Incontro Europeo dei PO 2016
3) Contributo italiano
Negli ultimi decenni, col prevalere del “liberismo selvaggio” e la globalizzazione economica ed escludente i paesi poveri, si è assistito a una devastazione per disorientare gli espropriati dal lavoro. Occorreva che gli sfruttati, oltre a subire il danno materiale, fossero messi nelle condizioni di desistere da ogni resistenza: individuale e collettiva, presente e futura. Così, “produrre” è diventato un modo come un altro di fare soldi, costi quel che costi e i soldi sono diventati a loro volta un mezzo per fare altri soldi, allargando spropositatamente la forbice tra ricchi e impoveriti. “Accogliere i profughi”, frutto delle guerre causate da noi, per depredare le materie prime nei pesi sotto-sviluppati, diventa un business, nonché occasione di riarmo (interno ed esterno), vendita di armi e di maggiori controlli negli Stati poveri. La solidarietà è diventata un affare per molti furbi e buonismo per molti altri furbi. Il lavoro è diventato una “gentile concessione” dei “datori di lavoro”, cioè ladri di lavoro. Per cui oggi lavorare, non importa a quali condizioni, è un “lusso”, e come tale non è secondo canoni di equità, diritto, responsabilità sociale, umanità.
Dietro le terminologie che vanno di moda come: “modernità”, “competizione”, “sviluppo”, “sfida dei mercati”, “identità culturale”, “civiltà occidentale”, “coesione sociale”, “cultura d’impresa” … è in atto una guerra feroce, non dichiarata, spietata tra chi detiene il predominio sui beni e sulle ricchezze del pianeta e chi, la stragrande maggioranza della popolazione, ne viene scientemente privato, escluso, tutto diventa affare e speculazione, mentre viene meno l’attenzione personale e dei popoli, divenuti merce.
Questo capitalismo parassitario non è in grado di sostenere il peso, né si fa carico dei disastri sociali ed ambientali da esso stesso provocati, se non al prezzo di disastri ulteriori ed aggravati. Molte Imprese si sono trasferite in paesi dove il costo del lavoro e i salari sono più bassi, e i contrasti sociali più evidenti, causando molta disoccupazione, con negazione degli ammortizzatori sociali, che dopo poco tempo scompaiono lasciando migliaia di disoccupati e soprattutto migliaia di lavoratori generici e senza competenze. Si riflette soprattutto sulla qualità della produzione e questo ha dato spazio ad una moltiplicazione di lavori non qualificati, mal pagati e con orari disumani. Non c’è più il giorno e la notte, bisogna sempre essere a disposizione di chi dà il lavoro: o prendere o lasciare. Se prendi, non puoi lamentarti altrimenti ti si dice:” la porta è quella”, e se uno se ne va ce ne sono a decine che stanno aspettando quel posto. I diritti sindacali , frutto delle conquiste degli anni 60 – 70 stanno piano piano scomparendo. Ci sono degli incentivi statali per l’assunzione dei giovani, ma questo ha un aspetto negativo l’assoluto precariato, perché raggiunta l’età stabilita per essere regolarizzati, essi vengono licenziati e altri giovani prenderanno il loro posto, e la storia ricomincia. Viene meno la sicurezza di una futuro, la prospettiva di “fare famiglia” con sufficienti garanzie di futuro.
Un settore particolarmente esposto in Italia allo schiavismo è quello agricolo, in caporalato e il ritorno alla schiavitù: 905.000 persone di cui l’80% stranieri. Lo stipendio giornaliero non supera i 25 – 30 euro con un lavoro in media di 12 ore, meno di 2 euro e 50 centesimi all’ora. Queste persone producono circa 32 miliardi di euro all’anno. Si tratta di totale dipendenza dall’economia di sussistenza, perché da quel salario i lavoratori devono sottrarre 5 euro al giorno per il trasporto sul luogo di lavoro, l’acquisto di acqua e cibo, l’affitto di alloggi del tutto precari e, talvolta, dei medicinali. Il danno è anche per lo stato che registra un ammanco di 600 milioni l’anno per i mancati versamenti contributivi, mentre si parla di molte pensioni pagate dai contributi degli immigrati! E annualmente ci troviamo a contare i morti. Quelli che in condizioni precarie e di sfruttamento senza alcuna garanzia, non ce la fanno. Sono stati 10 lo scorso anno, esclusi gli incidenti mortali sul lavoro per la mancanza di garanzie: un prezzo troppo alto per un Paese … civile. Possibile che in un paese civile non si riesca ancora a porre un freno, regole certe da rispettare nel mondo del lavoro della terra?
