Il grido di Gaia (3)
Due minuti a mezzanotte. È l’ora che dal 30 Gennaio del 2017 segna l’Orologio dell’Apocalisse, del bollettino animato dal 1947 da 600 scienziati nucleari, 16 dei quali premi Nobel. Per costoro la mezzanotte rappresenta l’Apocalisse e i riferimenti per spostare l’orologio sono: la guerra nucleare e i mutamenti climatici, definiti appunto pericoli esistenziali, ovvero che minacciano l’esistenza della civiltà e che dovrebbero essere in cima ai pensieri e alle discussioni dei leader politici che governano il mondo.
Lawrence Krauss che guida il gruppo, ha detto: “Mai prima d’ora le sorti del mondo dipendono così strettamente da due persone al potere, Putin e Trump…Siamo molto preoccupati che l’amministrazione americana sia scettica nei confronti di conclusioni scientificamente provate…”.
Il riferimento al negazionismo di Trump verso i mutamenti climatici è chiaro.
La realtà è che la sola autorità mondiale che predica tali argomenti e sollecita l’umanità a scuotersi dall’indifferenza, è il Papa.
Inascoltato dalla Chiesa, dalla politica e incredibilmente ignorato da quei movimenti sociali che nel mondo muovono ancora milioni di persone: i sindacati, le donne, gli omosessuali, le associazioni che predicano il diritto all’eutanasia. Tutte cose che non voglio discutere nel merito, ma che di fronte alla verità di un possibile disastro planetario ci rimandano l’immagine di un popolo occidentale che balla mentre affonda il Titanic.
E’ vero che come insegna la storia agitare il termine “verità” è inquietante, ma c’è una verità materiale innegabile: la terza Guerra mondiale è iniziata ed è tutt’uno con il riscaldamento globale, la tragedia idrica e l’inarrestabile ondata migratoria.
Se questa è la verità, il problema è di tutti, non solo dei leader politici, ma degli uomini e delle donne di buona volontà ed il compito è quello di educarci tutti a questa verità, creando ponti tra culture e fedi diverse.
Ma vorrei fare una considerazione che può risultare una forzatura.
Chi in tanti anni ha narrato questa verità ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani? Chi ha narrato loro che il benessere occidentale e il welfare, sono sì il risultato di una storia di lotte e sacrifici e vanno difesi con le unghie e con i denti, ma che sono stati conquistati ignorando i limiti della natura, la rapina delle risorse dei paesi del Sud del mondo e la schiavitù dei loro popoli ?
La minaccia della destra in Europa e del trumpismo sta anche in questa cultura dell’omissione della verità. Anche quando viene da un Papa che parla di minaccia di una guerra mondiale per l’acqua.
Il rapporto dell’ONU del 2015 “Acqua per un mondo sostenibile” dice:
“Entro 15 anni la domanda di acqua aumenterà del 55%, nel 2030 la disponibilità coprirà solo il 60%… nel Sud dell’Asia meno del 50%, e continua ….proseguire sulla strada del business sta portando il mondo sull’orlo di un crollo del sistema socio economico.”
Intanto 1 miliardo di persone sono ancora senza acqua potabile e 2 miliardi e mezzo sono privi di servizi igienici: c’entrano qualcosa questi dati con l’emigrazione?
Ma il più chiaro per il suo cinismo è il rapporto del Pentagono del 2004.
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le prossime guerre saranno combattute per questioni di sopravvivenza. Nei prossimi 20 anni diventerà evidente un “calo significativo” dalla capacità del pianeta di sostenere l’attuale popolazione.
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Milioni di persone moriranno per guerre e per fame fino a ridurre la popolazione della terra ad una quantità sostenibile (una versione rovesciata della sostenibilità ).
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Le zone ricche come USA e Europa diventeranno “fortezze virtuali per impedire l’ingresso di milioni di migranti scacciati dalle terre sommerse o non più in grado di coltivare per mancanza di acqua. Le ondate di profughi sulle barche creeranno problemi significativi.
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Le sommosse e i conflitti spaccheranno l’Africa e l’India.
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I governi che non sapranno garantire le risorse fondamentali, i servizi essenziali e difendere i propri confini, sono destinati ad essere travolti dal caos e dal terrorismo.
Maude Barlow raporteur all’ONU per il diritto all’acqua, parla di suicidio idrico africano. La quantità di acqua necessaria in Africa per coltivare i terreni acquistati da stranieri e da multinazionali nel 2009, è due volte il volume usato nei 4 anni precedenti in tutta l’Africa. Se l’accaparramento delle terre e dell’acqua continua al ritmo attuale, la richiesta di acqua supererà le scorte Africane di acqua rinnovabile.
