Verso il Convegno Nazionale ’92
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PRESENTAZIONE-INTRODUZIONE
Dopo essermi arreso sul fronte del “costruire” un “centro di spiritualità per proletari dissenzienti”, ho riflettuto sulla possibilità di almeno dare a tutti alcune informazioni utili. Mi è apparsa la necessità, non la possibilità. Cioè mi è parso necessario che tutti avessero un minimo di alfabeto di base, un minimo di codice di base per poter comprendere gli inganni, quello che viene comunemente fatto passare per religione o fede, per poter discernere, eccetera.
Quando diciamo:
– più o meno tutti passano per la Parrocchia, per i riti devozionali della propria tribù…
– se condividiamo la vita di quartiere in modo attivo, anche l’andare in Parrocchia deve essere attivo, eccetera…
Quando diciamo queste cose è sì un “arrenderci”… Però deve anche essere un resistere. Resistenza e resa.
Ma come fare almeno per difenderci, per capire cosa sta dietro a quanto dicono/fanno…?
È necessario almeno un codice di base, un alfabeto.
La necessità e chiara.
Quello che mi è apparso poi è che fare questo “codice” non è per me possibile.
Mi sono scontrato con la mia incompetenza, incapacità, insufficienza.
Mi pare una pazzia. Un errore. Un pericolo.
Poi mi son fatto coraggio ed ho scelto fra le varie cose.
Son qui a spiegarvi alcune cose, che forse vi saranno utili.
Già ci sono un bel po’ di libretti che abbiamo fatto in passato. Ricordo soprattutto questi:
Progetto e programma di preghiera.
Cosa c’è in gioco.
Per non entrare in tentazione.
La trappola.
L’ambiente divino.
L’ora della tentazione.
Corso su come leggere la Bibbia.
Ritiro per le promesse del Battesimo.
Appunti sulla confessione. –
Prima confessione alla luce di Matteo.
Ci sono i cammini sul vangelo di Marco, di Matteo, di Luca e molte altre cose. Di cose ne abbiamo tentate molte.
Sarebbe bello che ciascuno mettesse assieme in un bel fascicolo il tutto. Ma so che rimane “il sarebbe bello”… e null’altro.
In questo tentativo di dare alcuni strumenti per la ricerca di un minimo denominatore comune sulla dimensione contemplativa della vita per delegati del popolo, cercherò di fare due cose:
-
Dare un possibile quadro generale dell’argomento, in due parti:
Prima parte: i due campi della auto-nomia e della teo-nomia con correlazioni.
Seconda parte: il campo della teo-nomia… verso una teo-logia. (Questo è il contenuto di questo fascicolo). -
Dare alcune informazioni su un cammino che tenga conto delle cose dette. (Queste informazioni saranno contenute in un altro fascicolo).
PRIMA PARTE
I DUE CAMPI DELLA AUTO-NOMIA E DELLA TEO-NOMIA
I. Nella nostra storia
Iniziata nel 1955, abbiamo percorso varie tappe prima di renderci conto dei due campi e della loro correlazione. Potremmo – grossomodo – distinguere tre tappe, che ci aiutano a comprendere questo titolo.
a.
Ci fu una prima parte a Pero, dal 1955 in poi.
– Ci fu un inizio in cui siamo partiti mettendo tutto assieme. Essere cristiani vuol dire obbedire a Gesù ed ai Vescovi, e quindi voleva dire una cosa unica, che giungeva fino a sostenere la DC, il giornale cattolico, il partito cattolico, il sesso cattolico…
– La conoscenza di don Milani non ci fece fare molti passi nel capire le distinzioni dei campi, ma ci lanciò abbastanza nel campo sociale.
– La lotta degli elettromeccanici del ‘61 ed il fatto che quasi tutti lavoravano, ci pose in un forte impegno operaio, nella fondazione del nuovo sindacato: la nuova FIM.
– Scoprimmo poi il nuovo modo di intervento nel sociale, con i gruppi di controllo di base. E questo ci pose ben presto la distinzione fra quella che chiamavamo religione e quell’impegno di amore che da essa scaturiva. Da qui venne fuori il «Manifesto delle 4 linee», in cui riaffermavamo l’autonomia delle scelte politiche e del modo di amare… Era una autonomia ancora molto semplice, però affermata con chiarezza. I legami fra i due campi erano di tipo teilhardiano: fenomeno umano – ambiente divino.
I due elementi erano presenti, distinti, correlantesi in modo esplosivo.
b.
Ci fu poi il periodo a Sesto San Giovanni, dal 1970 in poi.
– All’inizio abbiamo riaffermato le due polarità, che poi son giunte al titolo del convegno dei giovani a Taizé: “Lotta e contemplazione”.
Però. in alcuni momenti e con alcune persone c’è stata una tappa in cui in qualche modo dicevamo (non praticavamo) che già la lotta per l’autonomia umana era la realizzazione della teonomia. Dicevamo: la gloria di Dio è l’uomo vivente.
