— ricordiamo
David Maria Turoldo

Dopo 20 anni dalla morte, la memoria corre a due persone che hanno profondamente segnato la nostra generazione. Siamo andati a cercare tra le tante pagine che ci hanno lasciato in eredità e abbiamo scelto queste due che vi proponiamo.
La prima è presa da uno degli ultimi libri di Balducci, l’Uomo planetario. Ci parla del necessario salto che le religioni tutte devono fare dinanzi al processo di unificazione che, nel bene e nel male, è in atto nel mondo. L’evento narrato assume la figura di un simbolo che, dentro la tragedia, enuncia un futuro. E’ parola profetica e per questo perfettamente attuale. Ci sta ancora davanti e quindi è capace di illuminare il nostro cammino.
L’altra l’abbiamo presa tra le moltissime poesie che Turoldo ha composto. Questa era sbocciata in occasione del settantesimo compleanno di Benedetto Calati, camaldolese. E’ carica di dolore quando parla del Concilio: “uno scialo di speranze”, ma non è disperata. Occorre riprendere a comporre “nuovi cantici perché la terra torni a sperare”.Ancora una volta ci si affida alla debolezza della parola che diventa canto.
Espressioni vive di una speranza mai perduta. Testimone da afferrare con le mani, generazione dopo generazione, nella corsa della vita.
A BENEDETTO CALATI
David Maria Turoldo
Perché la terra torni a sperare
Benedetto, monaco dal volto d’argento,
fratello mio, tempi malvagi
ci sono toccati in sorte: stagioni
che non accennano a mutare.
Non già solo questo
vivere, ma neppure il morire
è ancora umano: la stessa
Morte non è più sincera.
Da lungo sono spenti i candelabri,
il baluginìo delle lampade all’altare
ancora più agita le ombre per tutto
il tempio: è notte, fratello! Una
grande notte incombe sulla Chiesa.
Il concilio, uno scialo di speranze.
Sempre più rara, dovunque, la Parola;
mentre di inutili parole, a ondate,
rimbomba il mondo.
Non un profeta che alzi il vessillo
della salvezza; gli uomini della pace
sono subito tutti uccisi:
tutta la terra è un arsenale di morte.
Nel denso smarrimento, che almeno
sopravviva la nostra amicizia:
questo evento salvatore di essere
amici in tanto deserto. E tu,
almeno tu, l’Anziano dei secoli,
quale tuo pastorale più vero,
brandisci il cero della pasqua
e innalzalo sul tuo monastero
a rompere la notte:
che anche da lontano guidi
i molti amici che risalgono
le antiche vie dei monaci
nel cuore della foresta
che pur tramanda ancora la eco
di salmodie mai interrotte.
E lassù, insieme, da cella a cella
componiamo nuovi cantici:
perché la terra torni a sperare.
Gli amici ricordano…
Ernesto Balducci e David Turoldo 20 anni dopo…
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