E continua:
Dighe, miniere, piantagioni, autostrade, complessi industriali e resort turistici, costringono ogni anno 10 milioni di persone a spostarsi.
I privati così assumono il controllo globale dell’acqua.
Già, perché anche gli imbottigliamenti provocano profughi ed emigrazioni.
50 miliardi di litri di acqua vengono imbottigliati ogni giorno dalle multinazionali e la sola Coca Cola ne imbottiglia 10 miliardi svuotando le falde di mezzo mondo…
E l’industria turistica? Pensate:
- Un Campo da golf in Africa consuma quanto una città africana di 6000 abitanti.
- Andate a Nairobi nella Kibera… Al fianco di questa mostruosa bidonville senza acqua, c’è un bellissimo campo di Golf irrigato e protetto da guardie armate.
- In Kenya in un Residence 5 stelle, sono previsti 2000 litri di acqua per camera. Mentre agli abitanti 90 litri per famiglia.
- Al Goa Resort: 1700 litri di acqua per persona al giorno e agli abitanti 14 litri di acqua al giorno.
E le dighe, i fiori, l’urbanizzazione in Etiopia e Kenya?
- Una rosa su 4 venduta in Europa viene da questi due paesi: nel Kenya dal lago Navascia; in Etiopia dal lago Ziway.
Le loro acque si abbassano paurosamente e si avvelenano.
Sui due laghi abitavano centinaia di migliaia di persone: contadini, pescatori, allevatori. Oggi vi lavorano solo 130 mila schiave, donne pagate 1 euro al giorno che producono 24 milioni di tonnellate di rose al giorno.
200 boccioli al mq pompati di fertilizzanti. - La diga Rinascita costruita sul Nilo in Etiopia dalla italiana Salini (Impregilo) rischia di mettere in ginocchio l’Egitto, un paese di 100 milioni di abitanti metà al sotto di 25 anni. Targata Salini è anche la diga sul fiume Omo che sempre in Etiopia caccerà dalle loro terre interi popoli indigeni, provocherà un disastro nel Kenya riducendo della metà l’acqua del Lago Turkana.
Ma noi, democratici di tutto il mondo, se chiamati a manifestare per i mutamenti climatici ci muoviamo in poche centinaia e a una manifestazione pro o contro l’adozione del figlio del coniuge, corriamo in 100 mila.
C’è qualcosa di malato nella indifferenza per i destini della Casa Comune e il dolore di milioni di persone.
Mi chiedo se possiamo fare qualcosa.
Sì. Prima di tutto riducendo la frammentarietà del nostro impegno.
Ci sono nel mondo migliaia di buone pratiche comunitarie e mutualistiche tese a dimostrare che si può vivere altrimenti: in agricoltura, nel lavoro, per il risparmio d’acqua, ma senza una cornice unitaria che produca sinergie non si va lontano.
E la politica va incalzata, non subita e nemmeno cancellata.
E’ possibile concretizzare il diritto umano all’acqua dichiarato dall’ONU nel 2010, con azioni concrete che ne fermino la privatizzazione come a Napoli, Parigi, Berlino, in Slovenia e promuovere una autorità e un protocollo mondiale.
Decidere di portare acqua potabile a tutti.
Chiedere che le aziende pubbliche municipali europee con le loro conoscenze promuovano in sinergia progetti di potabilizzazione dell’acqua e assicurino servizi igienici nel sud del Mondo, senza profitti e senza privati.
Si può tentare di fermare il disastro delle dighe partendo da Milano dove ha sede la Salini e in Europa, dove hanno sede altre multinazionali.
Confrontiamo i problemi di cui stiamo parlando, con il recente referendum e l’idea che i problemi si risolvono eliminando 200 senatori.
È una miseria.
La Costituzione si può toccare; ma per inserirvi le nuove realtà: quella degli immigrati, del diritto all’acqua e alla terra e i nostri doveri verso la Terra e il resto del mondo.
Sono cambiati le priorità, i linguaggi, i soggetti, le modalità con cui manifestiamo le opinioni.
Dobbiamo convincere per sconfiggere… e ricordiamo un tempo lontano quando le lavoratrici occidentali dicevano: non ci basta il pane vogliamo anche le rose.
Forse oggi le donne e tutti noi, dovremmo mettere nei nostri pensieri, anche il dolore delle donne etiopi e il dolore della Terra che c’è dentro ad ogni rosa che un profugo del Bangladesh che va sott’acqua, ci prega di comprare mentre stiamo seduti in trattoria.