Convegno di Bergamo / 2 giugno 2018
MEMORIE PER UN FUTURO
Interventi e risonanze (2)​


 

A questo convegno che ci propone “MEMORIE DI FUTURO” mi sono posto in ascolto di quanto mi hanno lasciato come traccia nella vita il card. Carlo Maria Martini, Alex Langer e Ernesto Balducci. Avendoli conosciuti posso dire una cosa che li accomuna nella loro originale diversità: una traccia di umanità in cui non è facile distinguere il divino dall’umano.

E mi soffermo su Alex nella sua dimensione umana senza fronzoli e senza appendici o retoriche.
Non si capisce Alex se non si colloca alle sue origini nel Sudtirolo di lingua tedesca, cresciuto nella pluralità di etnie e di lingue diverse Langer sentiva la violenza interetnica nella sua carne perché era nato nel 1946 a Vipiteno, nel Südtirol di lingua tedesca. Suo padre, nato a Vienna, era ebreo non praticante e sua madre era convintamente laica.

Vissuto in una famiglia aperta al dialogo, scelse di frequentare il liceo italiano dei francescani a Bolzano, città dove con altri ragazzi fondò la sua prima rivista, Offenes Wort (parola aperta) e, più tardi, Die Brücke (il ponte): un simbolo che avrebbe incarnato per tutta la vita, sia nell’audacia del segno capace di collegare due sponde distanti, sia nella fatica concreta del cercare e trovare e trasportare le pietre che possano incastrarsi tra loro per tenere su l’arco del ponte

L’identità, il pensiero e l’agire di Alex mi richiama le intuizioni di papa Francesco nella sua lettera Laudato si’ e delineate molto bene da Leonardo Boff. Il quale parlando di universo accenna alla cospirazione cooperativa: tale interdipendenza e tale solidarietà cosmica, rendono tutti complementari gli uni con gli altri: nulla è superfluo, nulla viene escluso. Anche le erbe silvestri – commenta papa Francesco citando san Francesco – a modo loro, rendono lode a Dio in quanto il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode.1

A questo punto mi permetto di fare un riferimento a un fatto che sta accadendo qui in terra bergamasca con la Peregrinatio dell’Urna del Santo Papa Giovanni XXIII. Un Papa che ha saputo conciliare il vero spirito evangelico con la saggezza contadina in cui affondavano le sue radici. È bello che un uomo possa ritornare tra i suoi, dai quali non si è mai staccato. Al passaggio dell’urna accorrono migliaia e migliaia di persone e mi chiedo: chi hanno votato queste persone?
Chi si impegna a costruire un futuro di umanità accogliente o si sta promettendo a noi italiani di stare tranquilli perché tutti quelli che danno fastidio, verranno mandati fuori dalle palle?

Come è possibile conciliare in chiesa lo spezzare il pane con l’esclusione degli estranei? Fino a prova contraria nel vangelo è scritto: “ero straniero e mi hai accolto” quindi, non il contrario.
C’è ancora posto per il vangelo nei pensieri e nelle azioni quotidiane dei conterranei di Papa Giovanni? O rimane la pura devozione?

C’è un futuro umano e di fede. Alex nella sua laicità direbbe: occorre sempre tenere presente il punto di vista dell’Altro.
Ho conosciuto Alex in diverse circostanze soprattutto in pieno conflitto che stava insanguinando le regioni della ex Jugoslavia e ci stava come cittadino europarlamentare, per tentare una soluzione pacifica e tenere aperta la comunicazione tra coloro che si opponevano con l’intento di contribuire con tanti altri alla pace e riconciliazione in quei territori.

Tessitore di relazioni

A Verona aveva fondato una associazione Verona Forum che divenne un luogo dove si riunivano gli oppositori alla guerra provenienti delle diverse regioni in conflitto. In quei frangenti ha sicuramente collaborato con don Tonino Bello, padre Balducci per le manifestazioni all’Arena.

Mi ha sempre lasciato una impronta di umanità disponibile a costruire ponti e a abbattere steccati di ogni genere. Nel ’94 venne invitato a Bergamo dal gruppo denominato “Pace subito”, formatosi a Bergamo e provincia a seguito della marcia dei 500 a Sarajevo con don Tonino Bello. In quella circostanza Alex dialogò e discusse con passione politica sull’importanza determinante dell’azione nonviolenta dentro l’intricato mondo bosniaco segnato dalla guerra.

Qui mi permetto di ricordare ciò che era accaduto in questo senso nel dicembre 1992.
Su iniziativa di don Tonino Bello e dei Beati i costruttori di pace, con Albino Bizzotto ci si è mossi in 500 con l’unico intento di portare alla gente di Sarajevo un segno di presenza umana disarmata in pieno groviglio di contrapposte violenze. Non dimenticherò mai l’emozione vissuta passando attraverso la città per incontrare le diverse componenti religiose, nel vedere tanti abitanti affacciati alle finestre senza vetri che ci lanciavano messaggi di benvenuto.

