rivista n° 117-118 – 2017

Madre Terra: destino comune

Penso che possiamo leggere la storia di noi preti operai, nella complessità di situazioni di vita che si sono andate susseguendo attraverso mutazioni molteplici dall’esterno e dall’interno del nostro vissuto, ricomprendendola attraverso chiavi di lettura e di senso. Non so se è una esperienza che vi è consueta. Io ricordo, a questo proposito, quanto mi è stato raccontato essere accaduto nell’ambito di uno dei convegni europei dei pretioperai. Un diacono tedesco raccontava di essere stato chiamato ad un corso di una università tedesca per parlare dei preti operai agli studenti. Si pose l’interrogativo riguardo a cosa poteva raccontare a quei giovani di un contesto di lavoro così diverso da quello attuale in cui si lavora in condizioni quasi da camice bianco. Di luoghi sporchi, di fatiche immani contando sulla forza delle braccia, la capacità di sopportare la stanchezza a oltranza, l’usura di condizioni disumane… E’ allora che gli venne in mente di usare una chiave di lettura di quel mondo pressocché impossibile da rappresentare agli occhi delle generazioni più giovani. I preti operai – cominciò a raccontare – fanno parte di quella genìa umana, che speriamo esista sempre nelle diverse epoche, di gente “curiosa”. Non nel senso pettegolo del termine, ma poco inclini a lasciar correre quello che lì per lì non capiscono, e, volendo scoprire quello che, in prima battuta, sembra troppo ovvio per essere vero, preferiscono controllare di persona. Negli anni ’50 (e non solo) nei seminari si insegnava il primato dello spirituale a spese di un materiale apparentato sempre con ciò che è pesante, ingombrante, deviante. E’ così che molti preti operai sono entrati in una storia per poterla riscattare. Mentre poi vivendola dall’interno hanno capito che il riscatto non era nella direzione dell’esaltazione di uno spirituale disincarnato, ma nella lotta di una materia vivificata dallo spirito incarnato. E dove si aspettavano di trovare contraddizione e oscurità, hanno trovato luce e viva energia umana.

Io non so ora dove ci può portare la tematica che stiamo affrontando, ma – guarda caso – non so cosa portò don Sirio, nello scrivere “Una zolla di terra” dopo i lunghi tre anni di immersione nella manovalanza di un cantiere navale degli anni ’50, a porre all’inizio del piccolo volume la citazione di un uomo (guarda caso un indiano anche lui, come l’autore del libro che sta alla base della tematica di questo nostro incontro) che recita testuale “chi lavora e soffre su una zolla di terra, lavora e soffre su tutta la terra”…

Abstract editoriale

Editoriale

Bergamo 2017

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