Ci scrivono


 

Carissimo don Roberto,
ho trovato molto interessante la trattazione del problema della globalizzazione nel numero 40 della tua rivista ed ero intenzionato a scriverti le mie osservazioni sull’argomento, ma la mia desuetudine alla discussione mi ha frenato. Purtroppo non riesco sempre ad esprimere in modo chiaro il mio pensiero e spesso, rileggendo quanto ho scritto, mi rendo conto che non ho precisato esattamente quanto volevo dire. Non so se cambio idea più velocemente della mano che scrive o per mancanza di un lessico adeguato.
Gli ultimi avvenimenti internazionali, che hanno messo sotto accusa la globalizzazione selvaggia, mi hanno convinto a riprendere l’argomento e a riassumerti le mie idee con la speranza dì dare un contributo, da un punto di osservazione diverso, a quanto già detto.
La globalizzazione (termine troppo comprensivo ed abusato) è l’ampliamento sempre più spinto dei luoghi dove si esprime l’attività economica e finanziaria.
La parola stessa è un’invenzione di dieci anni fa ma è diventata talmente utile per definire un insieme di fenomeni, che è stata scelta come tema dell’ultimo incontro di Davos sull’economia mondiale: Globalizzazione responsabile.
È stata definita anche come un mondo in collegamento per 24 ore, iperattivo, derubato del sonno ed alimentato dalla posta elettronica, oppure una settimana lavorativa di sette giorni e 24 ore il giorno.
Questa globalizzazione è un fenomeno logico ed inarrestabile: è uno dei tanti aspetti del nostro mondo e non è né positivo né negativo ma, come tutti i cambiamenti, comporta una modifica dei comportamenti umani e la comparsa di fenomeni non prevedibili e non paragonabili con le nostre esperienze precedenti.
Il vero problema va quindi definito meglio perché non si deve combattere un processo logico ed ineluttabile ma arginarne le conseguenze negative e guidarne il corso.
Definire sempre il vero problema e non l’apparenza (o quello che altri vogliono farti credere) per stabilire delle efficaci linee di azione è un metodo che mi ha insegnato un saggio tomista.
Faccio qualche esempio.
Non puoi contingentare le macchine giapponesi per difendere una quota di monopolio sul tuo mercatino italiano (anche se sei torinese) facendo profitti con auto scadenti. Prima o poi dovrai cedere e migliorare il tuo prodotto. L’autarchia è un ricordo come pure le sue conseguenze.
Il vero problema è fornire prodotti affidabili.
Non puoi sopravvivere (come azienda) se non hai una dimensione che ti consenta di reggere i costi della concorrenza perché l’acquirente cerca sempre il prezzo più basso. Vedi la guerra tra supermercati e negozianti.
Il vero problema è l’economia di scala e la differenziazione.
Non puoi pretendere di fare quello che faceva tuo padre e nello stesso modo. Non puoi chiedere di usare ancora il bue per arare e i salariati per mietere perché occupi più personale. La mano d’opera si adegua e le persone che ieri mietevano oggi producono i trattori o programmi informatici.
Il vero problema è la scolarità (argomento interessante) e la capacità di adattamento alle mutevoli situazioni.
Il prezzo del petrolio non sale da anni anche se i consumi sono aumentati, alla faccia dei limiti delle risorse naturali di energia (anche se molti dichiarano che i consumi sono in flessione; mistero!).
Il vero problema è sovrapproduzione dovuta alla fame di valuta dei paesi produttori e la teoria dello sviluppo sostenibile è rimandata a tempi migliori. Le leggi del mercato sono semplici come le leggi della fisica (l’acqua scende sempre in basso o, se vuoi, l’entropia può solo aumentare).
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Date queste premesse ritengo che la globalizzazione non sia da demonizzare; infatti, essa è la conseguenza del progresso nella mobilità di persone e merci del nostro secolo, dell’evoluzione delle comunicazioni (tutta colpa di Marconi) e dell’informatica che ha sostituito libri mastri, carte e banconote. (Ora che le economie traballano gli entusiasmi per il villaggio economico globale si sono un po’ spenti).
La globalizzazione avrà conseguenze positive a lungo termine mentre a breve produce tensioni e crisi di adattamento.
Ma fai attenzione che molti guai non sono imputabili alla globalizzazione e sono ad essa collegati come i cavoli alla merenda, per comodità ed interesse nel distogliere l’attenzione dalle vere cause si accusa un finto colpevole.
I drammi citati nella tua monografia ne sono un esempio.
Vorrei riassumere quelli che ritengo i veri problemi.