Questo cosa era antipatica a quelli che si dicevano non credenti: era come se volessimo cristianizzare, colonizzare una cosa che era di tutti. Quasi volessimo battezzare per forza…
– Alla fine degli anni ‘70 non abbiamo più dato basi teologiche al nostro agire: comprendemmo abbastanza chiaramente che l’autonomia è vera se si fonda solo su se stessa e basta. Che sta in piedi da sola. Che, se bisogna sostenerla con altri “sensi”, essa non è vera autonomia.
c.
Iniziò così il terzo periodo a Cologno, dal 1980 in poi.
Partimmo con l’affermazione: no all’uso del sacro come momento primario di aggregazione. La gente la si aggrega su problemi, per affrontare i problemi che la condizione proletaria pone, eccetera.
Mettemmo in sordina lo faccenda “religiosa”, dicendo che era una cosa che noi tre preti praticavamo e che era “cosa nostra” che noi avremmo aperto a coloro che desideravano.
– Le metodologie di intervento ora erano più chiare, ed il cammino verso una autonomia personale era aiutato da una conoscenza maggiore della psiche, anche attraverso i nuovi studi di psicanalisi.
– Fu così che arrivammo alla completa affermazione della autonomia in ogni campo, formulando
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-
il progetto personale di vita
-
il documento di base trimestrale personale (Dobatri).
-
L’incontro a Chiaravalle del dicembre ‘87 sancì questo cammino di autonomia, in quanto fu aperto a tutti, credenti e non credenti, ed in quanto da lì si disse che “sul cammino di fede” ognuno doveva arrangiarsi.
– Anche il rapporto con “quale Dio?” che è sul libretto del Dobatri, è in chiave di autonomia.
– Rimaneva però presente in alcuni anche l’altro filone della ricerca di Dio, che non avevamo ancora ben chiaro…
Però le stimolazioni date a voce e la domanda “quale Dio?” hanno portato alcuni ad una ricerca anche in questa dimensione.
I risultati di questo miscuglio li avevo riassunti in due pagine del Dobatri e li abbiamo poi riletti a Pentecoste del ‘91.
Li riporto qui, perchè si abbia memoria:
Ciò che ho visto e vedo nelle persone che incontro è all’incirca questo che tento di accennare velocemente:
- C’è una gradualità di cammino, di tappe, che ciascuno percorre una o più volte. A volte sembra dawero che ad ogni tappa corrisponda un Sacramento. Certamente corrisponde un modo di essere nella vita e un modo di pregare…
Cerco di dirlo come se fosse una sola persona che percorre queste tappe, tanto per esemplificare. - In genere, un giovane di 21/22 anni – che nei due o tre anni precedenti ha fatto alcune serie esperienze di azione, di gruppo, sessuali, meditative – può fare il suo primo progetto personale di vita.
- Nei due o tre anni successivi deve verificare se alcune scelte sono frutto solo di audacia giovanile o se davvero esse possono diventare
– livello e
– condizioni di vita.
La verifica è a livello intellettivo, attraverso serie azioni sociali, sessuali, meditative in cui si impegna con tutte le energie mirando alla riuscita. - Se in questi periodi si mostra in qualche modo reattivo alla parola “rapporto con Dio”, in genere io gli offro un inizio di cammino in cui
– gli faccio esprimere la sua immagine di Dio;
– lo invito a dare del tempo alla preghiera, a partecipare a qualche celebrazione eucaristica, a volte addirittura aderisco al suo desiderio di fare una confessione;
– gli faccio leggere qualche libro. Molto utile è il libro di Martini “Tu mi scruti e mi conosci” (della sua utilità mi sono accorto con meraviglia), il libro sul Vangelo di Marco, il libro su Mosé. Da ultimo faccio leggere “Abramo, nostro padre nella fede”. - Arriva così il momento del Battesimo che è battesimo non di acqua, ma di “sangue”. Questo è il momento chiave di molte vite. È la scelta tra la carriera e il posto meno privilegiato, tra un tipo di rapporto sessuale ed un altro, tra un modo di impegnarsi ed un altro… Impossibile spiegare i molteplici modi… Ma è visibile questo momento in molte vite. Qui si scelgono “condizioni di vita (lavoro, casa, impegno, sesso)” che marcheranno poi quasi sempre tutta l’esistenza.
- Su queste scelte la vita s’incammina verso l’età adulta. Siamo circa sui 23-35 anni. È l’età affermativa.
Uno cresce scontrandosi con le condizioni di vita scelte. Ci sono i figli, la casa, il tempo strappato per l’impegno, la lotta in fabbrica, la stabilità nelle scelte fatte.
In questo periodo, o dopo, avviene ad un certo punto la coscienza dell’essere peccatori salvati, dell’essere non giusti, ma giustificati. Avviene a volte la stessa cosa che a Pietro nella notte del rinnegamento. Questo è un grande passo di maturazione.
L’affermazione delle scelte porta a volte a una certa forma di superbia. Questi colpi sistemano la maturità ad un livello più vero.
