Editoriale
Nella copertina del numero precedente assieme alla figura di un’aurora boreale campeggiava la scritta colta dal salmo 37 “Abita la terra e vivi con fede”. Era il titolo del nostro convegno dello scorso anno. L’immagine rappresenta per sé l’augurio per un ricominciamento. Un’aurora, appunto che prelude lo sbocciare di quello che nella Bibbia si chiama lo Shalom, cioè la possibilità reale di vivere in pienezza la vita in un mondo accogliente.
Aprendo quel convegno, ho dedicato una parte a sottolineare che il nostro mondo è a rischio, un rischio che non dipende dal fato, ma proprio dalle azioni umane che con il potere tecnologico a disposizione sono in grado di sconvolgere gli equilibri sui quali si regge la terra che ci ospita, e anche di far esplodere le disuguaglianze assurde, sempre più sfacciate1. Come dice Ulrich Beck, sociologo tedesco recentemente scomparso: “Il contrasto – si potrebbe anche dire lo scontro – fra le crescenti aspettative globali di uguaglianza (diritti umani) e le crescenti disuguaglianze tanto globali quanto nazionali, accompagnate dalle conseguenze radicalmente disuguali del mutamento climatico da un lato, e dall’altro del consumo delle risorse, potrà ben presto spazzar via tutta l’impalcatura di premesse sulla disuguaglianza chiusa nei confini dello Stato nazionale, così come l’uragano Katrina ha spazzato via le case dei poveri di New Orleans”2
La situazione che stiamo vivendo in Europa ha destato in me la memoria di una testimonianza dei pretioperai portoghesi pubblicata più di 20 anni fa sulla nostra rivista. Dalla loro postazione d’ingresso all’Europa guardavano con occhio penetrante il futuro del nostro continente:
“L’Europa dei ricchi è la finalità che ci si propone e questa è la giustificazione per tutti gli abusi di potere e per tutte le decisioni lesive degli interessi dei lavoratori. […] il paese vuole girare le spalle al terzo mondo.”
Da qui si passa a pensare all’Europa: verso un’Europa più vera per tutti…
Questa questione ci introduce nella domanda di Pilato: «Dov’è la verità?» E si ode la risposta come sfondo di tutta la Buona Novella: «La verità è che Dio è uno solo e che voi tutti siete fratelli!».
In realtà non stiamo per entrare in una Europa della Fraternità, ma nell’Europa della Ricchezza dei Ricchi, tavola alla quale non hanno acceso i 35.000.000 di poveri dell’Europa, né i popoli dei paesi del Sud. L’immagine dell’Europa la si ritrova attraverso il successo economico, ma anche attraverso l’incapacità di condividere i beni eccedenti e attraverso i divieti di ingresso degli stranieri. Noi diventiamo sempre più un castello che ha bisogno di difendersi dagli aggressori, anche se questi non vogliono altro che lavoro e cibo. […] Una ricchezza mal distribuita è un vivaio di tensioni, conflitti e di guerre””3.
Recentemente il Segretario della CEI Nunzio Galantino dinanzi alla continua ecatombe che avviene nel Mediterraneo ebbe a dichiarare: “E’ in corso una tragedia lancinante che pesa sulla coscienza dell’intera Europa…a cui manca qualsiasi sussulto di umanità […] I suoi interessi sono esclusivamente lobbistici, sulla pelle delle persone. Queste morti in mare, tragedie senza fine e senza senso si potevano e si possono evitare, ma l’Europa e le sue istituzioni e nel suo governo, non ha a cuore la solidarietà […] I potenti magari applaudono il papa […] ma continuano a fare i propri interessi di parte e lobbistici”4.
Nella grande manifestazione di Parigi dopo l’eccidio della redazione di Charlie, tutti a gridare liberté con i capi politici europei in prima fila. Ma silenzio tombale su égalité e fraternité. Sono solo accenni, ma sufficienti per alludere ai rischi reali presenti all’inizio del XXI secolo e per dire che questo è il mondo che interpella la responsabilità della Chiesa.
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Il rapporto che la Chiesa deve avere con questo mondo e i suoi destini non le è estrinseco perché essa stessa è parte di questo mondo. Il suo essere è in funzione di un agire positivo volto all’umanizzazione e quindi alla salvezza storica dell’umanità.
Nei nostri ultimi convegni ci siamo ispirati ai fondamentali documenti del Concilio Vaticano II. Il teologo cattolico Cristoph Théobald suggerisce di far attenzione alle parti inziali di questi documenti, soprattutto di quelli composti nella parte finale dei lavori conciliari, perché in essi si può cogliere l’impianto teologico di fondo .
Nella Dei Verbum, la Costituzione sulla divina rivelazione, si dice che “Dio parla agli uomini come ad amici” e si mette in luce la sua “assidua cura per il genere umano” (2-3). La Gaudium et Spes, la Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, si apre con queste parole: “Le gioie e le speranze, le tristezze a angosce degli uomini d’oggi, soprattutto di coloro che soffrono, sono le gioie e le speranze, le tristezze e angosce dei discepoli di Cristo […] La loro comunità […] si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia” (1).
