occorre reinfondere alla partecipazione della cosa pubblica il colore e il sapore di un atto quotidiano che misura il gusto di una presa di responsabilità che ci proietta definitivamente nel mondo degli adulti.
Il palpito di chi è piccolo, inerme e indifeso ci indica il senso riposto delle cose, quello che ci ha portato il Padrone della vita quando è entrato nel mondo. Per consegnarci le chiavi della conoscenza aveva usato parole semplici, belle come i gusci di conchiglie che racchiudono le perle. In Lui vita e parole coincidevano in un rispecchiamento tanto completo da essere una cosa sola – l’una conteneva le altre come fa una culla con un bambino. Ci ha insegnato cose per comprendere le quali dobbiamo scendere dal piedistallo arrogante del troppo avere e del troppo sapere che ci vela lo sguardo e il cuore e lasciare sgorgare il canto dell’anima. Allora la terra e le sue creature potranno essere fecondate e una speranza di vita nuova percorrere la terra, perché solo la dimensione dell’anima ci rende compiutamente umani.

 

Maria Grazia Galimberti


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