È la tappa del sacramento della confessione, nelle sue tre componenti di lode, di vita, di fede. Una tappa che marca non solo l’intelletto, ma l’affettività/identità profonda. - O dopo o durante c’è l’altro grande momento della tentazione di “pentirsi” delle scelte fatte. “Se l’avessi saputo… non è servito a niente… Siamo soli… Sono tremendamente solo… Se ne sono andati tutti… Siamo forse noi ad aver torto, a non aver senso, ecc.
È il grande e bel momento che precede la Pentecoste.
Il lamento e le grida sono simili a quelle che Dario Fo mette in bocca a Maria sotto la croce. È questo il momento della venuta dello Spirito, della Pentecoste, della Cresima come l’essere “mandati”. - Mano a mano che la vita procede diventano chiari i due elementi:
– del dover essere servo inutile (con i vari significati)
– dell’attendere che il Signore venga.
Uno sa che è impossibile all’uomo ogni salvezza, ma sa anche che occorre preparare la strada al Signore che viene, indeducibilmente, improvvisamente.
Oserei collocare qui i due sacramenti del Matrimonio e dell’Ordine.
Qui la preghiera è preghiera di attesa, che significa che tutta la vita è tesa e attesa. A volte perfino viene da sopportare quello che avviene nelle chiese, intendendolo come segno di attesa di qualcosa che manca. - Tante altre cose… Ma termino dicendo quali sono gli indicatori che mi sembra servano a far riconoscere alcuni elementi di queste vite.
Essi sono i cinque voti monastici: la stabilità, la povertà, la castità, l’ubbidienza, la conversione permanente del proprio sentire al sentire di Cristo. Questi cinque indicatori, nei vari significati che prendono nelle diverse vite, sono sorprendentemente utili a riconoscere cosa il Signore opera in loro.
d.
Inizia poi il quarto periodo, soprattutto con il ritorno dal Salvador nell’88, in cui ricercammo seriamente un cammino proprio della fede. La domanda iniziale era: quale modello di Chiesa lo Spirito sta creando in quartiere?… Era un’intuizione, una domanda, un inizio di cammino su cui ora mi sono arreso.
Ci sembrava anche che, in un mondo in cui vengono proposti idoli sempre più favolosi e potenti, lo scegliere ed il conoscere il Dio a cui servire potesse essere un aiuto a non farsi catturare dalla schiavitù degli idoli.
* In questo nuovo camminare, le proposte fatte sono state quelle del Martini, col Vangelo di Marco, Matteo, Luca.
È stato un “accompagnare” un cammino fatto da un gruppo di animatori ormai verso l’età adulta.
In questo camminare, i passaggi interiori riconosciuti sono stati all’incirca questi:
– l’esperienza del sentirsi avvolti, interessati dentro,
– l’abbandono di Gesù nelle mani del Padre,
– il sentir Dio vicino nelle scelte difficili,
– il sentirsi aiutati a leggere meglio il chi sono io, lo “specchio”,
– il sentire-percepire emozioni profonde,
– il cominciare a sentire l’amaro in bocca: cioè l’arrivare a qualcosa di diverso dall’immagine che uno si aspettava…
Da un Dio che ascolta ed esaudisce a qualcosa di diverso… Un Dio sempre più inconoscibile, incatturabile…
* Le tappe della rinnovazione delle promesse del Battesimo e della confessione dei peccati secondo Matteo, sono stati i punti più importanti di questo camminare.
* In questo ultimo cammino abbiamo potuto constatare come sia stata valida la scelta di non prendere “il sacro” come momento primario di aggregazione. Questa scelta ha permesso di iniziare cammini di autonomia umana, in cui alcuni hanno iniziato ad incontrarsi con la Teo-nomia, riconoscendo una certa correlazione ed analogia, una reciproca fecondanza:
– se non parto dalla autonomia dissenziente, la falsità della vita induce questa falsità anche nella teonomia (si veda per esempio il problema della parola “amore”),
– d’altra parte anche l’immagine di Dio che uno ha, interferisce sul cammino di autonomia. Basti pensare alla parola croce: se la si intende male, porta ad una passività terribile.
II. E allora, come possiamo ora ipotizzare la relazione fra autonomia e teonomia?
A.
Nel fax 39 delineavo così il problema:
Siamo umani che si dicono cristiani, cioè seguaci di Gesù di Nazareth, così come ce lo hanno presentato gli apostoli, che lo hanno riconosciuto Messia (il Cristo) dopo la Resurrezione.
Qui i problemi erano molti. Il principale era come mettere in relazione la autonomia con la teonomia. Ossia come relazionare il frutto di quasi 500 anni di cammino nell’occidente europeo per affermare l’autonomia dell’umano e della sua organizzazione dalla religione.
Cammino di quasi 500 anni fatti di lotta contro:
– il soprannaturalismo
– il clericalismo
– la repressione sessuale
– la menzogna della religione apolitica.
