Voci dalla stiva



Nella mente ombelicale ed autoreferenziale del premier Renzi finalmente il Jobs Act comincia a dare i suoi frutti: in Italia non ci sono più precariati; cancellati per legge, assieme all’art.18!

Nella realtà, sempre in Italia, la disoccupazione continua a crescere fino al punto di posizionarci nei primissimi posti in graduatoria. Quanto alla disoccupazione giovanile siamo al secondo posto, dopo la Grecia. Viene quasi spontaneo pensare ad una logica conclusione: i precari sono diventati disoccupati!

Devo riconoscere la mia scarsa competenza in fatto di economia e in riferimento al mondo del lavoro e della relativa legislazione che regola il tutto. Ma mi rode e corrode la domanda del perché mai l’abolizione dell’art. 18 debba cancellare la precarietà. Quando sappiamo che in Italia la precarietà, già diffusa in prece­denza, è diventata norma con la legge 30 del 2003, la cosiddetta «legge Biagi» di riforma del mercato del lavoro.

«Con essa si legalizza la precarietà, e viene reso possibile affittare, trasferire, svendere i lavoratori come merce, a vantaggio del pro­fitto. Obiettivo di fatto di questa legge è l’eli­minazione del conflitto di lavoro collettivo, l’indebolimento della forza dei lavoratori, il ridimensionamento del sindacato ad un ruo­lo subordinato e di appoggio a tale politica, l’abolizione della contrattazione collettiva, trasformata in rapporto individuale tra la­voratori ed azienda».

Questa situazione veniva così denunciata da Romolo Menighetti ben dieci anni fa (cfr: Rocca del 15 Luglio 2005), ad appena due anni dalla detta “Legge Biagi”, che aggiungeva: «Con questa legge, in forza dello staff leasing (somministrazione di manodopera) il lavo­ratore diventa merce liberamente trattabile attraverso una nuova figura imprenditoria­le, quella del commerciante di lavoro altrui, che trae profitto dal lavoro degli altri attra­verso un’attività di interposizione permanen­te. Questo imprenditore assume lavoratori, i quali però svolgono la loro prestazione sot­to la direzione e il controllo di un’impresa terza. Insomma, due padroni invece di uno».

Con quella legge, in forza dello staff leasing (somministrazione di manodopera) il lavo­ratore diventa “merce liberamente trattabile” attraverso una nuova figura imprenditoria­le, quella del commerciante di lavoro altrui, che trae profitto dal lavoro degli altri attra­verso un’attività di interposizione permanen­te.

Sempre la stessa legge, poi, prevedeva, a grappolo:

  • il part-time, entro il quale il voratore non aveva alcuna certezza di futuro;

  • il job in call (lavoro a chiamata), che trasforma il lavoratore in uno “squillo”, a disposizione del padrone che lo chiama quando e come vuole…;

  • il job sharing (lavoro ripartito), in cui due o più lavoratori oltre che dipendere dal padrone interdipendono tra di loro;

  • il lavoro a progetto, che si è rivelato non essere altro che un lavoro dipendente camuffato da lavoro autonomo;

  • il contratto di apprendistato, che legalizza il lavoro dei quindicenni.

Se così stanno le cose, non si capisce bene lo zelo straripante del premier e del suo governo nel rottamare l’articolo 18 invece che la legge Biagi.

A meno che non ci fossero altri intenti.

Quello, per esempio, di asservire la cultura del diritto alla funzionalità dell’efficienza.

Quello di spalancare le porte al capitale, comunque, anche “asfaltando” la dignità del lavoratore. Quello di consegnarsi a mani alzate a quello sviluppo senza regole così come è richiesto ed esigito dal sistema finanziario internazionale: “ambiente criminogeno”, lo definiva Massimo Giannini su La Repubblica del 31.10.2013, che ha annientato l’economia reale cannibalizzando il lavoro, distruggendo i diritti, destrutturando la democrazia.

Insomma, siamo di fronte ad un programma di destra portato avanti da un governo di sinistra e ad un leader di sinistra applaudito dalla Confindustria e criticato dai Sindacati.

Non è un caso che l’estensore del programma di Renzi sia Giorgio Gori, nato, cresciuto e vissuto a tutto campo in Mediaset e nel giornalismo sotto il patrocinio di Vittorio Feltri.

«Non c’è nulla di casuale – disse Massimo Cacciari in un’intervista all’indomani della Leopolda e della rottura coi sindacati sul Jobs Act – nulla di improvvisato nell’attacco di Matteo Renzi al posto fisso e all’articolo 18. Lui sta abbattendo i simboli della sinistra socialdemocratica per penetrare nel centrodestra con il partito della Nazione. E’ un piano lucidissimo. (…) Il partito della Nazione punta alla fine della distinzione fra destra e sinistra e alla valorizzazione della dicotomia vecchio e nuovo. Per la formazione politica a cui Renzi sta lavorando sono desuete le differenze e le contraddizioni fra padroni e lavoratori, mentre assume importanza la lotta al “vecchio”: la politica, il posto fisso, i sindacati!».

Aldo Antonelli

 L’articolo è comparso sull’ Huffington post il 25 febbraio scorso. Ringraziamo l’autore


 

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