Testimonianze


 

Appena terminata una breve esperienza di amministratore parrocchiale, e dopo aver constatato che forse non sono adatto per compiti di gestione di una Parrocchia, mi è venuto spontaneo rifarmi ad una lettera scritta di getto e inviata a quella buon’anima di mia zia suora in quel di Firenze e molto preoccupato della mia sorte finale.
Per l’ennesima volta mi aveva fatto notare, anche mettendo in crisi i nostri buoni rapporti ad altri livelli, quello che mi scrisse inviandomi gli auguri pasquali: “E la tua unione al Vescovo? Mi ricordo la cerimonia della tua ordinazione e dell’obbedienza che hai promesso per sempre! Ripensa a quell’abbraccio, a quella tua disponibilità intera e incondizionata alla Chiesa, a tempo pieno! Il tuo periodo di esperienza l’hai fatto e a lungo; ritorna alla parrocchia che aspetta! Penso che sarà un passo che ti richiede rinuncia e volontà ferma, ma quanto sarai contento dopo! Penso che più aspetti e più difficile è la decisione. Chissà che non sia proprio questo anno a segnare questa bella data!”.
Rispondevo: ricevo la tua ennesima lettera e mi sento un po’ in colpa ogni volta che mi scrivi; ma nello stesso tempo non mi nasce nessuno stimolo serio a rispondere, proprio perché voglio continuare a volerti bene e non voglio darti motivo di pensare che non ti ricordo. Tuttavia mi è penoso ritornare ci rifare discorsi e proclamazioni, che considero portatori di tristezza e di divisione. Tu lo sai bene che la preoccupazione che mi sembra centrale in tutti i tuoi inviti, è anche mia, ma in modo del tutto secondario, rispetto a quello che considero il dono più grande della mia vita: l’aver incontrato Gesù Cristo, l’aver cercato di essergli fedele, l’aver scelto, in suo nome, di essere prete e di esserlo in profondo servizio ai poveri, come lui mi ha fatto capire e come è profonda esigenza dell’essere suoi.
Mi comunichi sempre tanta tristezza quando, parlando di Cristo risorto, mi domandi di essere contro la mia vocazione, che considero un dono profondissimo dello Spirito: di vivere solidale con i più poveri, i più sprovveduti, coloro che sono spesso lontani anche dalla preoccupazione di incontro della Chiesa. Tu parti sempre dal presupposto che io sono “lontano”, che devo tornare; e io sinceramente non so proprio da dove e dove dovrei tornare.
Forse tu intendi che io devo approfondire il mio impegno di fedeltà a Cristo, alla Chiesa, ai poveri, al servizio umile e coerente con queste scelte, nel mio vivere, nella mia Chiesa diocesana, nel mio incontro con i lavoratori, gli anziani, i pensionati, i giovani, che incontro quotidianamente? Però non si sente molto dalle tue lettere e mi lascia perplesso.
Mi auguro che la tua preghiera davvero sia di richiesta allo Spirito, che mi aiuti a fare la sua volontà, con sempre maggiore fedeltà. Ritengo che questo faccia parte anche delle intenzioni del mio Vescovo, che mi ha dato mandato, che mi ha unto le mani, mi ha inviato, mi ha chiesto fedeltà. Tu lo sai bene, e amerei vedertelo scrivere, che alla fine risponderemo insieme (vescovi, preti, suore, papa e fedeli) dell’obbedienza e della fedeltà. Ma al Signore, al suo piano, al suo popolo, al suo Regno (Atti 4,19; 5,29).
Non sono certamente qui a difendere tutte le mie decisioni, come provenienti da Dio e dalla sua volontà, ma per riaffermare che questa è la mia costante preoccupazione e mi affatico e corro e prego con i miei chilometri di macchina e con le miserie che incontro e che ascolto, alla ricerca di questa fedeltà a Cristo e ai suoi.
Penso all’importanza di questa ‘unione’ al Vescovo, che tu metti al centro delle tue grandi preoccupazioni e che dai per scontato che non ci sia. Penso di voler bene a lui, come voglio bene a te, ma senza troppi sentimentalismi, e senza unanimismi per “non farci soffrire”. Il Signore domanda, credo, a tutti noi di essere fraternamente adulti e capaci di camminare insieme in modo da sollecitarci reciprocamente a essere fedeli al suo “mandato” ed evangelicamente esigenti con noi stessi, con la nostra coscienza e con l’impegno affidatoci. C’è un primato della coscienza e dello Spirito, che nessuno può sostituire, neppure il papa, e che Cristo ha difeso con la sua morte e ha riempito di speranza con la sua resurrezione.
Scusami lo sfogo, ma ti vorrei sentire più risorta e più piena di speranza: lo Spirito del Signore non è impoverito dalle diversità, anzi sa fare di esse l’unità, al di là e al di sopra di tutte le nostre paure e le nostre ansie inutili (Atti 2), verso la gioia in pienezza (Gv. 14).

Giancarlo Ruffato


 

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