Scheda
Per la quasi totalità dei PO italiani il Concilio Vaticano II è stato il punto di partenza nel cammino che ci ha condotto a condividere la condizione operaia. Ci riconosciamo in una storia comune, in una comune ispirazione, ma non siamo un “movimento” o un’“organizzazione”, almeno nel senso che si è soliti attribuire a questi termini. Il pluralismo che ci caratterizza può essere giudicato debolezza, oppure ricchezza. Di fatto in Italia questo nostro modo di esistere rappresenta l’unica possibilità di presenza.
[…] Ci pare importante fare una premessa che, pur limitata al solo versante ecclesiale, nello specifico italiano, renda ragione, almeno in parte, delle diversità presenti tra i PO del nostro paese.
1) Il Vaticano II rappresenta un momento di rottura dal quale si dipartono alcune transizioni o spostamenti epocali di importanza decisiva:
— dalla chiesa cattolica quale società perfetta i cui confini circoscrivevano la salvezza di Dio, al riconoscimento delle altre chiese e comunità cristiane quali espressioni dell’unica chiesa di Cristo;
— dalla chiesa centralizzata all’emergere delle chiese locali;
— dalla chiesa semplicemente identificata come società gerarchica, al recupero della figura biblica e storica di popolo di Dio;
— dal monolitismo teologico alla ricchezza pluralistica delle riflessioni critiche sul cristianesimo;
— dalla semplice dipendenza dei laici nei confronti del clero, ad una loro presa di coscienza e responsabilità con processi di autonomia sul piano culturale, politico, teologico, etico…
— da una chiesa di fronte al mondo ad una chiesa nel mondo, che deve stare con gli ultimi del mondo.
Quest’ultima transizione è quella che più direttamente ha coinvolto i PO. Infatti l’essere preti significa continuare ad essere organici alla struttura gerarchica della chiesa; l’essere in condizione operaia vuol dire essere integrati in una situazione materiale e spirituale che possiamo definire mondana, caratterizzata da elevati livelli di conflittualità. Questa doppia appartenenza comporta in se stessa una inevitabile e mai sopita tensione tra elementi fortemente disomogenei e storicamente in attrito; e ne derivano sintesi personali o progettuali tutt’altro che univoche.
Parlando di transizioni intendiamo “operazioni in corso”, non qualcosa di compiuto: un cammino che conosce accelerazioni, retromarce, battute d’arresto, movimenti paradossali, ecc.
2) In Italia queste transizioni acquistano dei caratteri specifici per dei motivi tipicamente italiani. Ne elenchiamo alcuni:
— l’inevitabile associazione chiesa-vaticano, potere spirituale e secolare esercizio di potere temporale, direttamente o indirettamente esercitato, presenza capillare delle parrocchie, l’insegnamento religioso nelle scuole, le opere sociali, il concordato… sono elementi che danno un volto particolare, forse unico, al cattolicesimo italiano.
— la forte tradizione socialista, con un P.C.I. e una C.G.I.L. (con iscritti del P.C.I., P.S.I. e di nuove formazioni di sinistra) ha esercitato, e tuttora esercita, un peso decisivo nella classe operaia e nel mondo del lavoro. Pur non essendo queste le uniche forze in campo nell’organizzazione dei lavoratori, è chiaro che per i PO hanno rappresentato “quel mondo” con il quale era ed è inevitabile entrare in rapporto con l’inserimento o con il confronto.
3) Nel recente convegno di Loreto sulla “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini” sono emerse chiaramente due anime del cattolicesimo italiano:
— quella presenzialista o intransigente, la quale lamenta che la comunità cristiana italiana “ha introiettato in sé alcuni punti di vista della cultura laicista, in particolare la lettura della storia moderna e contemporanea proposta dalla cultura illuminista e marxista in termini di soggettivismo, storicismo e ateismo. In conseguenza di ciò il cattolicesimo si è dicotomizzato, ponendo da una parte la vita religiosa, dall’altra la vita empirica”. Quello che propone è una ricomposizione dell’identità cattolica in tutte le espressioni della vita soggettiva, culturale e pubblica.
— Quella della mediazione o dialogante, che propone un taglio non integrista verso le realtà altre, non cristiane: “invece di perdersi in recriminazioni e condanne, la chiesa italiana sente sempre più urgente il dovere di incarnare il dono divino della riconciliazione nelle molteplici condizioni umane nelle quali si trova a vivere” (card. Ballestrero – da “Il Regno” del giugno 1985). E’ la continuazione della cultura della mediazione incarnata da Paolo VI.
— una terza posizione, non espressa a Loreto, ma presente tra credenti-militanti, si potrebbe definire del paradosso. Viene sottolineato il carattere paradossale del cristianesimo, non rappresentabile, nella situazione italiana, nè in un sistema organico ed integrale e neppure attraverso tentativi di mediazione.
4) Noi pensiamo che questo insieme di cose attraversino anche i PO italiani. Indichiamo alcune tipologie o profili di PO da intendersi non come schemi fissi, quasi fossero realtà meccaniche, ma come descrizioni di caratteri prevalenti, talvolta in vitale combinazione tra loro.
a) PO come ministro in condizione operaia per far nascere la chiesa in classe operaia. E’ forte l’attesa del riconoscimento – da parte dell’autorità della chiesa – della specificità e legittimità di questo particolare esercizio del ministero sacerdotale.
b) PO nel ministero pastorale ordinario (parrocchia). Guadagnarsi da vivere con le proprie mani per rendere libero, povero e gratuito il ministero, inserito nel quadro normale della pastorale. Una variante di questa impostazione ci pare di riscontrarla nel rapporto particolare tra PO e comunità di base.
c) PO che vive la condizione di lavoro e militanza senza avere particolari gruppi cristiani operai a cui riferirsi, senza alcun inserimento nella pastorale normale, avendo quale punto di convergenza ecclesiale il momento misterico dell’Eucarestia e della Parola.
d) PO totalmente assorbito nella condizione e militanza operaia, testimone della estrema scissione esistente tra prete e operaio e del paradosso della loro associazione.
