Sguardi e voci dalla stiva (2)
…in un quartiere di una cittadina
nell’est dell’area metropolitana di Milano
La cittadina di cui si parla:
– 37mila abitanti, 9 km a nordest di Milano
– all’anagrafe il 25% dei residenti sono stranieri
– poco meno di 100 le nazionalità presenti
Il quartiere di cui si parla:
poco meno di 2mila appartamenti, da 8 a 10mila abitanti, tutta popolazione immigrata durante i 50 anni dalla sua creazione; i meridionali delle migrazioni degli anni 60-70 sono stati gradualmente sostituiti dagli stranieri, essendo il quartiere di edilizia privata: la possibilità di accedervi non è “filtrata” come nei quartieri di edilizia pubblica.
Attualmente le più numerose nazionalità presenti sono (nell’ordine) Ecuador Perù Romania Pakistan Egitto Albania Marocco.
1. Nascono delle domande…
a. Ma perché vengono qua?
C’è ancora gente che si fa questa domanda, equivalente all’altra: ma perché non se ne stanno a casa loro?
A domande del genere io non rispondo più. Preferisco invitare chi se le fa a spegnere la televisione, o almeno a diffidare decisamente dello sguardo che i media vorrebbero insegnarci ad assumere.
A dir poco, tre quarti dell’umanità vive in paurose condizioni di ingiustizia, di disuguaglianza, di oppressione e di violenza. E per ogni migrante che arriva qui, dopo aver investito un capitale per tentare di arrivarci e dopo aver rischiato la vita per arrivarci (e quanti non ce l’hanno fatta ad arrivare!) ci sono decine di familiari che restano là, attendendo da chi è partito un contributo in denaro fresco che permetta anche a loro, là, di migliorare di qualche millesimo le proprie condizioni di vita.
b. E perchè mai c’entrano le banche?
Da sempre il mercato della casa è riuscito a sfuggire a qualunque tentativo di contenimento: per i grandi investitori costruire palazzi fino a qualche anno fa era fonte di larghi profitti; per i ceti medio–bassi la casa era un bene–rifugio, in cui investire vantaggiosamente i propri risparmi. Insomma, “il mercato tirava”: e così il costo degli affitti è salito alle stelle. Al punto che acquistare un appartamento è diventato più conveniente (si fa per dire) che affittarlo; un dato in perfetta sintonia con la cultura della proprietà della casa alla quale siamo educati da generazioni.
Ai primi sentori della crisi finanziaria le banche – che avevano la necessità di “far girare i soldi” – hanno preso a concedere i mutui per l’acquisto della casa senza verificare seriamente le possibilità reali di rientro. Ma la mancanza di lavoro conseguente alla crisi ha costretto moltissimi a rinunciare al pagamento delle rate del mutuo, e quindi a rinunciare alla proprietà della loro casa.
Ormai nel quartiere decine e decine di appartamenti sono destinati ad essere messi in vendita all’asta; e gran parte di questi sono passati nelle mani delle banche a causa di un mutuo scoperto.
E però le aste vanno deserte, perché nessuno, o quasi, si arrischia ad acquistare dentro il quartiere un appartamento (a prezzi molto convenienti, si direbbe: due locali con cucina abitabile a 20 mila euro): la tranquillità del quartiere è molto bassa, mentre le spese condominiali sono troppo alte.
c. Perché le spese condominiali sono così alte?
Anche questo è conseguenza della crisi attuale: se il mio posto di lavoro è andato perso, e se ho deciso di rinunciare alla proprietà del mio appartamento non pagando più le rate del mutuo, decido contemporaneamente di non pagare più neppure le spese condominiali. So benissimo che o prima o poi sarò sfrattato (e i servizi sociali del comune fanno acrobazie per trovare una sistemazione provvisoria ai minori con le loro madri, a cui il sindaco deve per legge garantire comunque un tetto).
Si tratta di resistere con tutta la famiglia per quei fatidici 10 anni che mi permettono di avere la cittadinanza italiana, poi potremo passare in qualunque stato dell’UE, avvicinandoci ai parenti che ormai sono disseminati in tutta l’Europa. È un fatto recente il trasferimento di un’intera comunità del Bangladesh verso l’Inghilterra. Chiaro che resistere qui per alcuni anni, nella casa che non è più mia “risparmiando” sul mutuo (o sull’affitto) e sulle spese condominiali, mi permette di racimolare la somma necessaria per questa nuova migrazione.