Cammino che da noi in occidente, europeo ha dato come frutti il fatto:
– che la scienza è nella ricerca e non nella Bibbia;
– che il potere viene dal popolo e non da Dio;
– che il pane viene dall’economia e dalla politica;
– che l’interno dell’uomo viene dalle relazioni…
Cammino i cui nomi sono memorizzati in Galileo, Rinascimento fiorentino, rivoluzione francese, Marx, Freud…
Pur con tutti i dubbi che ora si pongono su questo cammino, questo per noi europei occidentali fu un cammino di autonomia dell’uomo e delle sue azioni ed organizzazioni dalla religione.
Come relazionare tutto questo con il Dio con cui si relazionò Gesù di Nazareth? Questo era il problema principale.
Per noi in Europa occidentale il problema si pone contro tutti quelli che dicono: guarda che disastro… Occorre ritornare a Dio… Come più o meno dice CL o altri movimenti religiosi similari.
O anche si pone perché questa secolarizzazione aveva portato al “secolarismo” cioè a perdere il senso della relazione. C’era rimasta solo l’autonomia e ci avevano privati della teonomia.
Il punto cui sono arrivato è questo: che se è vero che – come dice Ireneo – la gloria di Dio è l’uomo vivente, questa frase deve ora essere detta anche con la seconda parte; la vita dell’uomo è la visione di Dio.
Ossia mi sono convinto che è arrivata l’ora in cui coloro che si dedicano alla vita dell’uomo e si dicono anche credenti debbono iniziare a lottare per riscattare l’immagine di Dio di cui gli altri si sono appropriati o meglio della cui produzione gli altri si sono appropriati.
Detta in altri termini: gli uomini, oppressori ed oppressi, fanno una produzione dell’immagine dell’Assoluto, di Dio. Occorre risuscitare il dibattito tra questa produzione che gli uomini fanno dell’Assoluto e il modo con cui Gesù si relazionò con Dio. “La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio”.
Su questo punto cerco di puntualizzare tre cose, per non essere frainteso:
a. quello detto sopra non rinnega il fatto che la Rivelazione non è necessaria per vivere individualmente…
Però, senza di essa, il cammino umano mi sembra:
– corra molti rischi di errori;
– sarebbe molto più lungo;
– pochi arriverebbero ad una verità sulla vita; soprattutto i più poveri sarebbero vittime delle manipolazioni degli oppressori.
b. Quello detto sopra mi porta a riaffermare che coloro che lottano per l’uomo vivente possono utilmente specchiare la loro vita nella Bibbia ricavandone luce e forza, incontrando correzione, coscienza più profonda, proiezione più grande alla propria vita ed azione.
c. E d’altra parte la loro vita specchiata nella Bibbia, darebbe un contenuto attuale alla Bibbia stessa.
Con queste tre specificazioni, mi sembra che è arrivato il tempo di lottare per quella che chiamano la nuova evangelizzazione.
Per noi in Italia questo cammino lo abbiamo un poco iniziato al quartiere Stella ed i termini cui eravamo arrivati mi sembra si possano condensare in tre punti:
a. rifiuto del sacro come motivo iniziale di aggregazione. Ci si riunisce non partendo dal sacro ma partendo dalla lotta per definire un nuovo destino alla vita personale e di un gruppo umano.
b. Se qualcuno, in questo cammino, si pone il problema dell’Assoluto, si fa questo cammino con altri strumenti, tenendolo distinto (non diviso ma distinto) dall’altro cammino. La relazione autonomia / teonomia restava cosi un cammino da sperimentare, senza annullare i due termini.
B.
I termini del problema debbono essere capiti bene.
Riporto qui alcuni brani di Kasper, che ci aiutano forse a vedere il linguaggio che ora usano alcuni teologi (Kasper, Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia, pagg. 155-182).
Il problema è comunque oggi importante: basta leggere un po’ il libro: La rivincita di Dio: cristiani, ebrei, musulmani alla riconquista del mondo di Gilles Kepel, Ed. Rizzoli.
Ecco come Kasper presenta il problema:
Il termine e programma in cui si articola la storia moderna dell’emancipazione, e quindi pure la ragione moderna, è ‘autonomia’. Così il rapporto fra teonomia cristiana e autonomia moderna oggi si pone indiscutibilmente al primo punto dell’ordine del giorno teologico.
L’urgenza della problematica moderna dell’autonomia è avvertita anche dal Concilio Vaticano Il, un Concilio che non ha seguito i pronunciamenti ecclesiastici di una mentalità restauratrice, polemicamente e apologeticamente chiusa alla storia moderna della libertà, mentre ha riconosciuto invece due cose: la prima che l’esigenza di autonomia che l’uomo moderno sente può essere fondata sullo stesso messaggio cristiano, la seconda che nell’evo moderno si riscontra un progresso nella coscienza di libertà, quello che la chiesa per tanto tempo ha misconosciuta. Ma il Concilio non si limita a parlare delle leggi che governano i diversi ambiti culturali (scienza, arte, economia, politica, ecc.), ma tratta anche della dignità inalienabile della persona umana e della sua libertà, quella per la cui difesa la chiesa si sente espressamente inviata. Per il Concilio, quindi, teonomia e autonomia non sono realtà contrapposte. Proprio per tale motivo il Concilio prende netta distanza da un umanesimo e da un autonomismo atei. E così facendo esso apre la via ad una precisazione del rapporto fra chiesa e cultura moderna più differenziata, aperta ed al contempo critica, precisazione che ci si attende propria dal riflettere teologico.
