10 giugno 2017 / Bergamo
TERRA E POPOLI. FUTURO PROSSIMO
Interventi e risonanze (14)
Ogni tanto torno a leggere una pagina di Bonhoeffer, pastore e teologo luterano ucciso in un lager nazista, scritta attorno al Natale del 1942, poco prima di essere arrestato. Fa parte di una serie di riflessioni, indirizzate a suoi amici fidati. Un bilancio dopo dieci anni di dominio nazista. Un capitoletto ha per titolo “la stupidità”. Afferma che questo difetto interessa non l’intelligenza, ma l’umanità della persona. “Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto”. Come mai? La stupidità non è un difetto “congenito”, ma “in determinate circostanze gli uomini vengono resi stupidi o si lasciano rendere tali”. E noto che “qualunque ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca la stupidità di gran parte degli uomini. Sembra anzi una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”. Stupido è colui a cui viene sottratta la sua “indipendenza interiore” ed abdica alla sua responsabilità. “Rivolgendogli la parola, ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti ecc. da cui egli è dominato”. Insomma ne risulta un’umanità amputata. A me sembra che in questi tempi di nazionalismi esasperati, di razzismi a varia intensità, di localismi indipendentisti, di “politiche di sicurezza”, con l’occultamento della comune appartenenza a un pianeta la cui febbre è in continuo aumento, questo discorso di Bonhoeffer sia pertinente e pericolosamente attuale.
Forse l’impulso a rileggere questa pagina mi è venuto da una trasmissione alla quale partecipava Moni Ovadia. Il dibattito riguardava lo Ius soli, il diritto di cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri. Lui rivendicava la sua competenza di ebreo nel fiutare l’aria che tira. Moni Ovadia ammoniva in TV: “Attenti, siamo alle leggi (e al clima) di Norimberga”. Nel 1935 durante il settimo congresso del partito nazionalsocialista tedesco tenuto a Norimberga, all’unanimità furono approvate tre leggi. La prima, sulla cittadinanza, sanciva che potesse essere cittadino del Reich solo chi aveva sangue tedesco. I non ariani venivano dichiarati «appartenenti allo Stato». Questo comportava la perdita di tutti i diritti. La seconda “per la protezione del sangue e dell’onore tedesco” proibiva il matrimonio e i rapporti extraconiugali tra ebrei e non ebrei. La terza, sulla bandiera del Reich, stabiliva che la croce uncinata diventasse simbolo della nazione tedesca.
L’avvertimento di Moni Ovadia non è campato in aria. Trova una conferma, ad esempio, in questa valutazione di Emma Bonino: “penso che abbiamo una classe politica che rimane indietro rispetto al Paese. Siamo rimasti quasi l’unico paese europeo che ancora ragiona in termini dello ius sanguinis (diritto del sangue)… Il dibattito politico sul tema ha mostrato una delle pagine più tristi della vita democratica”. L’unica preoccupazione chiara è la spasmodica ricerca del consenso da ottenere con tutti i mezzi in un clima di permanente campagna elettorale che appare sempre più vuota e rabbiosa. Superare la barriera del sangue sembra aprire la strada alla sconfitta elettorale. Ma, nota L. Caracciolo in un editoriale comparso su La repubblica: “Non c’è nulla di meno patriottico e di più irrazionale della xenofobia. L’interesse nazionale, per un Paese in drammatico declino demografico e sempre più vecchio, consiste nell’integrare la massima quota possibile di giovani nati in Italia o che vivono da tempo nel nostro Paese e vogliono diventare italiani a tutti gli effetti. Sotto il profilo economico: non si può concepire la crescita strutturale con questo trend demografico”.
Un luogo comune molto gettonato è il pregiudizio che gli stranieri rubano il posto di lavoro agli italiani. Riporto ancora una chiara risposta di Emma Bonino: “Questo è sconfessato da tutte le cifre possibili e immaginabili, dell’Istat, di Confindustria, della Fondazione Moressa… non è vero: gli immigrati fanno quei lavori che gli italiani non vogliono fare. E questo lo dimostrano le cifre, che smontano anche questo stereotipo. Per esempio, i figli di immigrati sono 805.000 circa: significa 35mila classi, cioè 68mila insegnanti. Quindi senza di loro avremo 68mila posti in meno per gli italiani”.
Altro esempio. Il megafono a tutto volume sui delitti sessuali compiuti da neri e stranieri che certo vanno condannati e puniti. Ma sono ingigantiti diventando l’argomento che polarizza per giorni l’attenzione dei media e gonfia la gola “contro le orde di finti profughi che stanno invadendo l’Italia”. Oltre al fatto che purtroppo lo stupro di gruppo, anche a danno di minorenni compiuto da italiani, è tutt’altro che infrequente, mi pare utile ricordare che negli stessi giorni sono comparsi i risultati sulla violenza contro le donne dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea, “i Paesi in cui la violenza contro le donne (fisica e/o sessuale) è più comune sono quelli del Nord Europa. L’Italia si attesta sotto la metà della classifica, ben al di sotto della media europea: nel nostro Paese le donne vittime di violenza fisica o sessuale dai 15 anni in poi rappresentano il 27%, a fronte del 52% in Danimarca, del 47% in Finlandia, del 46% in Svezia, del 45% nei Paesi Bassi e del 44% in Francia e Regno Unito”. Può darsi che la differenza possa dipendere anche dalla maggiore propensione delle donne dei paesi nordici a denunciare i reati contro le loro persone. Tuttavia si può almeno affermare che non pare che questa violenza dipenda dal colore della pelle.
Consiglio di leggere il documento che Medici senza frontiere (Msf) hanno portato a Bruxelles, e che pure il premier Gentiloni ha ricevuto, sulla situazione reale che stanno vivendo i disperati rinchiusi nei campi di detenzione della Libia. La presidente di Msf Joanne Liu ha aperto una sua dichiarazione con queste parole: “Quello che ho visto in Libia lo descriverei come l’incarnazione della crudeltà umana al suo estremo”. Nel documento si dice tra l’altro: “La detenzione di migranti e rifugiati in Libia è vergognosa. Dobbiamo avere il coraggio di chiamarla per quello che realmente è: una realtà fiorente che lucra su rapimenti, torture, estorsioni. E i governi europei hanno scelto di trattenere le persone in questa situazione…Ma chi è davvero complice dei trafficanti: chi cerca di salvare vite umane oppure chi consente che persone vengano trattate come merce da cui trarre profitto?”. Le narrazioni di quanto accade a uomini, donne e bambini sono sconvolgenti e agghiaccianti. Il portavoce dell’Alto rappresentante Federica Mogherini ammette: “non siamo ciechi, la commissione europea è consapevole che le condizioni di vita nei campi sono scandalose e inumane” e promette che le cose cambieranno. Intanto tutto continua.
Dovrebbe esserci un’indignazione dell’opinione pubblica a livello europeo. La sua mancanza è un indice triste e negativo. Ma ignorare l’umanità degli altri è già un perdere anche la propria.