E al termine della giornata concessa dopo lunghe trattative con i Serbi, don Tonino Bello pronuncia un discorso nel cinema “Prvi Maj” al lume di candela, ricordando i motivi dell’iniziativa:

“Questa esperienza è stata una specie di ONU rovesciata: qui non è arrivata l’ONU dei potenti, ma l’ONU della base. L’Onu dei potenti può entrare a Sarajevo fino alle 16. L’ONU dei Poveri si può permettere di entrare dopo le 19. Io penso che queste forme di utopia dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? Sono soltanto le notaie dello status quo e non le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi e terre nuove. Io penso che noi dobbiamo puntare tutto su questo…”

E qui siamo alla piena consonanza con l’animo profetico di Alex.
Poi don Tonino Bello aggiunse: “…Siamo qui, allineati sulla grande idea della nonviolenza attiva (…). Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati. Abbiamo sperimentato che ci sono alternative alle logiche della violenza…”
Risuona in queste parole lo Spirito della Pacem in Terris, nel 1963, enciclica scritta appena sfiorata la bufera su Cuba tra Russia e Stati Uniti. Dove papa Roncalli dice “Alienum a ratione”, è da folli pensare di dirimere le controversie tra popoli conle armi. Occorre maturare e sperimentare una cultura e una pratica della nonviolenza.

Poi ci si avvia per il rientro passando per il porto di Zara, ci si imbarca verso sera e sul ponte concelebriamo sotto un cielo dai colori arcobaleno. Appena giunti al porto di Ancona, don Tonino scrive:

“Poi rimango solo, e sento per la prima volta una gran voglia di piangere. Tenerezza, rimorso o percezione del poco che si è potuto seminare e della lunga strada che rimane da compiere? Attecchirà davvero la semente della nonviolenza? Sarà davvero questa la strategia del domani? È possibile cambiare il mondo con i gesti semplici dei disarmati? È davvero possibile che, quando le istituzioni non si muovono, il popolo si possa organizzare per conto suo e collocare spine nel fianco di chi gestisce il potere? Fino a quando questa cultura della nonviolenza rimarrà subalterna? Questa impresa contribuirà davvero a produrre inversioni di marcia? (…). Sono troppo stanco di rispondere stasera. Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza. Le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono”.

Nella stessa direzione Alex ci ha lasciato un’impronta di uomo convinto e disponibile a scommettere con le nuove generazioni per dare respiro a pensieri e azioni verso una scelta politica di apertura alla pluralità di appartenenze. Dunque coltivare una cultura sociale e politica inclusiva e non escludente. Diceva:

“Nelle nostre società deve essere possibile una realtà aperta a più comunità, non esclusiva, nella quale si riconosceranno soprattutto i figli di immigrati, i figli di famiglie miste, le persone di formazione più pluralista e cosmopolita. (…) La convivenza plurietnica, pluriculturale, plurireligiosa, plurilingue, plurinazionale appartiene e sempre più apparterrà, alla normalità, non all’eccezione. (…) In simili società è molto importante che qualcuno si dedichi all’esplorazione e al superamento dei confini, attività che magari in situazioni di conflitto somiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’integrazione”.

Ci stanno tutti gli indicatori chiave per costruire un dialogo interetnico. Alex, convinto sostenitore della possibilità di costruire una convivenza tra diversi attraverso la nonviolenza.
Tenere sempre presente il punto di vista dell’altro è stato lo sforzo umano e intellettuale che ha dato forma alla sua vita.

Alex ambientalista

In un testo molto bello dell’ottobre del 1983, intitolato Ecologia e movimento operaio, un conflitto inevitabile?, scriveva:

“È tempo, dunque, che si infittiscano il dialogo e le iniziative esemplari tra ecologisti e operai (anche sindacalisti), ma anche tra ecologisti, operai e imprenditori, per esplorare concretamente, e non necessariamente solo in situazioni di conflitto, il terreno della comune lotta per la qualità ecologica, oltre che sociale e umana, del lavoro. Vorrà dire prendere per le corna il toro dell’alienazione e lavorare per il disinquinamento non solo dell’ambiente, ma anche della vita di milioni di persone, dentro e fuori le fabbriche, gli uffici, i servizi, le campagne”.

Tre anni prima, quando si era tolta la vita la leader verde tedesca Petra Kelly, Alex l’aveva ricordata con queste parole:

“Forse è troppo arduo essere individualmente degli Hoffnungsträger, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande l’amore di umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a fare”.

In questa occasione riservo a Alex il pensiero di Balducci trasmessomi da Luigi Consonni come invito al convegno di oggi:

La speranza è il nome laico della fede.
Non possiamo far trionfare le ragioni della speranza cristiana
sul fallimento della speranza umana.
Bisogna inserirla questa speranza cristiana
nella cruna della speranza umana.2 

ADRIANO PERACCHI

1 Leonardo Boff in AA.VV., Il cosmo come rivelazione. Una nuova storia sacra per l’umanità, Gabrielli, 2018, p.105
2 Ernesto Balducci, Il mandorlo e il fuoco, Borla, 1981, p. 171.


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