L’apertura conciliare ha avviato un dibattito impegnato ed al tempo stesso complesso sul nuovo rapporto fra chiesa e teologia, da un canto, e mondo moderno, cultura, scienza e politica, dall’altro. Si tratta di inculturare il cristianesimo nel mondo contemporaneo. Ovviamente questa tematica si pone in modo differente nelle diverse aree culturali del mondo, ma al centro del dibattito sta sempre la questione del fino a che punto il messaggio cristiano, pur sempre teonomo, possa venire incontro all’esigenza autonoma di una cultura, di determinati interessi politici e, non per ultimo, alla pretesa autonomistica della coscienza umana. La confusione nata da questo interrogativo ha la sua ragion d’essere anche nel fatto che il concetto di autonomia è impiegato secondo accezioni molto differenti.
L’autonomia emancipata, così come ce la propone Nietzsche alla fine dello sviluppo moderno, è un’idea cristiana impazzita. Infatti nello stesso momento in cui si emancipa dalla misura che unica le corrisponde, cioè l’infinitudine di Dio, la libertà diventa smisurata, poco importa se per assumere i tratti dell’inquieto Prometeo o quelli di un Dioniso tutto proiettato nel piacere e nell’entusiasmo di vivere. Ma un uomo assolutizzato, divinizzato, non è più un essere umano. Potrà essere un padrone arrogante che vuol superarsi di continuo, non però uno disposto a scendere sul piano degli altri esseri umani per servirli. Un uomo che voglia essere dio per i suoi simili (homo homini deus) diventerà ben presto un lupo (homo homini lupus). Ed invece l’uomo dev’essere uomo per i suoi simili (homo homini homo), e per esserlo deve riconoscere Dio nella sua divinità, riconoscerlo cioè nella sua misura infinita al di sopra di tutti gli uomini, quella che non si deve rivendicare per se stessa.
Come l’autonomia moderna si è distanziato criticamente da una teonomia cristiana erroneamente concepita, allo stesso modo anche oggi la teonomia cristiana dovrà distanziarsi criticamente dall’autonomia moderna emancipata, per ‘superarla’ nella triplice accezione del termine: cioè criticarne i presupposti e le conseguenze non cristiane (tollere), mantenere le sue latenti ricchezze cristiane (conservare), reintegrarle nella teonomia cristiana (elevare). Otterremmo, forse, anche una nuova collocazione non soltanto della teologia, ma dello stesso cristianesimo nel mondo moderno.
Modelli per una soluzione teologica del problema della autonomia moderna
1. Il modello della restaurazione:
autonomia intesa come abbandono della teonomia
2. Il modello del progresso: autonomia come realizzazione della teonomia.
Specialmente nella teologia sudamericana della liberazione troviamo entrambi gli spunti, non ancora pienamente chiariti sul piano ermeneutico. l’antica distinzione tra sfera naturale e sfera soprannaturale, tra salvezza cristiana e benessere sociale, ora è superata in una nuovo prospettiva integrale, dove s’interpreta la redenzione come liberazione e la lotta per la liberazione è al tempo stesso lotta per il regno di Dio.
Sono tre le domande che vanno indirizzate a questo modello di soluzione progressista:
a. Non si sottovaluta, qui, quel dinamismo emancipatore che contrassegna il processo moderno di autonomizzazione e di emancipazione, e che procede in senso contrario alla teonomia cristiana? Non si semplifica un po’ troppo il contrasto?
b. Non si suppone, troppo frettolosamente, il carattere irreversibile del processo di secolarizzazione, senza tener conto della dialettica dell’illuminismo approfondita da M. Horkheimer e Th. Adorno? Questa, infatti, corre sempre il rischio di rovesciarsi in nuovi irrazionalismi e di sfociare essa stessa nella mitologia e nell’ideologia.
c. In definitiva questo modello non misconosce la divinità di Dio nella sua distinzione infinitamente qualitativa dal mondo o, per esprimerci con un termine scolastico, la sua aseità?
Se però Dio non attesta più ‘qualcosa’ che è già presente nel mondo moderno o nel mondo in generale, lo stesso termine ‘Dio’ è privo di qualsiasi contenuto e consistenza, diventa formula vuota e sovrastruttura dettata dalla pietà. Lo stesso B. Metz formula questa problematica: «Il nome ‘Dio’ garantisce che ‘trascendere’ non si riduca a parafrasi simbolica o riflesso impotente di ciò che comunque succede: sarebbe questo il caso in cui egli realmente fosse un ‘trascendere privo di trascendenza. Se invece il termine ‘Dio’ attesta ‘qualcosa’, e qualcosa di davvero decisivo per il mondo e per l’uomo, bisognerà che dalla rivelazione di Dio derivino pure dei criteri effettivi che non si limitano a confermare e trasfigurare l’autonomia moderna e suoi processi di liberazione, ma ci aiutano a valutarli in modo nuovo.