1. Sfruttamento del lavoro

Il vero problema è che le nazioni più povere (come reddito pro capite, tenuto conto del pollo di Trilussa) non sono guidate da governanti che, in rappresentanza di un popolo, ne difendono gli interessi e ne guidano lo sviluppo. Assistiamo ad oligarchie o a dittature che nulla hanno a che vedere con l’arte di governare.
Sottobosco di alleanze con avventurieri internazionali che cercano il profitto non in un differenziale del costo del lavoro ma nel lavoro quasi gratuito di diseredati che non hanno alternative.
La parola avventurieri non ti deve far pensare a pirati o figure dell’ottocento: sono funzionari di stati amici che manovrano con competenza e discrezione e nascondono sempre la mano.
Le forze che sfruttano a loro favore i paesi deboli non trovano validi antagonisti. Ed indicano come responsabile la globalizzazione.
Le comunità evolute, organizzate secondo una costituzione o leggi formalizzate, sono in grado di mettere dei freni a invasioni economiche e a turbative provenienti dall’esterno.
Invece nei paesi in via di sviluppo (ma quanto dura questa via!) il governo di turno accetta di essere corrotto e lasciare via libera agli avvoltoi in cambio di abbondanti lubrificazioni in valuta.
Siamo di fronte all’immaturità di certe società.
Immaturità che fa comodo ai paesi civili (a certi centri di potere) i quali dichiarano di credere ad un libero mercato che ha come conseguenza ineluttabile queste degenerazioni.
Ma dov’è il libero mercato? Forse quello sostenuto dal FMI che manovra gli aiuti in funzione di interessi di parte non confessabili? Forse è nell’autodeterminazione dei popoli sudamericani. Forse nelle guerre civili africane. Forse nell’elefante ONU che riesce solo a crescere ma non ad incidere in nessun modo nella gestione della politica mondiale?
È una triste ripetizione della storia che non è stata modificata dal passaggio di rivoluzioni e guerre.
Il vero problema è quindi riconducibile ad un caso politico che si manifesta in forme non molto diverse dai fenomeni che conosciamo (servi della gleba, schiavismo) mentre la globalizzazione porta solo a conoscenza fatti che altrimenti rimarrebbero sepolti negli angoli più remoti.
Non dimentichiamo che anche nella nostra Italietta il caporalato prospera, il lavoro nero rappresenta una percentuale a due cifre del totale, l’evasione fiscale è prassi accettata mentre nessuno si sogna di riorganizzare il catasto, per non turbare la coscienza di amici ladri.
Se questo succede in Italia (nel quarto mondo sotto casa tua) puoi bene immaginare che il libero mercato e la globalizzazione non sono imputabili di nulla ma tutto è riconducibile alla dominazione di pochi individui verniciati di democrazia attraverso alcune sceneggiate elettorali che scimmiottano la delega del potere da parte del popolo sovrano.

2. Crollo delle economie dei paesi emergenti

Altro caso di più sottile sfruttamento, meno cruento ma più duraturo, è la possibilità di investire grossi capitali (grossi intendo a livello di qualche percento del PIL) nella borsa di piccole nazioni e far lievitare le quotazioni in modo spropositato. Quando il corso dei titoli è salito al punto giusto si ritirano tutti i capitali investiti realizzando vistosi profitti e lasciando l’economia del paese distrutta a spese dei locali che avevano investito nella loro borsa i loro modesti risparmi.
In questi giorni si possono però contare le vittime del boomerang di questo selvaggio arrembaggio che qualcuno riteneva a danno solo degli altri. È opportuno non piangere sui crolli delle varie borse dopo aver goduto dei vantaggi che si ritenevano senza fine temporale.
Non dimenticare che anche il nostro scalcagnato UIC aveva cavalcato la tigre della globalizzazione: in pratica speculava su listini gonfiati ad arte e la globalizzazione è coinvolta solo perché i trasferimenti di valuta non richiedono più piroscafi ma una linea telefonica.
In questo caso il termine globalizzazione va tradotto con sfruttamento dei soldi degli altri.
La vendetta naturale purtroppo non si farà attendere molto perché l’economia traballante dell’est asiatico, Giappone incluso, non è indipendente e, per effetto della globalizzazione, trascinerà in basso tutti coloro che con insipienza hanno sfruttato ciò che dovevano lasciare vivere in pace.
Lo stesso dicasi del Brasile sostenuto in ritardo per non rimanere sotto l’albero che cade. La storia del Messico è già archiviata.
L’analogia con le offese all’ambiente sono evidenti.
Le economie sono quindi drogate da queste iniezioni di capitali che alterano i parametri di valutazione e consentono ai paesi deboli di commettere errori di politica monetaria tali da distruggere la loro ricchezza e quella degli speculatori.
La globalizzazione è responsabile solo della velocità ed anonimato delle operazioni sulle borse lontane come se fossero un ufficio sotto casa ed in tempo reale.
Ripeto che questo non è né positivo né negativo, ma la mancanza di protezioni (tipo Consob locale funzionante) permette gli eccessi degli speculatori. Quindi la globalizzazione è la comoda giustificazione di Società impreparate e mantenute tali dagli amici.