In questi ultimi anni c’è un grosso attacco borghese-padronale mai visto da almeno settant’anni alle condizioni salariali, normative, ambientali, sanitarie, assistenziali, pensionistiche nei confronti della maggioranza delle fasce più povere della popolazione. Queste ultime non riescono a reagire, accettano tutto pur di non perdere il posto di lavoro. Una erosione lenta ma continua. Coloro che si iscrivono ai sindacati alternativi sono i più esposti a provvedimenti e a licenziamenti.
I lavoratori immigrati stanno dando una scossa potente di reazione, che ricorda le lotte degli immigrati dal Sud al Nord ricco d’Italia negli anni 60 nelle aree industriali delle grosse città come Torino e Milano. Con le loro lotte “selvagge” stanno facendo saltare il tappo di un boom economico costruito su misura dei benestanti e recintato da una pace sociale imposta ad ogni costo, una speculazione impazzita, una finanza senza limiti umanitari e sociali.
Oggi questa nuova classe operaia sta anticipando quello che sarà il futuro prossimo delle cosiddette “relazioni sociali” che divengono diritti umani. Si prospetta futuro ad altissima conflittualità, frutto naturale di decenni di capitalismo oppressivo e di politiche governative tese solo a far recuperare ai ricchi tutto ciò che era stato strappato dalle lotte del 1968 – 69, e che dovrebbero diventare leggi di garanzia, attenzione all’ecosistema (vedi la “LAUDATO SÌ” di Papa Francesco). In termini economici si tratta di una quota di ricchezza attorno al 2% del PIL spostata circa 40 anni or sono dai profitti e dalle rendite ai salari. Esempi significativi sono nei settori della Logistica, (12% del Pil italiano ) dove gli operai , i peggio pagati e i più maltrattati sono costretti a lavorare anche 12 ore al giorno senza compenso per gli straordinari e rinunciando alla sicurezza e alla continuità del lavoro. Sono energie lavorative giovani, spesso con medio-alta scolarizzazione, che hanno subito soprusi di ogni sorta. Molti di loro sono immigrati con esperienza diretta delle lotte operaie che nel 2011 hanno iniziato la “Primavera araba”. E qui assistiamo ad una violenza contro queste persone che protestano, con le forze di polizia che con bastoni e lacrimogeni allontanano, presidiando i cancelli delle fabbriche, spesso picchiano duro. Coloro che sono iscritti ai sindacati più combattivi, non istituzionali, sono i più esposti al licenziamento, come un tempo. Ne è un esempio la lotta nel colosso “Ikea”, la multinazionale svedese. La polizia interviene più volte. Cariche, lacrimogeni, gente inseguita lungo i viali. Ferimenti, fermi, denunce. Da parte operaia, si punta al boicottaggio dei prodotti Ikea, portando squadre “volanti” a pubblicizzare la vicenda in molte città italiane, Bologna, Torino, Roma, Napoli. Ripetute manifestazioni nel centro delle città. Alla fine dopo nove mesi di lotta, più della metà dei dipendenti allontanati viene reintegrata, gli altri accettano volontariamente una cospicua buonuscita per andarsene. Il colosso Ikea inattaccabile è stato intaccato, ma non avverte che è in causa la dimensione umanitaria e lavorativa.
A noi è domandato di pensare in termini positivi al legame profondo tra lavoro e umanizzazione, tra diritti da avanzare e nuova società da impostare, che abbia come fondamento l’armonia delle diversità, considerate ricchezza e del nostro dovere di ridimensionare l’economia e la finanza a “servizio” e non scopo dell’interesse di pochi. L’internazionale deve farsi dimensione umana e va creata una nuova sensibilità che elimini la costruzione delle armi e le lotte per egemonizzare le materie prime solo a servizio dei pochi. L’emigrazione è frutto di un colonialismo mai morto e di una depredazione, che va esclusa come fonte di guerre fratricide. C’è bisogno di giustizia e di una sensibilità fraterna, che si ponga al centro di ogni sviluppo economico e finanziario. Anche la religione e la spiritualità mondiale, deve avvertire che questa è la volontà del Padre, che la fratellanza diventi programma non solo spiritualistico, ma politico, sociale, economico, effettivo di umanità.
Mario SIGNORELLI
Giancarlo RUFFATO
Graziano GIUSTI