3. Il modello della correlazione e dell’analogia: autonomia come immagine di teonomia.
Se non si vuole appiattire la differenza permanente tra salvezza e benessere, redenzione ad opera di Dio e liberazione ad opera degli uomini, teonomia e autonomia, né cadere nella sterile soluzione antitetica del modello di restaurazione, non rimane che tentare una rideterminazione del rapporto fra teonomia ed autonomia dove si salvano l’unità e la diversità. E così è possibile ricorrere alle categorie di ‘correlazione’ e ‘analogia’.
C.
Chiariti – più o meno – i termini del problema, faccio uno schema perché si possa avere un piccolo punto di riferimento comune.
Allo schema aggiungo alcune note di spiegazione:
* La Rivelazione è opera di Dio e viene dalla Libertà di Dio.
* l’esperienza di fede è semplicemente l’attuarsi del rivelarsi di Dio.
* Come tener ferma la Trascendenza di Dio anche nel suo venire a contatto con l’umano? Queste note di Sequeri su Barth possono forse servire:
«Il cristianesimo e la teologia affermano la trascendenza di Dio e della Grazia in prima battuta, ma poi, per mancanza di coscienza adeguata di ciò che questo dato significa, la tradiscono in seconda battuta.
Dio, secondo la teologia corrente, è trascendentale prima di essere presente con la sua grazia nell’uomo che viene salvato; ma quando l’uomo è stato salvato allora dove egli cammina anche Dio cammina.
Dio è libero prima di entrare in comunione con l’uomo credente, ma quando è entrato in comunione con l’uomo credente è sufficiente che questi apra la sua mente a Dio, che Dio si fa presente sul banco della sua preghiera. Succede quindi che il Cristianesimo in prima battuta afferma la trascendenza di Dio, ma in seconda battuta la nega tutte le volte che insegna agli uomini un qualche automatismo della presenza di Dio, trascinando Dio dall’alto dei cieli sul tavolo della nostra preghiera, o della nostra riflessione, o della nostra celebrazione del sacramento.
Dobbiamo allora eliminare la seconda battuta, ed affermare semplicemente la trascendenza di Dio?
Barth difende l’incarnazione e l’efficacia della salvezza che raggiunge ogni singolo uomo, e questa è la ragione per cui questo singolo uomo non è perduto.
Tuttavia se non ci si sforza di pensare che Dio continua a rimanere Dio, prima o poi si sarà costretti a parlare di Dio come di un’appendice dell’esistenza storica di questo singolo uomo.
Si dirà che Dio è il fondamento del suo buon operare, e l’oggetto della sua riflessione teorica; Dio diventerà un predicato.
Non è possibile che Dio sia nominato come pura trascendenza e poi diventi un’appendice della parola dell’uomo e della sua esperienza.
Tuttavia non possiamo nemmeno annullare l’esperienza dell’uomo, la sua riflessione, e la sua pratica religiosa. Dalla religione è impossibile uscire.
La necessità di salvare la trascendenza di Dio in seconda battuta senza negare la seconda battuta, è, in altri termini, la necessità di salvare la trascendenza senza negare l’incarnazione.
L’esperienza religiosa non va rimossa, ma va portata come una promessa e una minaccia della fede, senza poter scegliere fra le due.
Dunque bisogna insegnare agli uomini ad appassionarsi all’esperienza religiosa e a non uscirne fino a quando l’ultimo essere umano non ne sarà uscito.
Tuttavia bisogna anche insegnare agli uomini l’ambiguità dell’esperienza religiosa, la sua incapacità a dire realmente chi è Dio e cosa significa che egli entra in rapporto con l’uomo».
SECONDA PARTE
IL CAMPO DELLA TEO-NOMIA VERSO LA TEO-LOGIA
Cerchiamo cioè di vedere qualche accenno di come ci si può incamminare verso un discorso su Dio, almeno con dei paletti che ci aiutino a non andare troppo fuori strada.
1. Alcune premesse
a. Nella nostra società, Dio è stato ed è ancora spesso mobilitato per tante cause. Ci sono gruppi che si appropriano di Lui, ci sono pregiudizi che lo incatenano, ci sono immagini che lo mettono in caricatura. Molti invocano la Sua autorità, lo fanno intervenire in questioni prive di importanza. Nel fax 39 dicevo che molti producono un‘immagine di Dio, sia i poveri sia i ricchi…, sia…
b. Duemila anni fa è apparso qualcuno che ha osato parlare liberamente di Dio: Gesù di Nazareth. Gli specialisti della religione lo giudicarono bestemmiatore. E venne giustiziato. Nell’Occidente mediterraneo io penso che non si possa interrogarsi su Dio, negarlo, affermarlo, senza far memoria di Gesù, che ha messo in crisi le immagini e le pratiche religiose di quel tempo nel mondo ebraico.
c. Per cui penso che interrogarsi su Dio vuol dire entrare in un movimento al centro del quale la figura di Gesù ci fa volgere verso due figure misteriose, che – fin dai tempi della Chiesa primitiva – i cristiani nominavano nelle loro preghiere: il Padre e lo Spirito.
d. Interrogarsi su Dio, non può significare soltanto descrivere come Gesù libera dagli idoli, ma significa anche sforzarsi di stabilire quale nuova figura di Dio Egli evoca nella duplice relazione che suscita
– con Colui che chiama Padre
– e con Colui che Egli dona a coloro che lo confessano come il Cristo: lo Spirito.
