Con i carcerati (2)
A proposito del pestaggio di Bruno Salvatore
nel carcere di Sollicciano
Diamo risalto a questa lettera aperta del volontario Bruno Borghi che parla di un recente episodio di pestaggio che si è verificato nel carcere di Sollicciano (uno dei numerosi episodi che si sono succeduti in questi anni e mesi sia nelle sezioni del penale che in quelle del giudiziario).
La domanda che la lettera pone agli altri volontari, ai medici, ai magistrati di sorveglianza, ai cappellani, agli operatori (direttori, educatori, ispettori, agenti di custodia); ai politici, ai singoli cittadini è: “Possiamo tacere di fronte a queste violenze?”.
Speriamo che altre di queste numerose figure citate sopra vogliano scrivere e intervenire. Apriamo un dibattito.
Alla Dott.ssa Maria Grazia Grazioso
Direttrice del Carcere di Sollicciano, Firenze.
Ieri ho ricevuto una lettera da Bruno Salvatore. È detenuto nel carcere di Poggioreale a Napoli e vi è stato trasferito da Sollicciano nei giorni scorsi. Lei conosce questa persona e sa anche quello che ha subito il martedì 13/7/’99. Alcuni agenti, tra cui un graduato, lo hanno massacrato di botte davanti a decine di testimoni. (Un episodio analogo si è verificato anche il venerdì 16/7/’99). Questi detenuti e tanti altri (in tutti sono più di 120) hanno sottoscritto un documento di solidarietà con Bruno Salvatore e di condanna di quello che hanno visto perché, essi dicono “qualunque cosa avesse fatto in precedenza quel detenuto, è chiaro che quella violenza era del tutto gratuita e dunque illegale. Torniamo a chiedere che tali episodi non abbiano più a verificarsi”.
Anch’io mi unisco pubblicamente alla solidarietà e alla protesta.
Ho parlato con Bruno Salvatore una settimana dopo il fatto e sono rimasto impressionato dalla sua faccia ancora tutta gonfia, con la bocca e i denti doloranti, ma soprattutto perché l’ho visto terrorizzato e in uno stato di depressione e disperazione. Non so se lei lo ha visto prima di me, però ho letto le dichiarazioni che ha rilasciato alla stampa: “c’è un rapporto firmato da agenti di polizia giudiziaria, già inviato alla Procura, è questo che conta”. Altre volte, quando ho parlato e protestato con lei, per il ricorso, da parte di alcuni agenti, a questi sistemi violenti, lei ha tentato una spiegazione, ha ammesso che il carcere stesso è una struttura violenta e mi è sembrato di cogliere una comprensione e un’attenzione alle vittime di tali violenze. Ora invece vorrebbe far credere, a noi ingenui, che quello che conta è un rapporto della polizia giudiziaria. E le 120 firme di solidarietà?
E il gruppo di detenuti che hanno visto sia l’episodio del 13/7 che quello del 16/7? Forse lei ha ragione. Il rapporto a cui si riferisce ha contato tanto, che Bruno Salvatore è stato trasferito a Poggioreale e, da quel carcere, mi scrive disperato perché sente, giustamente, di aver subito una seconda ingiustizia e un’altra violenza. E anch’io mi domando: “perché lui, la vittima, l’offeso e non chi ha usato violenza? Perché, dopo le botte, un provvedimento che lo ha gettato nella disperazione e nell’angoscia? Nella sua vita dolorosa, poter fare i colloqui con la mamma e poterla aiutare economicamente col suo lavoro in carcere era tutto. E questo tutto, col suo trasferimento a Napoli, non c’è più. E il solo risultato che conosciamo nonostante la denuncia contro gli agenti, nonostante che il tribunale di sorveglianza sia stato informato di tutto, nonostante il referto dei medici che spero, in questo caso, sia stato corrispondente alle condizioni fisiche e psichiche di Bruno Salvatore. (Qualcuno, in casi simili è stato visto dai medici solo dopo qualche giorno).
Mi è stato detto che non tocca a me, non tocca a noi, assistenti volontari, occuparci di queste cose. A chi tocca allora? Parli lei, spieghi perché è avvenuto e avviene tutto questo. Attraverso il loro sindacato, parlino gli agenti che, nella grandissima maggioranza, svolgono il loro difficile lavoro, senza ricorrere a tale violenza. Parlino i medici, che vedono sui corpi e nella psiche delle persone i risultati di questi sistemi. Parli il tribunale di sorveglianza, almeno quando è informato sui fatti! Parli il Cappellano, che non può non sapere di questa violenza, a meno che non riesca a conciliarla col vangelo. Parli chi ha a cuore il rispetto dei diritti di ogni persona anche se è in carcere.
Fateci sapere come Bruno Salvatore si è procurato quella faccia ancora gonfia, dopo una settimana. Fategli un minimo di giustizia non trasferendolo a Poggioreale ma togliendo dal carcere quei pochi che usano questa violenza.
Se potessimo svelare la realtà del carcere ci accorgeremmo che in certi settori, per esempio al giudiziario, si ricorre a sistemi violenti con tanta frequenza. Se poi pensiamo che la denuncia sporta da Bruno Salvatore e le sue ragioni si perderanno nel tempo e nessuno si ricorderà più di lui, come si fa noi assistenti volontari a occuparci di altro? Quando lo incontro, di cosa posso parlare con lui se non delle sue paure, delle percosse e delle umiliazioni subite?
Un carcere così, un carcere che ricorre a questi sistemi, è un fallimento. Vuol dire che non ha un progetto, non ha una speranza. E allora a che serve?
Io sono tra quelli che sognano una società senza carcere o almeno senza un carcere come quello che abbiamo, un carcere cioè organico ad una società classista e violenta nei confronti di chi non rispetta le regole e le leggi di questa stessa società. E invece mi trovo davanti agli occhi la faccia gonfia di un transessuale, colpito e umiliato forse anche per questo.
Se la direzione del carcere si rifugia nei comunicati degli agenti, se tacciono i medici, il tribunale di sorveglianza, i cappellani, persone e strutture a garanzia dei diritti di ogni persona detenuta, anche se non tocca a me, preferisco unirmi ai tanti detenuti che hanno parlato, che hanno solidarizzato e hanno detto “basta” con la violenza.
Bruno Borghi