Memorie vive: Gianni Chiesa (2)


 

Caro Gianni, non sento molto la tua mancanza, perché umanamente e quindi affettivamente viviamo la comunione che la Chiesa ci ha aiutato ad amare. Le varie vicende delle nostre vite ci hanno trasmesso tanti doni, ci hanno aiutato a coltivare tanti desideri, ci hanno portato le ondate dei litigi che preparano la tranquillità e la vastità degli oceani.
Non potevo credere che tu te ne andassi e molto più ancora mi dava fastidio il sentire ogni sera, dal bollettino di Elena, la tua situazione che ci faceva capire l’imminenza del tuo nuovo viaggio verso una chiesa che forse non è più in uscita e che sicuramente abbraccia te e i tuoi cari e soprattutto purifica il tuo cammino su questa terra.

Ci voleva Papa Francesco a descrivere con due semplici parole il tuo pellegrinaggio. “Chiesa in uscita”, perché tu ora hai compiuto il tuo cammino: sei uscito per entrare definitivamente in quel mondo che insieme, tanto insieme, abbiamo cercato di servire e di costruire. Ti autorizzo a dirlo al Padre Eterno e magari con l’assicurazione di Gesù che è stato proprio così. Ma c’entra anche lo Spirito perché posso certificare che abbiamo camminato insieme, nella luce dello stesso Spirito, anche se in ore notturne e in viaggi azzardati e talvolta piuttosto pericolosi.
Era il minimo dire che la nostra chiesa non poteva sopportare l’impeto delle uscite. Ma poi, tutto sommato, senza voltarsi indietro per non diventare statue di sale, si continuava a procedere nel nostro cammino. Era sempre bello incontrarsi e non ci interessava né rivangare il passato, né modellare il presente secondo le nostre visioni, anche se diverse volte nei nostri incontri questa tentazione faceva capolino. Devo dire che non sono tanto contento che tu sia partito così gravato da tante sofferenze e soprattutto sedato. Non capisco come Gianni Chiesa, il mio amico possa essere sedato: sei Chiesa e in più sei chiesa in uscita e questo resta sia nella mia immagine, sia nella serenità del mio cuore.
Mi ricordo di averti accolto nel Seminario dell’America Latina, venivi già dal tuo seminario di Bergamo dove giovane adulto eri entrato per diventare prete. Ma interviene qui la preghiera del buon Ebreo: Questo mi hai donato e mi sarebbe bastato. Ma una costante della tua vita ci ha sempre messo dinnanzi la tua voglia e i tuoi vari imperativi categorici. In effetti il Seminario dell’America Latina era fatto di tanta amicizia, di comunione vivace tra formatori e studenti. Naturalmente si cercava allora di capire perché dovevamo essere amici e come in tutti i seminari ci si aiutava a scoprire che tutto veniva dall’amico Gesù. È rimasta questa luce a fare pienezza di vita e a farti inflessibile nelle tue scelte. A ben vedere era questo che ti interessava e anche, almeno così io ho capito la tua vita, ti ha portato a trascorrere il periodo vissuto tra noi in un clima che descriverei con una sola parola: fedeltà.

Naturalmente sempre più ci siamo resi conto che nelle nostre vite la fedeltà è dono, dono del Padre fedele ai suoi figli, dono di Gesù fratello nostro per sempre, dono dello Spirito inflessibile e impegnato a condurci per le sue strade. Era naturale che la tua prima tappa, dopo qualche momento normale, andasse oltre. Per ogni vita ci sono i confini, ma ci sono anche quelli che continuamente varcano questi confini. Così, dopo qualche tempo Gianni Chiesa ha lasciato parrocchia e normalità di vita clericale per inserirsi nel mondo operaio. Era un mondo sconosciuto alla chiesa, tante volte lontano da ciò che si chiamava allora giustizia sociale, un mondo fatto a piramide dove era chiaro che c’era chi comandava e chi era costretto ad eseguire.

Ma la tua naturale inclinazione non ti permetteva di restare tranquillo e perciò subito ti sei immerso nella lotta operaia. Così sei diventato operaio a tutti gli effetti, restando annunciatore del Vangelo a tutti: padroni e servitori, preti e laici. Nella chiesa di Bergamo Gianni Chiesa per fedeltà al Vangelo costituiva un problema. Non era una figura accomodante e non si poteva nemmeno ignorare la sua presenza così malefica da portarti a ricevere la paga senza andare a lavorare in fabbrica. Naturalmente la Chiesa c’entrava non solo col tuo cognome, ma anche per quella che allora era una testimonianza singolare. Non è detto che tu non fossi capace di accomodare anche il Vangelo alle tue scelte, ma resta anche vero che un po’ alla volta anche la Chiesa per bene è stata indotta ad occuparsi di coloro che del Vangelo avevano grande bisogno: penso non solo agli operai, ma a tutta la buona borghesia che si sentiva a proprio agio nelle varie istituzioni ecclesiastiche. Tutti ti stimavano, ma con tutte le riserve del caso. Così camminava allora la Chiesa che non aveva nessuna voglia di fare certe uscite e vedeva quasi con paura questi fenomeni come i preti operai.

Ma c’era ancora molto cammino da fare e la tua voglia di andare oltre doveva in qualche modo esprimersi e allora sei arrivato a costruire nuove realtà di
accoglienza dei più poveri. È bello qui sottolineare che non facevi il benefattore e che all’interno di tutte le nostre istituzioni civili, per modo di dire, era urgente un servizio di ospitalità e di amicizia con coloro che di questi doni erano privi.
Regolarmente ci si trovava a donarci quelle luci che portano speranza.
Mai è passato un anno senza rivederci e sempre il tuo riferimento alla parola di Dio penetrava nella tua persona e nell’amore verso questa parola diventava attrattiva e servizio.

Così i nostri incontri erano gratificati da un’altra parola che qualificava la tua vita: la parola amicizia. Rivedendo gli incontri, gli intrecci di pensiero, le scelte vissute insieme pur nella varietà delle nostre vite, mi resta tanta nostalgia e tanto desiderio di dirti che te ne sei andato, però devo anche ringraziare il Signore che sei stato fedele sempre alle parole di Francesco: Chiesa in uscita.
Grazie Gianni e naturalmente aiutaci a camminare: restaci amico fedele e aiuta anche noi a essere fedeli.

 

Olivo Bolzon


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