3. Culture frullate

Una delle conseguenze più gravi della globalizzazione è invece la colonizzazione culturale: mentalità e abitudini consolidate nel tempo vengono spazzate in una giornata a contatto con culture (forse) diverse.
La diffusione delle idee nei secoli scorsi aveva un ritmo tale da permettere l’assorbimento e l’evoluzione da un sistema ad un altro. Le idee che percorrevano l’Europa nel ‘500 ed in seguito, avanzavano con i mezzi lenti di diffusione del tempo ed erano come un lievito che lentamente modificava e migliorava la conoscenza, la mentalità ecc..
Ora noi invadiamo paesi con culture secolari con la nostra idea del mercato, i soldi facili, la pigrizia, il consumismo e tutte le sue conseguenze, con la televisione in cui presentiamo il nostro modello senza dare la possibilità di un confronto, senza dare il tempo di vedere una dissolvenza ed una integrazione.
Sostituiamo e basta senza un arricchimento reciproco Meccanico trapianto di cervello.
Lasciando naturalmente nella più profonda ignoranza la massa di cui nessuno si occupa o meglio che il potere tiene rigorosamente lontana da fermenti pericolosi (sembrano i tempi dello statuto che era richiesto nell’800).
Questo fenomeno ritengo sia strettamente legato alla globalizzazione, cioè alla possibilità di scambiare una chiacchiera ed un’idea tra le estremità del globo come fossimo al caffè del paese.

4. Profitto

Il profitto è una delle molle dell’agire umano e oserei dire che tutti lo debbono cercare. Il profitto è essenziale per la crescita delle imprese che devono investire e prosperare e migliorare le condizioni dei dipendenti e della comunità nella quale operano, ma il profitto non deve essere ottenuto con la corruzione e con lo sfruttamento perché le tensioni generate stritoleranno sia l’impresa sia la comunità.
Potrei fare un esempio di profitto non profitto: distruggere la fauna in un lago con la pesca selvaggia è fare un profitto per un mese e poi digiunare per i successivi undici. Il vero profitto è intelligente e proiettato nel futuro.
In Italia non si fa ricerca per poter fare profitti più rapidi; Il risultato sarà una dipendenza da altri che porterà il paese ad una povertà di ritorno perché i profitti in futuro saranno appannaggio degli altri che hanno investito.
Pensa solo alla grande Montedison che si reggeva su tangenti e fondi neri. Che cosa ne è rimasto?
Le modalità di ottenere il profitto sono atti umani giudicabili, mentre il profitto è un obiettivo, individuale o collettivo di impresa, necessario e non è la causa di tutti i mali.
Spero di essermi spiegato a sufficienza, in caso contrario dovrò invitarti a cena e ripetere l’esposizione dall’inizio.

In conclusione

Il lavoro non pagato, lo sfruttamento dei minori e le condizioni di vita inferiori al minimo di sopravvivenza sono frutto della corruzione e dell’ingordigia di pochi ai danni dei molti, non della globalizzazione.
Non vorrei sembrarti negativo e senza speranze ma non si può cambiare il mondo in un attimo. Dobbiamo operare per combattere e risolvere i veri problemi, sapendo che se non vi riusciamo noi, quelli che ci seguiranno, non so tra quante generazioni godranno i frutti del nostro modesto impegno che consiste nel:
• non imbrogliare, come certi giornalisti, dicendo falsità ben camuffate
• ricordare che i vizi capitali non si riducono ma anche le virtù rimangono costanti e non sono mai fuori moda
• ricordare che la globalizzazione lega ancora di più la fortuna degli uni a quella degli altri
• ricordare che la globalizzazione ha aspetti positivi perché ci fa sentire più vicini e ci informa sul bene e sul male che esiste in tutto il mondo
• ricordare che lo sfruttamento, la povertà e la corruzione esistevano prima della globalizzazione

Rimbocchiamoci le maniche, apriamo gli occhi per vedere meglio il problema e portiamo il nostro granello di sabbia per costruire un mondo nuovo.
Il tempo non manca e, visto che iniziamo un nuovo millennio, portiamo una nota di speranza in un mondo che non riesce ad alzare gli occhi.
Un fraterno saluto.

Pietro Meneghini


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