Ora diventa relativamente agevole accennare ai rapporti che concretamente si sono realizzati tra i PO e:
5) il laicato cattolico:
quelli che si riconoscono in a) privilegiano il rapporto con gruppi di militanti cristiani (es. JOC) con riferimento alla classe operaia.
I PO che sono riconducibili al b) hanno un rapporto con i laici credenti più sotto il profilo della loro appartenenza al popolo che per una loro connotazione di classe.
Negli ultimi due tipi prevale la presenza personale in ambiente non credente, o almeno non praticante. Manca, quindi, un vero rapporto organico ed organizzativo con un laicato cattolico. I PO del c) vivono il riferimento con i credenti nel mistero centrale della chiesa che è costituito dalla Eucarestia ed annuncio della Parola.
6) il clero diocesano ed i religiosi:
anche prescindendo dai PO, ci pare che gli incontri e le collaborazioni tra clero presentino non poche difficoltà.
Generalmente i rapporti tra PO, preti e religiosi, ove avvengono, hanno più carattere personale, di conoscenza o di amicizia, che di comune progettualità e collaborazione. Ci sembra che molto raramente il problema o la contraddizione espressi dal PO vengano assunti come elementi di dialettica e di confronto.
Riteniamo che la nostra stessa esistenza sia una dichiarazione delle contraddizioni che ineriscono alla figura storica del prete.
7) i vescovi:
distinguiamo il rapporto con i singoli vescovi diocesani e quello con la commissione CEI per i problemi sociali e del lavoro.
In passato c’è stata un’importante collaborazione tra i PO torinesi e il card. Pellegrino; attualmente si stanno realizzando periodici incontri tra il card. Martini con i suoi collaboratori ed un’équipe di PO milanesi. Due anni fa il card. Ballestrero di Torino ha ordinato prete un operaio della FIAT e la stessa cosa ha fatto il vescovo di Vittorio Veneto con un diacono che da molti anni lavorava in fabbrica. Ma, a parte questi fatti importanti, in generale non si può parlare di una vera collaborazione tra vescovi con organismi diocesani e PO. Anche se sono diminuiti episodi di conflittualità rispetto agli anni sessanta, non si è andati oltre una tolleranza. Nel citato convegno di Loreto la commissione 14, indicando “i problemi più dolorosi e le situazioni più delicate”, elencava alcuni casi di “appartenenza con riserva alla chiesa… quelle dei divorziati che hanno subito il divorzio, dei sacerdoti che vivono esperienze laicali, dei preti operai ad esempio, e quelle di persone che, anche psicologicamente vivono in condizioni patologiche o marginali”.
Con la commissione nazionale CEI per i problemi del lavoro ci siamo incontrati alcune volte ed abbiamo appena ricevuto l’invito per la prosecuzione degli incontri.
8) le organizzazioni sindacali:
parte di noi aderiscono alla CISL, la cui base per una buona percentuale proviene dal mondo cattolico, parte alla CGIL. La tendenza generale è quella di privilegiare, da parte dei PO, più gli incarichi che consentono un diretto e paritario rapporto con la base, che non posti di responsabilità, fuli-time, all’interno delle organizzazioni.
In questi ultimi anni molti nostri compagni a seguito delle modificazioni intervenute (cambio del tipo di lavoro, licenziamento, cassa integrazione), hanno allentato il rapporto organico col sindacato. Altri, per il tipo di lavoro che svolgono (artigianato, agricoltura, lavori di fortuna) praticamente non hanno alcun legame con le OO.SS.
9) l’opinione pubblica:
a livello di massa è costruita dall’industria dell’informazione che ha interessi assolutamente divergenti da quelli che noi esprimiamo. In genere il messaggio religioso si concentra sulla figura del Papa, i suoi viaggi, sulla politica vaticana (concordato) privilegiando in maniera assoluta gli aspetti ufficiali della chiesa.
Mentre negli anni settanta vi era uno spazio per esperienze di base, e in questo quadro ci poteva talvolta essere l’attenzione puntata sui PO, negli anni ottanta il messaggio dei mass-media si concentra sugli aspetti istituzionali oppure folkloristici. Per quanto ne sappiamo radio e TV private cattoliche ignorano la nostra presenza.
Se a livello di massa questa è la situazione, ad un livello più profondo si sta verificando un fatto interessante: lo scorso anno sono stati pubblicati due volumi ed un quaderno di spiritualità con testimonianze, studi e riflessioni dei e sui PO.
10) Concludiamo questa comunicazione con due riflessioni:
la figura del PO ha un senso solo se propone interrogativi radicali, con la stessa decisione e nettezza con la quale si è partiti entrando nella condizione operaia. La nostra vera preoccupazione non ci sembra debba essere l’assillo per il nostro futuro o per chi verrà dopo di noi, quanto di essere fedeli nella proclamazione fatta con la vita e la parola dell’assoluta novità della giustizia del Regno di Dio che il Vangelo continuamente annuncia.
Il senso della nostra vita non ci verrà dal vedere con i nostri occhi chi sa quali cambiamenti, ma dalla consapevolezza di chi sa che sta giocando per sé e per gli altri una carta importantissima, che sta piantando un fiore bellissimo, che sta camminando per un sentiero inesplorato, che sta aspettando con la certezza della sentinella l’alba che spunta.
Roberto Fiorini
Scheda presentata all’incontro europeo dei PO tenuto a Lione il 15-16 marzo 1986