Il Dio di Gesù è un Dio differente, di una diversità che lo strappa alla prigionia delle nostre immagini, delle nostre paure, delle nostre forme di preghiera / devozione.
Gesù non deve svolgere il ruolo di una figura mitica, ma deve costringerci a riesaminare da capo il modo con cui Lui si situò di fronte a Dio. Una volta ci sembrava che Gesù fosse una figura mitica, cioè che
– poiché noi avevamo un‘immagine di Dio onnipotente, buono, onnisciente…
– allora Gesù doveva assomigliare a Dio… E perciò…
Adesso la vicenda deve essere vista capovolta. Non è Gesù che assomiglia a Dio, ma è Dio che assomiglia a Gesù…. “Chi vede me, vede il Padre…”. Cerchiamo ora di capire almeno alcuni paracarri in questo cammino di ricerca.
2. Alcuni paletti / paracarri per un cammino di ricerca sul “DISCORSO SU DIO”
LA CRISTO-LOGIA Dl GESÙ Dl NAZARETH E LA TEO-LOGIA
Qui ci sono due libri interessanti che possono aiutare:
Duquoc,“Gesù, uomo libero – abbozzo di una cristo-logia di Gesù”, Queriniana
Duquoc, “Un Dio diverso – saggio sulla simbolica trinitaria”, Queriniana.
Il primo è abbastanza facile. È un libro di Cristo-logia; il secondo è un poco più difficile. È un libro per un passaggio dallo Cristo-logia alla Teologia.
I punti paracarro sono tanti. Ne accenno solo tre:
A.
Gesù ha affermato che la Sua azione era suscitata dallo Spirito e che di conseguenza egli faceva la Volontà di Dio. Il termine “Figlio di Dio” risale all’Antico Testamento, e designava la prossimità con Dio, prossimità che supponeva funzioni come quella di Re o Messia. Questo termine – dopo la resurrezione – rivestirà un significato fino allora insospettato.
Ma Gesù fu messo a morte non perché si era detto Figlio di Dio, e neppure perché insegnava una dottrina diversa, originale su Dio. L’opposizione fra lui ed i suoi oppositori scatta quando Gesù fa svolgere a Dio un ruolo diverso da quello che gli scribi ed i farisei gli facevano svolgere. È attraverso il ruolo che Dio svolge nelle faccende umane, che lo si conosce veramente.
Gesù considera fondamentale mettere in piena luce che Dio viene onorato là dove l’uomo è reso libero.
Ciò che è nuovo nel caso di Gesù è il fatto che egli invoca Dio come Padre sul fondamento di una azione di liberazione.
Con la sua azione egli designa Dio come Colui che spezza ogni oppressione, foss’anche quella della religione. Ed è agendo profeticamente come uno che spezza ogni oppressione, che egli osa invocarlo Padre.
In questa invocazione rivolta al Padre sulla base di una azione liberante, confessando di agire secondo lo Spirito, non esiste forse il germe di un nuovo discorso su Dio? Una dottrina nuova, latente ma reale?
La Chiesa primitiva si trovò di fronte a questa questione.
B.
Fin dalle origini della Chiesa, i cristiani, forti dell’esempio filiale di Gesù e certi del dono del suo Spirito, invocarono Dio come Padre. Essi si rivolgevano a Dio Padre, in virtù di una duplice mediazione che sostenevano con audacia: quella di Gesù, il Figlio, e quella dello Spirito.
I cristiani confermano il loro Dio per mezzo di immagini: esso Lo chiamano Padre, Figlio, Spirito (Soffio).
Un paracarro importante è quello di non confondere la parola Padre con il fantasma paterno, da cui ogni uomo deve liberarsi per diventare autonomo, Il Padre che invochiamo, non è quello prodotto dal nostro “immaginario”, ma quello di cui parla Gesù.
Cerco di spiegare in brevi punti:
– una persona diventa autonoma (relativamente) non attraverso un’innocente crescita naturale. Il cammino verso l’autonomia suppone lotte e negoziati, che l’Io sente come una morte o una ferita. La separazione dalla madre è il primo passo. Poi viene l’accettazione che altri (innanzitutto fratelli e sorelle) condividano l’affetto parentale. Questi due passi esigono un fantasma paterno onnipotente su cui appoggiarsi, fantasma paterno che è il sostituto del desiderio di onnipotenza e invulnerabilità.