Intanto però il passivo di bilancio del condominio cresce vertiginosamente…
d. Ma gli amministratori dei condomini non fanno niente?
Nella parte centrale del quartiere ci sono 7 condomìni con almeno 200 famiglie a testa; ogni condominio ormai è pesantemente diviso al proprio interno tra i paganti e i non più paganti. Riunirli in assemblea è quasi impossibile, se non anche pericoloso per la quiete pubblica…
E dato che la metà dei condòmini ormai non paga più, l’amministratore sospende il pagamento ai fornitori di acqua, luce e gas; chiude un occhio sulla necessità di rifare le facciate dei palazzi, risparmia sulla manutenzione degli ascensori (e i vecchi e gli invalidi che abitano ai piani alti si trovano reclusi lassù fin quando non sarà riparato il guasto dell’ascensore). E intanto le quote raccolte dai paganti vengono accumulate sul conto in banca dell’amministratore – mossa interessante per lo stesso conto corrente (Precisazione opportuna: non tutti gli amministratori fanno così…)
Così il rosso dei conti verso i fornitori di acqua e di energia sale sempre più; così arriva il giorno in cui – per esempio – l’azienda del gas sospende l’erogazione per il riscaldamento centralizzato, anche se i servizi di prima necessità per legge dovrebbero essere sempre garantiti. Così nei condomini in cui c’era il riscaldamento centralizzato si sta al freddo, salvo le famiglie che hanno scelto (abusivamente) di passare in qualche modo al riscaldamento individuale. “Ma come fanno i tuoi figli a scaldarsi quando sono in casa?” domando a un padre di famiglia con tre figli in età scolare; risposta: “Girano per casa avvolti in una coperta”.
e. Ma è vero che c’è parecchia illegalità in un quartiere così?
Purtroppo, ce n’è non poca.
In una “repubblica fondata sul lavoro”, dove cioè lavorare dovrebbe essere un diritto e non solo un dovere, almeno un terzo degli aventi diritto non ha lavoro, mentre un altro terzo lavora in condizioni pesanti e sottopagate. Ecco per esempio che una famiglia, composta da madre vedova con due figli minori, vive (?) con 4 ore al giorno di pulizia delle scale in una finta cooperativa, pagata (in nero!) 5 euro all’ora. Ovviamente il mutuo per l’acquisto del suo bilocale è saltato; e la banca questa volta è riuscita a vendere all’asta l’appartamentino; la vedova e i suoi due figli sono stati buttati fuori e da mesi stanno attendendo l’assegnazione di una casa popolare, di cui comunque non riusciranno a pagare l’affitto, date le attuali condizioni di lavoro.
Per fortuna esiste anche un terzo degli “aventi diritto” che ha un lavoro stabile, retribuito mediamente con 800-1200 euro al mese; molto spesso si tratta di lavoro in una delle tante cooperative (finte) nel settore della logistica, dove si lavora a chiamata, ovviamente in barba al contratto.
Ma se tu fai parte dell’ultimo terzo degli abitanti in età lavorativa e non disponi di un reddito da lavoro, che fai? Che fai se sai bene che è necessario mandare in patria qualche soldino che permetta ai parenti rimasti di non fare la fame o di farla un po’ di meno? Parenti che hanno comunque raccolto fior di dollari per il tuo viaggio fin qua (da 3 a 10mila dollari, per stare alle cifre che circolano). Insomma, laggiù stanno aspettando, tu sei qua e ti senti – giustamente – in colpa… tanto vale entrare nel giro di qualche traffico illegale che ti permetta di non “sentirti in colpa” almeno con i tuoi cari. A costo di finire o prima o poi in galera…
Esagerazione? No, per esempio è paradossalmente “normale” che un adolescente che abbandona il percorso degli studi superiori si trasformi in un pusher dell’eroina o della cocaina.
2. Si cercano delle risposte…
Situazione disperata? C’è chi pensa così.
Ma c’è chi opera, dentro e attorno al quartiere, per favorire crescite, mettere insieme gente che decida di affrontare i problemi: chi opera dal basso (e non sono pochi) e chi opera dall’alto, a livello istituzionale.
Questa è una delle tante periferie in cui, a prima vista, il degrado sembra invincibile. E però quello che qui si sta tentando di fare potrebbe riuscire a diventare un modello imitabile in tante altre periferie.
Dovremo riparlarne, speriamo presto.
Luigi Consonni
gennaio 2017