Nel nostro prossimo convegno5 trarremo ispirazione dalla Lumen Gentium, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, che inizia presentando “Cristo luce delle genti” e la Chiesa “come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (1). Essa non brilla di luce propria, ma la sua luminosità è veramente tale se rispecchia la luce del suo Fondamento permanente. Lo sforzo di adeguamento allo stile di Gesù, quello che il Concilio dice “spendente sul volto della Chiesa”, è compito permanente. E diventa imperativo soprattutto nei momenti in cui avvengono svolte nella storia gravide di conseguenze.
Dunque: “Quale Chiesa?” è la domanda che oggi noi ci poniamo, proprio a partire dalla drammaticità del nostro presente storico.
Riporto il pensiero di due autori che mi hanno fatto compagnia nel cammino della mia vita, sul tema del rinnovamento della Chiesa. Persone con memoria lunga e con lo sguardo rivolto al futuro, non prigioniere dell’immediato e del quotidiano.
Giuseppe Dossetti nel 1954 scriveva a papa Montini: “La necessità di un autentico rinnovamento spirituale si pone oggi in un senso eccezionalmente nuovo e forte, non secondo un ritmo normale e continuo che può essere costante in ogni periodo della indefettibile vita della Chiesa, ma secondo un’urgenza e un‘intensità straordinaria e drammatica pari a quella delle due o tre volte più dirimenti intervenute in venti secoli di cristianesimo”6. Evidentemente si riferisce non solo a cambiamenti, anche rilevanti, che qualificano i diversi momenti storici, ma a una globale svolta epocale, i cui segnali erano già all’orizzonte. L’evento conciliare, un decennio dopo, si è orientato verso questa direzione, seguendo l’invito all’aggiornamento di Giovanni XXIII. Certamente sono stati fatti passi importanti. Pensiamo all’uso della lingua parlata nella liturgia e la restituzione dell’accesso alla Parola di Dio con la diffusione del testo biblico. Però ci sono stati decenni di oscuramento degli elementi innovatori, soprattutto per quanto riguarda i rapporti interni alla Chiesa, la permanenza di un clerico centrismo, l’eclisse della categoria conciliare Popolo di Dio e quindi la mancata assunzione di responsabilità di donne e uomini adulti nell’ambito della Chiesa. Mentre è continuato un rapporto di tutela da parte del clero, con il conseguente blocco di potenzialità effettive E potremmo continuare.
L’altro autore è Karl Rahner che paragonava il necessario passaggio iniziato con il Vaticano II al salto avvenuto nel primo secolo di cristianesimo quando è uscito dal grembo giudaico ed è cominciato a sbocciare nei territori culturali delle genti che aderivano alla fede senza passare per i riti e le norme proprie delle comunità ebraiche. “Oggi viviamo per la prima volta nel periodo di una nuova cesura come quella verificatasi nel passaggio dal cristianesimo giudaico al cristianesimo dei gentili”. Dopo aver sottolineato la sua scarsa penetrazione “nelle” culture superiori dell’Oriente e nel mondo dell’Islam” perché connotato come “merce occidentale d’esportazione” intravede per la Chiesa un’alternativa secca: “o la Chiesa vede e riconosce queste differenze essenziali delle altre culture in seno a cui deve diventare Chiesa mondiale, e ne trae le necessarie conseguenze con ardire paolino, oppure rimane una chiesa occidentale tradendo così in fondo il senso che il Vaticano II ha avuto”7. E’ evidente che tali affermazioni chiamano in causa anche il dialogo interreligioso, oltre a quello ecumenico, sui quali il Concilio ha fissato una pietra miliare, un’acquisizione di non ritorno.
L’entrata in scena di papa Francesco, portatore di un orizzonte non eurocentrico, sta dando respiro e dinamismo a una Chiesa troppo connessa con le dinamiche occidentali, facendo emergere “la differenza cristiana” con un linguaggio parlato e simbolico che si distacca dal baricentro del vecchio mondo conosciuto.
La forte accentuazione che continua a offrire sui temi della giustizia e sulla denuncia di un’economia che uccide con la chiara indicazione per la Chiesa della strada della povertà, in connessione con le tragedie che si stanno consumando nel mondo, anche dentro il nostro mondo occidentale, sono un messaggio che rimette in primo piano l’Evangelo, non solo da predicare, ma da praticare. E da lasciar trasparire con chiarezza anche dalle ricche stanze del Vaticano.
L’Evangelo salverà la Chiesa: è il titolo dell’ultimo libro di Joseph Moingt8. Assumendo in pieno il carico di questo “mondo a rischio” con l’unica ricchezza che Gesù, il suo Fondamento, le ha garantito: la sua parola e il suo stile di vita.
Roberto Fiorini