Il fantasma paterno è la rappresentazione costruita per economizzare separazioni e ferite, per continuare a vivere il sogno originario di non dover affrontare e assumere alcuna differenza altrui, rivelatrice della propria insufficienza.
– L’immagine paterna di Dio non può sfuggire a questa tentazione. Se si cade in essa, il Dio Padre sarebbe un’astuzia del desiderio arcaico: protettore onnipotente, esso distoglierebbe dall’avventura della vita, dispenserebbe dal dover affrontare ed accettare la propria morte. Ma il Dio così invocato non e Dio: è l’Io desiderante” proiettato all’infinito; è un sostituto del desiderio che nasconde la propria insufficienza.
– Non è lo stesso se Dio è chiamato Padre sulla base della costruzione del proprio sé, per integrazione delle separazioni necessarie, per inserirsi nella intersoggettività, e quindi per orientamento verso l’avvenire. Il Dio così invocato non è più il “fantasma paterno”, ma esprime il riconoscimento che io ricevo la mia esistenza da un Altro e che mi integro in un ordine intersoggettivo, attraverso la mediazione della parola e della legge. In altre parole: accettandomi come umano in mezzo ad altri umani, io effettivamente dò a Dio il nome di Padre.
Questo passaggio dell’uccisione del fantasma paterno è più facile nell’ordine profano, in quanto i padri umani sono facilmente riconoscibili come non onnipotenti, non invulnerabili… In questo ordine dell’invocazione di Dio è meno facile, in quanto uno cerca sempre rifugio nella magia… L’atteggiamento di Gesù verso il Padre e la maturazione dell’autonomia del credente possono però aiutare a non cadere nella tentazione. Il credente riconosce ed invoca Dio come Padre nella misura in cui – agendo in maniera filiale (come Gesù ha insegnato) sulla base del riconoscimento dei propri fratelli – accetta lo propria insufficienza e riceve la promessa di felicità come diversa da quella implicata nella logica del desiderio arcaico.
In definitiva: nessuno guadagna la propria vita e riconosce Dio se prima non accetta di perderla.
C.
In questo cammino occorre essere chiari: questo passaggio dal fantasma al “simbolo vitale” non è il risultato di una conoscenza intellettuale. È innanzitutto una conversione, il frutto di una conversione. È questo uno dei ruoli del terzo termine dell’ordine simbolico del Dio cristiano: lo Spirito.
La figura cristiana di Dio è trinitaria: essa spezza il cerchio della relazione Padre-figlio con un’altra immagine: quello del Soffio o Spirito, di cui “senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va”.
Egli è l’energia che esorcizza il fascino del passato o dell’origine, per proiettare in avanti, verso un avvenire la cui caratteristica principale è la novità.
* L’ossessione dell’origine è di ordine ripetitivo, riproduce ciò che era all’inizio, prima della separazione dalla madre, quando non c’era da sopportare nessuna differenza, né alcuna alterità da affrontare.
Lo Spirito opera come colui che separa… pone la condizione della Promessa.. Non esiste ritorno al paradiso; esso è in avanti. Nell’atto della Promessa, Egli rivela l‘insufficienza del desiderio arcaico, o condizione che la Promessa non sia intesa come riproduzione sottile di esso.
Lo Spirito adempie la sua funzione creatrice diventando così fonte di libertà.
* Nell’atto in cui favorisce il riconoscimento di Dio come Padre, lo Spirito designa gli altri come fratelli e sorelle, nella cui intersoggettività uno si inserisce, accettando la mediazione della parola e della legge; con una legge così fraterna che è quella dello Spirito creatore che crea le diversità, le fa accettare, amare come ‘produzione sua’…
Non abolisce le pluralità e le diversità, ma istituisce le differenze come ricchezze e non come fonte di conflitti.
Suscitando le differenze instaura la comunicazione e apre alla Com-Unione.
L’amore, di cui è fonte, non è una fusione, non mira a ridurre l’altro al proprio desiderio, rifiuta le assimilazioni, respinge il desiderio di essere io il donatore di felicità e di soddisfazione all’altro… Ti rende sì “custode del tuo fratello”, ma
– inclinando il desiderio a riconoscere la propria insufficienza – ti rende capace
– di stimolare la loro libertà
– di ammirare la loro bellezza o di inorridire di fronte all‘oppressione che li sfigura,
– di riconoscere la loro limitatezza (come la tua),
– di accompagnarli nella loro infelicità, senza voler essere tu la loro felicità.
In questo senso è fonte di gioia, in quanto stabilisce te, gli altri, il mondo, nella loro realtà e nella difficoltà di affrontare la contraddittorietà del reale, “certo” della Promessa ricevuta…
…eccetera…
Con questi paracarri, uno può anche iniziare il suo cammino di ricerca, o può continuarlo.
Come fare?
Ci sono delle indicazioni di questo cammino? Certamente.
Nella seconda parte, che riporto su un altro fascicolo, darò una serie di informazioni su un cammino che tenga presenti le cose dette.